(...) Eccoti il nostro " Hyperion ", cara. Questo frutto dei nostri giorni vissuti in comunità di spirito, ti darà certamente un po' di gioia. Perdonami se ho fatto morire Diotima. Ti ricordi? Non siamo riusciti allora a metterci d'accordo su questo. Io credevo che fosse necessario all'economia dell'opera. Carissima, tutto quello che vi si dice qua e là di lei e di noi, della vita, della nostra vita, accettalo come ringraziamento che spesso è tanto più sincero quanto più semplicemente si esprime. Avessi potuto ai tuoi piedi formare la mia personalità di artista, in serenità e in libertà, sono convinto che sarei diventato più rapidamente ciò che il mio cuore con ardore desidera nel dolore, nelle lacrime e spesso in una muta disperazione. E' certo cosa degna di tutte le lacrime che abbiamo pianto da anni il non aver potuto avere la gioia che veramente possiamo dare a noi stessi, l'uno all'altra ;ma è atroce dover pensare che noi due, con tutte le forze migliori, dobbiamo forse perire solo perché non ci apparteniamo a vicenda. Eppure - guarda - proprio questo talvolta mi rende così tranquillo, perché devo difendermi da tali pensieri. La tua malattia, la tua lettera... come è chiaro ai miei occhi - così chiaro che vorrei piuttosto diventare cieco - che tu soffri sempre, sempre...; e io, ragazzo, non so che piangerne... Che cosa è meglio, dimmi, tacere ciò che abbiamo nel cuore o dircelo? Per risparmiare te, ho sempre fatto la parte del codardo, ho sempre agito che se potessi adattarmi a tutto, come se fossi stato creato apposta per servire da trastullo agli uomini e alle circostanze e non avessi invece dentro di me un cuore ben saldo che batte fedele e libero nel suo diritto al bene, vita mia. E spesso ho rinnegato il mio amore per te e mi sono vietato persino a volte il pensiero di te : perché, per amor tuo si scontasse questo destino con meno durezza possibile. E tu pure, tu pure hai sempre lottato per avere pace, hai sopportato con forza eroica e con silenzio ciò che non si può mutare; hai nascosta e sepolta in te l'eterna elezione del tuo cuore: perciò spesso si fa buio davanti a noi e non sappiamo più che cosa siamo; a stento conosciamo noi stessi. Questa eterna lotta e contraddizione dell'intimo ti ucciderà lentamente e, se un Dio non l'acquieta, non ho più altra scelta che ripiegarmi dolorosamente su te e su me, oppure non pensare a null'altro se non a te e cercare con te una via che ponga fine a questa lotta.
F. (...)
***
Homburg , Giugno 1799
(...) Ogni giorno devo richiamare la divinità scomparsa. Quando penso a grandi uomini di grandi età che si propagavano come un sacro fuoco, e tutto ciò che era morto, legno, paglia del mondo tramutavano in fiamma, che con loro saliva in volo al cielo, e poi penso a me che me ne vado attorno spesso con una piccola lampada che manda barlumi e vorrei chiedere in elemosina una goccia d'olio per poter risplendere ancora un poco durante la notte, ecco, un brivido strano mi percorre le membra e piano dico: morto che vive! Sai perché gli uomini temono reciprocamente che il genio dell'uno consumi quello di un altro e per questo non sono gelosi di cibo e bevande, ma lo sono di ciò che nutre l'anima, e non possono sopportare che qualcosa che essi dicono o fanno venga raccolto da un altro nel suo proprio spirito e sia poi tramutato in fiamma? Pazzi! Come se qualsiasi cosa che gli uomini possono dirsi tra loro fosse più che legna da ardere, che appena viene toccata dal fuoco spirituale ridiventa fuoco, così come scaturì dalla legna e dal fuoco. e se non sono gelosi reciprocamente del nutrimento, vivono e risplendono, e nessuno distrugge l'altro.
Ricordi tu le nostre ore senza turbamento in cui noi due, noi due soli eravamo vicini? Era un trionfo! Entrambi liberi, orgogliosi, vigili, fiorenti, lucidi nell'anima, nel cuore, negli occhi, nel volto, entrambi in una pace celeste perché eravamo vicini! Già allora presagivo e dicevo: si potrebbe girare tutto il mondo, difficilmente si troverebbe questa cosa. E sento ogni giorno ciò più seriamente.
F. (...)
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