La borsa in pelle di coccodrillo è vuota e piange...
ELEGIA ALLUCINOGENA 1
La borsa in pelle di coccodrillo è vuota e piange
per timore che presto sarà stipata di cose.
il rotolo di carta igienica medita tutta la notte
sul proprio Io nascosto e - la mattina - si arrotola
e srotola attorno al proprio Io rivelato. il martello
conficca nervosamente chiodi nel bracciolo
della poltrona. il caffè gorgoglia di felicità
nel bricco di metallo, la pipa sbuffa e risbuffa.
nella borsa in pelle di coccodrillo vengono
stipati organi di coccodrillo
conservati in formalina.
il rotolo di carta igienica entra in stato
alterato di coscienza e si illumina.
il martello si indigna e lo tartassa di chiodi,
invece la borsa ne sugge le parole
al proprio interno e gli organi conservati
in formalina riprendono vita. la borsa in pelle
di coccodrillo si illumina e diventa un
coccodrillo illuminato. il caffè gorgoglia al culmine
della felicità. la pipa si adagia nella poltrona
e ascolta sbuffando risbuffando.
poco a poco si calma. inspira a fondo il fumo
e si soffoca, tossisce da fumatore incallito.
il caffè si sversa sul fuoco.
il fuoco si spegne. il coccodrillo afferra la pipa
fra i denti. la pipa si soffoca e soccombe.
il rotolo di carta igienica assume la posizione
del fiore di loto e lievita sopra
la camera che filma e sviluppa l'aurea del
coccodrillo illuminato.
***
ELEGIA ILLUCINOGENA 6
Il rasoio elettrico pilota un aereo
a reazione. sulla sua tuta da pilota
c'è un occhiello che durante il volo
rilascia feromoni. sulla sua tuta
si posa uno sciame di vespe metalliche.
il rasoio elettrico chiede aiuto
alla torre di controllo. le vespe
creano interferenze nel messaggio S.O.S
si addensano nubi nere di titanio.
le gocce di pioggia penetrano
con violenza nella carlinga dell'aereo.
il rasoio elettrico si lancia col paracadute.
le vespe metalliche gli sciamano attorno.
dal cielo cadono meteoriti radioattive
che conversano in una lingua
di provenienza extraterrestre.
il rasoio elettrico sente telepaticamente
l'intera conversazione. registra il messaggio
che annuncia un'imminente
invasione extraterrestre
e che le vespe metalliche sono dei mini robot
spediti a fare un sopralluogo.
il rasoio elettrico è terrorizzato. è in preda al
panico. il paracadute si inceppa. le vespe sciamano
sempre più aggressive. dalle nuvole
scendono gocce di pioggia radioattiva.
dalle meteoriti escono larve di alieni
che si cibano delle sostanze attive sulle
lame del rasoio elettrico, si schiudono
simultaneamente, crescono in maniera esplosiva
e, raggiunta la maturità, invadono l'abitazione
del rasoio elettrico dove installano
in modo strategico il proprio posto di comando.
Ofelia Prodan da Elegie allucinigene ( Trad. di Mauro Barindi )
Oggetti banali che si trovano in camera da letto, in cucina o in salotto, vengono animati e fatti agire in situazioni, in rapporti umani e accadimenti fantastici all'insegna di una comicità delirante, che assume forme di sovra - logicità allucinatoria nel suo progredire. Ogni elegia allucinogena è un racconto surrealista su questi oggetti animati, ciascuno con un proprio ruolo strategico, con una propria potenzialità fantastico - stravagante, e tutti partecipano a una tragicommedia in miniatura o - al contrario - di dimensioni planetarie...
Ofelia Prodan rientra nella cosiddetta " generazione duemillista ", quella fucina di nuovi poeti che hanno segnato un momento di svolta nel modo di fare poesia nel panorama letterario romeno degli anni Duemila.
(...) Si tratta di qualcosa che deve venire, che non c'è. Il regno di Dio è lo Spirito Santo che colma tutta l'anima delle creature intelligenti. Lo Spirito soffia dove vuole. Non si può fare altro che invocarlo. non bisogna neppure pensare di invocarlo in maniera particolare su di sé, o su questo o su quello, o anche su tutti; bisogna semplicemente invocarlo, di modo che il semplice pensare a lui sia un appello, un grido: quando si è al limite della sete, quando si è ammalati di sete, non ci si raffigura più l'atto del bere in rapporto a se stessi e nemmeno l'atto del bene in generale; ci si raffigura soltanto l'acqua, l'acqua in se stessa; ma questa raffigurazione dell'acqua è come un grido di tutto l'essere . (...)
Simone Weil
Ho trascritto solo un piccolo estratto di tutta la riflessione di Simone Weil sulla preghiera del " Padre nostro..."
Chi volesse leggere il testo integrale lo può trovare in rete su mikeplato. myblog.it ( A PROPOSITO DEL PATER di Simone Weil )
Il testo che propongo ( scritto da un frate minore, biblista e docente di Sacra Scrittura ) è il primo di una trilogia che si propone di indagare l'intreccio tra la libertà dell'uomo e la sua relazione con Dio, partendo dalle domande che ciascuno di noi si pone riguardo al problema della sofferenza, del male e della fatica connessa all'esistenza. A partire da testi biblici, che spaziano dal giardino dell' Eden fino a quello della Resurrezione, si ripercorre la parola dell'esperienza umana nelle figure del fallimento e dell'incompiutezza, in una prospettiva moderna ed esistenziale.
Il senso di colpa che attanaglia tutti - credenti o meno - ci pone continuamente nella condizione di coloro che devono " scusarsi" per non aver saputo vivere all'altezza della propria umanità. Questo profondo smarrimento si declina in forme diverse: ci sentiamo soli, inadeguati, cancellati; siamo insofferenti, infedeli, idolatri; ma viviamo anche nel dolore ( siamo muti, ciechi, fuggiaschi ) e - forse - è proprio Dio l'unico che ci guarda nella certezza che a volere tutto questo " non siamo stati noi ". Attraverso questo sguardo, Dio può e vuole condurci fuori dal senso di colpa, restituendoci la vista, la parola e un sentiero da percorrere insieme.
Marc Chagall - Adamo ed Eva scacciati dal Paradiso
SOLI ( Genesi 2,3 )
(...) Tra le tante sfumature che il senso di colpa riesce ad assumere dentro di noi, ne esiste una profonda e radicale. Si tratta di quel fastidio che avvertiamo quando, ancora prima di aver compiuto qualcosa di male o aver cercato di fare tutto il bene possibile, ci sentiamo incapaci di uscire da noi stessi per costruire una relazione autentica con l'altro. Non è tanto la sofferenza per aver sbagliato qualcosa, quanto il dolore intimo e lacerante di non sentirci mai all'altezza di quello che ci si aspetta da noi. Le prime pagine della Scrittura, gettando uno sguardo penetrante nel cuore dell'esistenza uscita dalle mani di Dio, documentano questa ferita antropologica di cui tutti facciamo esperienza. Raccontano come all'uomo - di ogni tempo e di ogni luogo - accada di sentirsi prigioniero di un'invincibile solitudine dalla quale sembra impossibile uscire, se non al prezzo di rimanere segnati dalla paura e coperti dalla vergogna. E Dio rimarrà spettatore di un'opera così bella - la nostra vita - che purtroppo si guasta non appena esce dalle sue mani? (...)
(...) Alcune volte non ci sentiamo in colpa per un motivo ben preciso. Siamo semplicemente a disagio con noi stessi perché abbiamo la netta sensazione di non ricevere mai, né da parte degli altri, né da parte di Dio, uno sguardo di piena approvazione su quello che siamo o che proviamo a offrire di noi stessi. Il dolore che avvertiamo è reso ancora più acuto quando abbiamo l'impressione che - al contrario - la vita di chi ci sta accanto risulti sempre più gradita e, soprattutto, molto più gradevole della nostra. L'imbarazzo che proviamo nel tentativo di rimanere comunque nei nostri panni prepara il terreno all'invidia. Il tormento di non sentirci mai abbastanza adeguati e di non avere mai nulla di bello da mostrare può generare in noi una silenziosa e pericolosa latenza. Non solo negativa, ma anche aggressiva e capace di armare le nostre mani fino a trasformare il sentimento che proviamo in odio verso chi è diverso da noi. E se non fossimo in grado di dominare questo istinto di violenza, che cosa saremmo capaci di fare ? Fino a dove potremmo spingerci? (...)
(...) Ci sono periodi della nostra vita in cui non riusciamo a mettere a fuoco dove nasce l'afflizione che proviamo, né sappiamo dare un nome alle contrarietà che ostacolano continuamente il nostro cammino. Avvertiamo solo un senso di malessere diffuso a causa del quale non riusciamo mai a sentirci in pace, in nessun modo e da nessuna parte. Anzi, in ogni occasione sembra che sappiamo tirar fuori solo il peggio di noi stessi. Siamo tendenzialmente aggressivi, ci abbandoniamo facilmente alla tristezza, naufraghiamo in un mare di pensieri neri e laceranti. Mentre questa tempesta interiore ci agita profondamente, come barche sconvolte nel bel mezzo di un maremoto, può arrivare persino un'onda più grande capace di spazzare via ogni precario equilibrio e di sommergerci con inarrestabile violenza. Sono in naufragi della vita : quando tutto - un lavoro, un'amicizia, un amore - improvvisamente finisce. E anche a noi sembra un po' di morire: spazzati via, senza alcun preavviso. Ma se viviamo solo un cielo paziente, che tollera persino i nostri errori, perché sul bagnato della nostra vita non smette mai di piovere ? (...).
(...) Il senso di colpa più crudele e lancinante è quello che proviamo quando non abbiamo fatto nulla di male, eppure la vita non smette di trattarci come se i colpevoli fossimo noi. E' il grande mistero della sofferenza innocente, con cui tutti prima o poi dobbiamo fare i conti. In questi momenti di agonia, non ci resta altro che lottare con tutte le forze che abbiamo, mentre il lamento è l'unica colonna sonora adeguata ad esprimere quello che stiamo provando. Quando non abbiamo nessuna responsabilità rispetto a quello che ci sta accadendo, eppure ogni cosa cospira contro di noi, inizia un tempo maledetto: giorni simili a interminabili deserti, nei quali perdiamo ogni riferimento e ogni speranza; abissi di disperazione dove nessuna voce amica e ragionevole può raggiungerci; solitudini dove arriviamo persino di desiderare di non essere mai nati. Nella caligine di questi giorni, possiamo solo sperare che il tormento finisca presto e non sia una conseguenza delle nostre scelte. Intanto una velenosa domanda continua a torturarci: saremo davvero colpevoli di qualcosa che ignoriamo, oppure possiamo sperare che in fondo ad ogni dolore - anche del nostro - si nasconda una misteriosa innocenza? . (...)
(...) Il senso di colpa più duro da sciogliere è quello in cui sprofondiamo quando finisce una storia in cui avevamo creduto con tutte le nostre forze e nella quale ci era sembrato di poterci coinvolgere finalmente e pienamente. La delusione che sperimentiamo quando l'amore giunge al capolinea è la tenebra più fitta e lacerante che nella vita possiamo attraversare. Perché è l'unica frattura in cui non solo in cui proviamo dolore, ma contempliamo pure - da vivi - la morte anticipata del meglio che il nostro cuore aveva provato a desiderare e costruire. Per lasciarci alle spalle questo cadavere e imboccare di nuovo il sentiero della vita, abbiamo in genere due strade: tornare alle cose di prima e di sempre, provando a far finta che niente di eterno sia accaduto, oppure chiuderci nel ricordo di quello che è successo, imbalsamando la memoria del corpo ferito dall'amore. In entrambi i casi, pur essendo vivi, siamo già morti. Non certo in un senso biologico, ma non per questo meno vero. Possiamo ancora scegliere, decidere di andare a destra o a sinistra. Ma non siamo più liberi di cominciare a vivere. Siamo ormai schiavi del timore di aver fallito. E se fosse proprio la paura la forza capace di rimetterci in piedi e in movimento? (...)
Spesso non misuriamo quanto ci siamo allontanati e viviamo a vista d'occhio. Forse per quella stupida possibilità di ritorno, di abbracciarci e perdonarci insieme, per- donare. Non diamo peso alla speranza. Quando muoiono - però - è l'abbandono. Non c'è ragione che menta.
***
30 GENNAIO
Anche se dietro i finestrini non potevi vedermi, ti osservavo ( già col sorriso stampato per la tua discesa ) dal basso dell'auto all'alto della finestra illuminata. Infilavi il cappotto e arrotolavi la sciarpa intorno al collo, raccoglievi i capelli trafelata.
Mi piace seguirti da una camera all'altra scalza e pensierosa con il plaid a scacchi sulle spalle, o prenderti ai fianchi quando meno te lo aspetti, mentre lavi i piatti e ti vanti di essere più brava di me.
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15 FEBBRAIO
Ora come potrei rivolgerti la parola, che mi tiro a lustro per sopperire al vuoto dello specchio e rivedo sul nastro l'istante in cui, durante il nostro primo bacio, mi hai buttato le braccia al collo, un sabato sera ubriaco. Chissà come campa chi è sopravvissuto al patibolo e ha salvato il tutto a scapito di una parte, o cara storpiatura. Non volevo restare indietro: tu ambiziosa e sgombra, io bisognoso delle tue cure. Rischiavo di versare troppo sangue e la mia voce non doveva finire al vento, non poteva : ci riconoscevamo a stento in mezzo al mercato del pesce a Rialto nella bora, nella solita bufera neanche sapevo perché fossi lì.
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1 APRILE
Finalmente vi ho fregati. Ho compreso che dopo il segmento - la retta, se vi fa stare meglio - ha senso solo la circonferenza: ho sentito sotto i piedi che la terra è tonda e gira su se stessa come me, a differenza vostra che dentro credete che sia piatta. Dopo la prima non ci potrà essere la seconda, la terza e via dicendo, ma soltanto l'ultima che chiude il cerchio.
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29 APRILE
Comunque sia , Euridice, ogni cosa succede per sempre dentro di noi, ma c'è chi non se ne cura, non riesce a notarlo. C'è chi toglie il respiro all'eternità di un momento - non riconoscendolo - e lo priva così della dignità. Comunque sia, Euridice, non svanirò in un gesto, tanto meno in un canto. Mai. Io resto e resterò persino muto, se sarà necessario. Metto sul piatto della bilancia ciò che mi è più caro, sapendo che non mi abbandonerà, ma se anche fosse, che è servito alla mia Euridice. Se Orfeo fosse uscito al buio a mano con lei, non avrebbe più avuto motivo di cantare, ma l'avrebbe salvata dagli Inferi. A me non interessa compensare. Orfeo si è girato perché non ci credeva abbastanza - codardo - io sì.
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31 AGOSTO
Sono complicati, articolati, e spesso vengono dati per scontati, vengono trascurati i legami di cuore. Forse è per questo che ci si infiamma per tutt'altro, per timore di perderli. Dentro di sé ognuno lo sa dal primo giorno di sole che di occupazioni e passioni pratiche ne avremo sempre per le mani e non si muore, ma le persone alle quali ci si affida sono un tenero salto nel buio, ciò che scade e ha la durata più incerta.