sabato 29 febbraio 2020

LE POESIE D' AMORE DI GYULA







                                                        Canzone ungherese per un suicida


NON MI RICORDO PIU'

Non mi ricordo più quant'era bionda,
ma quando l'estate arriva
di spighe dorata ricca,
la sento di nuovo, la sua biondezza.

Non  mi ricordo più
 i suoi occhi quant'erano blu,
ma in settembre, nell'azzurro dei cieli,
mi pare di vederli.

Non mi ricordo più la sua voce di seta,
ma in primavera, quando il prato respira,
da una pasqua come il cielo lontana,
mi sembra di sentirla.


                                                ***

E' AMORE ?

Non so che cosa sia, ma è tanto bello,
trasognare sulle tue parole
come sulle nuvole accese dal tramonto:
si intravede il barlume delle stelle.

Non so che cosa sia ma è dolce,
il tuo sguardo quando mi cerca,
come il raggio di sole che brilla
nonostante sia vicina la sera.

Non so che cosa sia, ma sento che
la vita è diventata di nuovo più bella,
le tue parole che mi accarezzano il cuore
come la seta, come il vento di primavera.

Non so che cosa sia ma è tanto bello,
un dolore dolce, che non mi dispiace,
e se è stupido, se è sbagliato, che sia;
se è amore , scusami tanto.


                                               ***

DOPO ANNA


Questo sarà un autunno triste. 
Dove sei, Anna? Com'era il tuo bacio?
Ore tristi: il mio tempo è questo;
rose assopite: sarà un autunno triste.

Dò un bacio alla tua anima:
dove sei, Anna? Com'era il tuo pianto?
Pianto remoto, da te già scordato,
ma per esso bacio la tua anima.

Io desidererei vederti.
Dove sei, Anna? Quale via guida a te?
Devo ritornare? Oh, che spaventi!
Ricordi stupendi: mi uccidereste...


                                               ***

FORESTA

Balenano occhi di belve, fuochi di briganti.
Mi sono ingrandito accanto a te, come una foresta.
Se tu dessi una radura alle mie fiere,
mansuetudine ai rapaci che ho in me!
Tagliati una strada attraverso me, se hai un dio.
O cercalo qui.


                                                 ***

NEBBIA AUTUNNALE

Vedi come fuma già la nostra vecchia Mecsek.
La corrente della nebbia autunnale si getta
ai suoi piedi in schiume dense.
Scuote un vento beffardo i rami striduli
degli alberi, le ultime frutta,
incorona di antichi dolori le nostre giovani teste.

Scende su noi, adagio, l'inverno, Anna... e
una tristezza secolare.
Vola, freddo messaggio, dalle valli del Kapos
mute ormai.
Ascolta: solo la pavoncella pigola,
raduna i suoi figli per il viaggio.

Una settimana ancora e sarà brullo il paesaggio,
e di nuovo cadrà sudicia pioggia spazzerà via
il tappeto di porpora dalle strade addobbate come chiese...
gli zoccoli delle bestie sguazzeranno nel fango cinereo,

gorgogliando singhiozzerà l'acqua giù per la gronda...
Ma non versiamo lacrime! Si dissolve questa bufera
per i suoi veleni e un silenzio fecondo calerà
come neve sui sogni della semente. Attizza il fuoco,

tessi le tue braccia scure attorno al mio collo
e canta il concerto ininterrotto degli uccelli; canta
gli agnelli ricciuti e ruzzanti - un paesaggio che resista
e da cui il bruno mietitore porti via la spiga come un figlio.



                Illyés Gyula    da       Tutte le poesie


venerdì 28 febbraio 2020

LA TRACCIA DELLE VENE 1





                                     Noi siamo la casa con le fondamenta di carta..



Hai il potere dello sporangio
che stringe l'atto del seme
evolversi, per scoprirti
bisogna spogliarti, sbucciare
le paure. Guarda, un altro albero
di mele: ora si che possiamo
aspettare in due
le infiorescenze.


                                           ***

Noi siamo le cose non fatte,
i piani mai firmati
il vorrei mai rientrato
a presente. Siamo la casa
con le fondamenta di carta,
siamo la generazione nuova
di batteri sintetici.
Eppure i poeti architettano
la sopravvivenza altrui
morendo a poco a poco.


                                        ***

In questa nebbia ti perdo e mi
ritrovo in gocce sparse sul cemento
che attraversa la carne fin su dalla gola.
Si taglia quasi a fette
l'amore, col sibilo lento
del versamento.


                                       ***

In questo cubo d'aria
c'è tutta la forza
del volersi dei corpi,
se capita una carezza
sono salti di tensione
una buca di potenziale
e appena dopo il picco
alto che svetta. Mi hai preso
la mano e mi sono ritrovata
lì tra le dita
come un imbuto, rovesciata.


                                    ***

Le sento arrivare in punta di piedi
le domeniche senza parole
senza lo scavo e il solco
profondo delle cose
fatte per abitudine, conosco
ogni parte del tuo corpo che potrei
quasi recitarla a memoria
una ninna nanna per l'abbandono
e mi lasci con una stretta di mano
in dono il bulbo chiuso dei ricordi
che bastano per entrambi
da quanti sono.


                                          ***

Il male come una palla
lo prendi e me lo sbatti addosso
si incassa bene nello stomaco
lo incarcero, come un dono
il lento rovesciarsi della coda
tagliata della lucertola.
Torna poi a crescere la separata
distanza del corpo, l'arto che sento
con i prolungamenti delle vene
che puntano dritto alla superficie.



              Cléry  Celeste    da     La traccia delle vene

 



LA TRACCIA DELLE VENE 2





Sono le tue mani che non posso
non conosco mai
sei il ricordo
cieco, perse
probabilità di leggerti
con gli occhi chiusi.
Dentro di me era stato
un rovistare di coperte, il fatto
scritto l'aspirare 
all'odore dentro la camicia bianca
del desiderio.


                                          ***

Il tuo amore lo sento nei passi
che arriva in mezzo al corridoio,
io più nervosa - e lenzuoli tirati,
i capelli ordinati e le mani
al loro posto, perchè la paura degli altri
è ovunque.
Ma dammi il terremoto
ché gli anni mi hanno ostruito 
con castelli di nebbia
il perimetro del cuore;
sei vicino, respiro calma
calcolo la traccia dell'impatto
l'ultimo scarto, la scampo.


                                           ***

Prendo le maniche della tua camicia
e le risvolto con l'abitudine della moglie
che non sa ancora come gestire
questi tuffi degli occhi, mi arrivi in gola
e poi fino al cuore senza filtri
tutto intero  nel tuo essere pieno
padrone del corpo. Guarda come ti respiro
forte, la pelle quasi l'aspiro.


                                          ***

Ci studiamo come animali
all'imbocco della caverna
in procinto di attaccarsi.
E' quella frazione che ci riconosce
uomini si perde nel diluvio della caccia,
i rantoli della corsa tesa
e i muscoli nel loro soffrire
scie di impulsi neuronali antichissimi.


                                          ***

Ho visto la tua pelle
tessersi sulla mia e srotolare
una trama di baci. Ho sentito l'abbraccio
di seta scivolare sul corpo
e i tuoi sguardi sfilarsi dagli occhi
per raggiungere il filo dei miei pensieri.
Le tue mani ricamano le mie
sbrogliando la matassa del tempo
che si diverte a rotolare qua e là.
Ma noi questo tempo lo intrecciamo
l'uno nel corpo dell'altra
per rammendare un nodo
piccolo di eternità.




                 Cléry  Celeste     da    La traccia delle vene

giovedì 27 febbraio 2020

L'INSOSTENIBILE BISOGNO DI AMMIRAZIONE 1




                     " Tutto quello che fa lo fa per te, vuole che tu gli dica " Ben fatto!" 


(...) Nel corso di una peregrinazione sprezzante e sfiduciata nella
      terminologia psichiatrica e psicologica per intercettare un
      termine che rendesse ragione di ciò che mi sembra persèguiti
      tutti coloro che cercano di mettersi in salvo dal rischio di
     vergognarsi del corpo e dell'imbarazzante scarsità di fascino
     che riescono a sprigionare, mi sono imbattuto con meraviglia
     nel termine  non tecnico " ammirazione ". Questo termine ha
     saturato quasi del tutto il bisogno di raccontare gli incantesimi
     della spasmodica ricerca di catturare lo sguardo dell'altro, 
    senza rischiare di connotarla come condizione psicopatologica
   o una banalissima moda effimera e superficiale.
   La ricerca di ammirazione ritengo sia una vicenda da chiunque
   comprensibile, persino dai bambini più piccoli - anzi , forse da
   loro dovremmo farci spiegare l'origine remota del bisogno di
   essere teneramente rispecchiati mentre si cerca di crescere, ma
   si soffre dei limiti e delle difficoltà frapposte dalla cultura degli
   adulti e dai rituali educativi vecchi di millenni oltre che dei 
   limiti imposti dal corpo ancora fragile e debole.
   Lo sguardo dell'altro e in generale lo sguardo sociale comunque
   somministrato - anche virtualmente - è il regista indiscusso dell'
   eventualità di cadere in vergogna o viceversa di assurgere al
   godimento dell'ammirazione, anche se fulminea, effimera e 
   spesso notata e apprezzata solo dall'interessato che è lì apposta
   per misurare gli effetti della propria fatica e dei mille sacrifici
   autoimposti.  (...)



Gustavo Pietropolli Charmet  da   L'insostenibile bisogno di ammirazione

 

L'INSOSTENIBILE BISOGNO DI AMMIRAZIONE 2



(...) L' ammirazione consiste concretamente in una sorta di 
      aggancio visivo, un abbordaggio reciproco degli sguardi che
     si incontrano come raggi di luce nel buio:l'aggancio visivo alla
    base dell'ammirazione è confrontabile con quello che si realizza
    al debutto della vicenda amorosa o nella sfida satura di odio e
    di bisogno di violenza radicale e immediata di due contendenti
   furibondi.Lo sguardo dell'ammirazione è molto meno penetrante,
   più  rapido ed effimero, sfiora la mente e l'anima del ricercatore
   di ammirazione, ma lambisce senza penetrare, non modifica e 
   non nutre, è solo un segnale, un timbro che certifica l'esistenza e
   la sua relativa dignità di accesso allo spazio sociale. Da quel 
   momento essere lì e partecipare al lavoro, allo studio, al gioco o
   alla guerra è praticabile, legittimo e  non ha più bisogno di
   convalida : ormai si fa parte della task force deputata a salvare
   quello che resta del senso. Poi naturalmente sono necessarie
   ulteriori convalide non solo del valore, ma soprattutto della
   necessità e utilità della propria presenza, manifestazioni quali
   l'applauso, che oggi si spreca perfino ai funerali oltre che ai
   matrimoni, gli abbracci e le strette di mano, quelle ricche di
   sottintesi che grondano approvazione e bisogno di contatto per
   poter dire di aver addirittura toccato l'idolo, che era lì a portata
   non solo di sguardo, ma anche di mano.
   Questi preliminari non sono una condizione destinata a durare a
   lungo, sono solo il trampolino da cui decollano altri fenomeni
   cruciali perchè servono a convalidare l'evento iniziale che ha
   sancito l'esistenza sociale del soggetto. Non c'entrano la stima,
   l'amore, la devozione e altri stati affettivi che caratterizzano le
   relazioni sociali dotate di spiccata intensità: in questo caso si
   tratta solo di un'atmosfera di compiacente copresenza nel 
   medesimo spazio sociale, di una allusione ad una speciale,
   comune appartenenza che consente di capire il valore al di là
   della prestazione.E' solo un'utile premessa per potersi intendere.
   (...)



Gustavo Pietropolli Charmet  da  L' insostenibile bisogno di ammirazione

 

L'INSOSTENIBILE BISOGNO DI AMMIRAZIONE 3



(...) L' ammirazione incrementa blandamente l'autostima, ma è
       difficile da acquisire ed è talmente traumatica, allorchè
       sopraggiunge, che crea dipendenza, cioè nostalgia acuta dell'
       evento meraviglioso nel corso del quale si sono accese 
       finalmente le luci e il soggetto è uscito di scatto dal cono d'
       ombra in cui consumava l'attesa della convocazione da parte
       della vita e delle luci dei riflettori sociali.
       Poichè si tratta di un evento relazionale che aggancia due 
       sguardi e comunica  contenuti ineffabili e difficilmente 
       verbalizzabili, è utile chiedersi quale sia il funzionamento
       mentale dell'erogatore di ammirazione e che cosa promuova 
      in lui il decollo dei fenomeni destinati eventualmente ad essere
      percepiti e utilizzati dal destinatario come documento segreto 
      di ammirazione. Ciò che funziona da motorino di avviamento
      della costruzione dell'ammirazione è effettivamente una sorta 
      di riconoscimento nel soggetto di qualche caratteristica che
      affascina non eroticamente, ma antropologicamente, uno
      stimolo all'interesse per la persona e il suo misterioso portato,
      l'impressione che si tratti di un altro da sé che però conserva e
      accenna a una comunanza non tanto di competenze, ma di
      motivazioni, di talenti acerbi che stentano a diventare  una
      vera capacità espressiva e capacità di simbolizzazione.  (...)



Gustavo Pietropolli Charmet  da  L'insostenibile bisogno di ammirazione

 

L'INSOSTENIBILE BISOGNO DI AMMIRAZIONE 4



(...)Altre volte si tratta di risonanze empatiche,l'impressione di una
     condivisione remota e profondissima di una condizione simile 
     di partenza, di una difficoltà vissuta e forse in parte superata, 
     di un dolore sperimentato e ancora presente nella memoria e 
     nella storia vivente della persona. L' ammirazione non è nè
     amore nè desiderio di conoscenza,ma contemplazione, curiosità
     positiva, bisogno di lasciar parlare, di sentire raccontare, di
     immaginare futuri possibili, una piccola invidia nel sentirsi
     esclusi e nel non poter nè essere nè condividere appieno.
     L' ammirazione ha una parentela stretta con la meraviglia: è
     perchè il soggetto suscita meraviglia che si accende l' 
     ammirazione, ma si tratta di esperienze emotive fulminee, di
  attimi fuggenti;per chi sperimenta i precursori dell' ammirazione
  non si tratta di un'esperienza forte che entra a far parte dell'
  identità affettiva del soggetto, ma rimane in superficie e in fondo
  non si tratta neppure di un'emozione veramente gradevole e
  positiva poichè l'ammirazione prevede la non condivisione e la
  non appartenenza iniziale e quindi somministra la dolorosa
  esperienza dell'esclusione ontologica da ciò che si ammira, che
  rimane circonfuso da un alone di magia ineffabile. Poi si vedrà
  e dal caos emotivo del primo sguardo si diraderanno le nebbie e
  si scorgerà il profilo del soggetto e si misurerà il suo valore per
  così dire " reale ".   (...)



Gustavo Pietropolli Charmet  da   L'insostenibile bisogno di ammirazione

 

M'INDOVINI D'ACQUA




                                                        Tu cogli una bellezza d'acqua...


Tu m'indovini, perchè mi sai
da che ti sono dentro - nel profondo.
Tu cogli una bellezza d'acqua
ispida, un mare colmo di pieghe - dove
sostare a prendere respiro - l'oceano
delle buone braccia per stare a galla
quando muove una burrasca. E vortici
improvvisi per farsi trascinare al fondo
- negli abissi - e lì smarrirsi. E freddo
per la mente vigile, e caldo per gli abbandoni
nel sogno, tra i pesci colorati della cura,
tra la passione liquida e la sabbia
nuova nel fondale. Dove scavi.



                                         frida


 

LA CURVA ORBITALE




                                           Sai di profumi che attraverseranno gli anni...



Liquefà la curva orbitale, accanto
divieni pelle di mare spalancato, e dischiusura
d'uovo maturo - e impronta e occhio
disegnato sul colmo dei miei tetti.

Curioso la curiosità, agisco
i tuoi anfratti trattenuti, ti so colma
di salso e d'abbandoni - e ti imploro
di carne, di sequenza.

Sai di profumi che attraverseranno
gli anni, seppellirai i giochi del mattino
e il folto delle primavere nei grappoli
dell'Isola. Eppure non sarai un transito,

non vivrai del poco che ricordo: nuova luce
riceveranno i gomiti, gli angoli delle tue braccia
aperte. E i fuochi distanti sulla sabbia
un nuovo accesso, un prossimo levante.



                            Augusto  Pivanti 


mercoledì 26 febbraio 2020

POESIE DI ROBERT WALSER






                                                             
                                                 Acquaforte di Karl Walser


NOSTALGIA

Mi sforzo
di ridere e scherzare.
Che devo fare?

Nel cuore stanco
si aggirano - come al solito -
dolori antichi.

Devo frenare
la voglia di piangere,
insieme ad altre cose.


                                                 ***

STELLA MATTUTINA

Apro la finestra,
un'opaca luce mattutina.
Ha smesso di nevicare,
una grande stella è al suo posto.

La stella, la stella
è meravigliosa.
L'orizzonte è bianco di neve,
bianche di neve sono le cime.

Fresca e profonda
quiete mattutina del mondo.
Ogni voce risuona chiara,
i tetti luccicano come tavoli per bambini.

Tutto è silenzioso e bianco:
un grande splendido deserto
il cui freddo silenzio rende vano
ogni commento. Dentro di me avvampo.


                                             ***

PREGARE

Pregare è stasera
tutto ciò che mi resta da fare.
L'ho terminato - il giorno -
ho viglilato su di esso
e ora posso riposare.


                                               ***

LUCE

I giorni grigi dove il sole
si comporta come una pallida
suora sono ormai finiti..
Una giornata blu sta là sopra blu,
un mondo intero si è aperto,
sole e stelle vi brillano.

Tutto è accaduto in silenzio,
senza rumore, frutto di una volontà
aliena da ogni cerimonia.
Sorridente il miracolo si schiude,
non servono per questo razzi
o micce, solo una notte chiara.


                                            ***

CULLARSI

Non voglio fare nient'altro
se non vegliare ancora un po':
è così bello rimanere soli
ancora desti e vivi.
Posso già stare coricato a metà
e fino al sonno già cullarmi
nel sogno.




                       Robert  Walser    da         Poesie



E in una giornata di neve morì: il 25 Dicembre 1956, mentre  - come al solito - stava facendo una passeggiata nel bosco...


lunedì 24 febbraio 2020

GLI AFORISMI DI DE BRITO





                                                           La passione è una malattia...

 

Dannazione. Trasformare il dolore che mi perseguita nel mezzo della notte nella porcheria di un aforisma.


Ho più rispetto per un villico che si suicida che per un poeta che si ripete.



La perfezione - per la donna - risiede nella nascita: di se stessa o di un altro da sé. Per un uomo la perfezione risiede nella morte.


La dignità con cui muoiono gli animali: non hanno nulla da lasciare.


Ecco l'umiltà . Non si mostra, non si afferma, non proferisce.
Si avvicina al silenzio.


Voci, queste voci, questo rumore quando avevo bisogno del silenzio. E il silenzio secco quando avevo bisogno della tua voce.


Il mio desiderio - nell'amore e nella poesia - è lo stesso: sesso e canto in tutto ciò che tocco. Le parole raramente si allontanano  mentre amo : forse solo quando la morte mi vive. La pulsione erotica mai si esilia dalla mie poesie, anche se parlassi di pietre, che sarebbero sempre colme di tensione. Vengono a letto con me. Il mio corpo vuole festa ancora e ancora. Il bello è che mi hanno liberato dalla monogamia.


La passione è una malattia che trasforma l'uomo in una libellula incendiata. Dura meno delle sue ceneri.




                Casimiro  De Brito    L' aforisma in Portogallo

 

LA TUNDRA DELL'ETA' DI MARIA LUISA





                                               I miei occhi erano specchi...



LA TUNDRA DELL'ETA'

I

Il tulipano nero e il giglio in lotta
lungo l'argine, in bilico. Scenario
delle mie notti, spazio del riposo
devastato da incubi e amarezze.

L'aria mi manca da due mesi, plana
la tundra dell'età. Sfiorisce l'erba
e a poco a poco anche la quercia soffre
nelle antiche radici. Le credevo
baluardo contro il nulla.

Mi aspettavo battaglie, corpo- a- corpo
contro forme visibili. Difficile
rassegnarsi all'insolito. Non lotte,
ma viscidi fantasmi fatti d'aria,
di ossigeno negato.


II

Tu, nuovo amico, prendimi per mano,
tu che sai tante cose. Mi hai guardata
negli occhi. Erano specchi in cui leggevi
tutte le verità della mia vita.

A mia volta guardavo in quegli occhi
con nuova intelligenza. Sì, i segnali
della gioia svettavano per strada,
e tutti li ho vissuti, una leggenda.

Ma vuole la natura - l'usuraia -
che tutto si ripaghi. Di ogni cellula
variopinta, nel nucleo si cela
solo ibernato il tulipano nero.


                                                 ***


I NOMI

Io amo amare. Tutta la mia vita
brillò di stelle a sfida d'ogni buio.
Furono pianetini, soli ardenti,
meteoriti, lune, astri,  comete.

Di sei uomini il nome mi accompagna,
soavi nomi esotici o di casa.
Astronomi famosi: quale gloria
poter dare dei nomi alle stelle.


                                               ***

PICCOLA SIUTE MUSICALE

I

Germogliano parole dalle sorgenti di vita,
riemergono in sogno, ma il cifrario manca.
Ne sfioro un lembo - a volte - ma la musica si perde
come un tempo sfumava la serenata.


II

Ogni erba crescendo fa una musica,
l'edera è un contrabbasso, il gelsomino un flauto,
la campanella al vento è una valchiria,
l'ortica vuole buccine d' Aida.

Troppo frastuono per i morti che
sono morti per scordare la vita,
l'assordante concerto, il polo ostile
del silenzio, violino di Dio.


III

Il violino saliva, straziato saliva,
sfidava e andava a frangersi in un muro.
Silenzio enorme di ultrasuoni. Prima
carnalmente ignoravo la morte.

Lei non si lascia alle spalle le voci.
Le riassorbe in nulla senza vortici.




                      Maria Luisa Spaziani   da     La tundra dell'età



domenica 23 febbraio 2020

DOMANDE







                                  A me non interessa chiedervi
                                  se siete o non siete credenti.
                                  A me interessa sapere
                                  se siete credibili.
                                  E' questo che un giorno Dio
                                  chiederà a ciascuno di noi.



                        Don Andrea Gallo  (" Un prete che si è scoperto uomo" )


 

IL LAMENTO DEI MORTI ( Presentazione )



Abbiamo ucciso i morti, e adesso ci aggiriamo in una vita che è poco più di un pregiudizio, lontani dalla pienezza dell'esistenza. Ecco il sintomo collettivo, la malattia di cui soffre la nostra cultura, e che le psicoterapie tentano invano di sanare. Lo intuì un secolo fa C.G. Jung, quando iniziò la discesa nei propri abissi inferi che avrebbe speso anni a trascrivere, calligrafare  e corredare di immagini sfolgoranti, consegnando poi il testo ad un silenzio infranto solo nel 2009, con un'edizione che lasciò stupefatti : il Libro rosso, favoleggiato da tempo nelle cerchie junghiane vedeva finalmente la luce, e la sua unicità - ancora da decifrare - scuoteva non solo l'edificio della psicologia, ma ogni altra costruzione concettuale sul territorio della psiche.
 "Lì nulla potrà mai più essere come prima ", è la convinzione comune di James Hillman , il discepolo " eretico " certamente più noto, e di Sonu Shamdasani, che curò  con grande impegno e acume l'edizione del libro.
Nel clima sintonico creato dalla loro spigliata libertà intellettuale, i due conversano a caldo sul significato di un'impresa per cui vanno cercate le parole adatte al di fuori dei linguaggi specialistici, in direzione metaforica, poetica e drammatica. Attraverso il dialogo di Hillman e Shamdasani si precisa così l'entità dello scuotimento : la gerarchia dei vivi e dei morti ne esce capovolta perchè - nel profondo di sé - Jung non rinviene i traumi personali che l'abbaglio introspettivo è solito portare a galla : vi incontra invece le figure ancestrali della storia umana, i morti che lamentano di restare inascoltati. Soltanto se presteremo loro orecchio e li riaccoglieremo tra noi, sapremo curare la nostra sofferenza di vivi, senza sacrificare un passato inconciliato ad un futuro esangue.
E' questo allora il vero " lascito " di Jung : un moderno Libro dei Morti che non contiene istruzioni per l'aldilà, bensì un viatico terreno per restituire a ciascuno l' " anima vivente ".




                                               ( f. )



IL LAMENTO DEI MORTI ( Prefazione )








           " Accettai il caos e la notte seguente l'anima mia mi visitò " ( C.G. Jung )


Nell' Ottobre 2009, poco dopo la pubblicazione del Libro rosso di Carl Gustav Jung, James Hillman ed io iniziammo una serie di conversazioni intorno all'opera. Nell' Aprile 2010, su invito dello Hammer Museum di Los Angeles, uno dei nostri dialoghi si svolse in pubblico; nell' autunno e nell'estate seguenti, i colloqui proseguirono nel Connecticut e a New Jork.
Questo libro raccoglie le trascrizioni di tali conversazioni. Temi e motivi ricorrenti, esaminati da angolazioni diverse, sono stati conservati. Prima che Hillman ci lasciasse, nell' autunno del 2011, rivedemmo entrambi il testo approvandone la versione definitiva.



                              Sonu  Shamdasani  ( Curatore de  il Libro rosso 


)

IL LAMENTO DEI MORTI 1




QUINTA CONVERSAZIONE

James Hillman

Il Libro rosso è importante anche per quanti ne ignorano l'importanza. E' un'icona. Per come la vedo io, riorganizza o decostruisce o cambia - in qualsiasi modo la si metta - l'idea del personale profondo. La soggettività profonda. A conti fatti, in questo libro il personale profondo non è la vita personale, l'infanzia, il trauma, la famiglia : nelle profondità, Jung non incontra niente di tutto ciò. Incontra la storia umana. Incontra le figure, incontra l'immaginazione, ed è questo il personale profondo, che libera me - o chiunque altro - dall'introspezione costante, dal cercare di capire che cosa non va in me, perchè mi sono evoluto in questo modo, qual è la mia personalità, qual è il mio trauma. E' la malattia introspettiva degli ultimi cento anni : Cogito ergo sum " penso, dunque sono", il pensiero introspettivo mi porta a ciò che sono. No. Si scopre invece che nelle profondità c'è la storia umana, e figure, creature, scene, paesaggi, voci, insegnamenti, un mondo straordinario: questo è il profondo della personalità, e fà sì che io non sia più spicologico. Non sono più intrappolato nei cento anni della psicologia occidentale.


Sonu Shamdasani

Jung si imbatte in un flusso di immagini e incontra la memoria collettiva e la fantasia. Non la mamoria personale. Una dimensione mnemonica c'è, ma è la memoria collettiva ad essere animata, ad avere un ruolo cruciale. Jung si trova costretto ad affrontare diatribe come quella fra il cristiano e il pagano, per poi vedere come la sua stessa vita non è esclusa da tutto ciò, ma non si fonda più sui realia, sui personalia. Sono le immagini a modellarla.


J.H.

Siamo " tenuti in vita " dalle immagini, come si diceva.


SS.

Jung se ne rende conto allora. Esistono poteri che si muovono nelle sue profondità


J.H.

Il personale profondo.


SS.

Non si potrebbe immaginare un libro meno freudiano di così. Quella struttura viene completamente smantellata.


J.H.

Eppure è la struttura che ha dominato gli ultimi cento anni. Abbiamo avuto un secolo di psicoterapia basata sull'introspezione. Invece il Libro rosso non è introspettivo, è un racconto, un récit- come lo intendeva Corbin - una sorta di viaggio visionario in un mondo di scene, di luoghi, di persone, di figure. E non è raggiungibile mediante l'introspezione.




  James  Hillman & Sonu Shamdasani    da   Il lamento dei morti


 

IL LAMENTO DEI MORTI 2



SESTA CONVERSAZIONE


James Hillman

Mi sembra che in qualche modo abbiamo ribattutto alle critiche sollevate dalla psichiatria convenzionale: il Libro rosso non è la manifestazione di una malattia, nè creativa nè di altro tipo. Tuttavia le critiche arrivano anche da un altro fronte: quello del cristianesimo, secondo cui l'opera di Jung sarebbe demoniaca. Karl Jaspers, per esempio, elenca cinque motivi per cui scendere nel mondo infero, parlare con le figure, ascoltare le voci - fare ciò che fece Jung - sarebbe demoniaco e non cristiano. E' aprire una porta al caos, che Cristo spazzò via quando disse ai discepoli che la sua voce è l'unica che bisogna ascoltare. La voce di Gesù è l'unica che potremo mai udire. E' un po' contorto, ma credo che lei abbia capito di che cosa parlo. Il libro è sotto un duplice attacco: quello della psichiatria e dell'ortodossia convenzionale, da un lato, e quello dell'ortodossia cristiana, dall'altro. Lei cosa ne pensa?


Sonu Shamdasani

Il libro è in effetti un testo eretico. Ma rimane all'interno di una cornice cristiana.
Se ci fosse un indice analitico, mostrerebbe che la figura cruciale è Cristo. Negli scritti successivi, lo sviluppo della tradizione cristiana soffocò la formazione del simbolo individuale - come la definisce Jung - bloccando l'accesso all'esperienza religiosa diretta. Nel Libro rosso c'è un tentativo di recuperarla.


J.H.

Ed è terapeutico.


SS.

Nei termini dell'incontro con il peso della storia, Jung affronta le conseguenze, gli effetti che due millenni di cristianesimo hanno avuto sull'anima.




  James Hillman & Sonu Shamdasani   da    Il lamento dei morti



IL LAMENTO DEI MORTI 3



UNDICESIMA CONVERSAZIONE


Sonu   Shaamdasami

La questione centrale è il lamento dei morti. Chi sono i morti? L'aspetto così radicale è il capovolgimento della gerarchia fra i vivi e i morti. Le questioni dei vivi, i problemi dei vivi, la sofferenza dei vivi trovano risposta o possono essere affrontati solo prestando attenzione ai morti. I termini sono rovesciati. Se non capiamo quale posizione assumere nei confronti dei morti, non possiamo trovare una soluzione per la nostra vita. Che cosa ne pensa?


James Hillman

La cultura occidentale moderna e secolarizzata è una cultura molto strana, e la nostra comversazione ne è imbevuta. Non veneriamo gli antenati, non abbiamo un vero culto dei morti. Diversi ambiti della cultura hanno la loro  parte di responsabilità, ma persino l'espressione " i morti " ci spaventa perchè appartiene all'altro mondo. Nella cultura moderna c'è una netta separazione fra i vivi e i morti. La medicina non fa che contrapporre la vita alla morte, cerca di rinviare la morte prolungando la vita e tutto ciò a spese della morte, direi. Perciò, quando parliamo del lamento dei morti, o di qualsiasi cosa che abbia a che fare con loro, dobbiamo pensare alla cultura in cuici troviamo, con i suoi profondi pregiudizi storici su ciò che è stato, ciò che è sepolto, e a quello che abbiamo fatto per creare un regno dei morti: non è solo il luogo dove si trova chi se n'è andato prima di noi, chi è morto, ma è il deposito dove si accumula tutta la storia della psiche umana, la storia dell'anima. In qualche modo, se Jung parla di lamento dei morti, vuol dire che i morti si sentono o si sono sentiti maltrattati, trascurati o altro. Il primo passo dovrebbe essere ascoltarli, come fece lui nei Sette sermoni  del 1916, una sorta di documento religioso ispirato. Ma che cos'è, di preciso, il lamento dei morti?


SS.

Per prima cosa : i morti esistono. Proseguendo il suo ragionamento, si potrebbe dire che la cultura contemporanea abbia ucciso i morti. E' un bel paradosso. Jung affronta innanzitutto il compito di rianimarli, riconoscere che sono presenti e incombono su di noi. Riconoscere che i " morti ci sono ", e hanno una presenza, e hanno degli effetti. Per una volta distogliamo lo sguardo dalla vita proiettata verso il futuro e ci soffermiamo su quanto è successo prima, sotto forma di storia animata, che non è un semplice archivio, ma è storia attiva.


J. H.

Una storia di esseri vivi, che stanno tutt'intorno a noi.


SS.

Il punto è: come si fa ad udirli? Jung si avvale della fantasia. Per lui la fantasia è la porta verso i morti che parlano ancora dentro di noi.


J.H.

Ecco perchè ascoltare le fantasie: vengono da qualche altra parte, non sono il risultato di ciò che abbiamo visto dutante la giornata : hanno una validità autonoma. In un certo senso lei sta dicendo che riconoscere l'esistenza dei morti significa già ascoltarli.


SS.

E' il primissimo passo. Riconoscere che non c'è posto per loro.


J.H.

Secondo lei la morte dei morti è legata all'azione del Cristo nel mondo infero e all'insistenza sul fatto che la sua voce sia l'unica voce, perchè è sceso agli inferi e così via ?


SS.

E' un collegamento interessante. Cristo ha predicato ai morti, ha tentato di salvarli. Nella formulazione di Jung, i morti non sono appagati. Quelli che incontra sono inquieti, le loro domande sono rimaste senza risposta. In questo senso " la discesa agli inferi " potrebbe essere concepita come un mezzo per chiudere il regno dei morti e sbarazzarsi di loro.


J.H.

Vanità delle vanità : " Dov'è - o morte - la tua vittoria.


SS.

Hanno udito il Vangelo.




    James Hillman & Sonu  Shamdasani  da     Il lamento dei morti

 

venerdì 21 febbraio 2020

IL SIPARIO




                                                          E mi spengo da sola. 
                                                                              - La luce.  


Lascio sempre 
una mezza luce accesa sui sogni
per paura che faccia buio
dietro le finestre
anche se gli occhi sono chiusi.

E solo quando dormo, solo quando
lo vedo senza tutti i lustrini
che di giorno gli metto,
mi avvedo
che il sogno mio non esiste.

E si spegne da sola
mi spengo da sola
- la luce.


                                   
                                          frida

giovedì 20 febbraio 2020

ALLORA LEI PENSO' ...



                                           
                                             L'odore del mare mi calmerà...



Allora lei pensò ad una casa sulla sabbia
- vertigine di luce sui muri bianchi -
e nelle stanze ricordi di conchiglie,
un mare lento ma ancora vivo sulle sponde
a restituirle alghe e dolcezza di muschi sulla pelle.

L'elfo - lei pensò
avrebbe veleggiato verso terra
per soffiarle rugiada nei capelli
e per ritrovare la sua bocca arresa,
lui che da sempre sapeva riportare
parole e grani di rosario
dai labirinti della sua memoria.



                                    frida

 

LA STOLTEZZA DELLE MURA ( Tu, in un modo nuovo )




                                                               Dipinti murali a Mugnano


Il sentire viandante conosce
i varchi segreti, gli accessi
improvvisi che rompono il ritmo
delle fortificazioni, le torri
di parola che invadono
le corti inerbite del pensiero.

Avevo città espugnate, ammassi
di pietra invalicabile, incorrotta
tutte le chiavi perse, le porte
divenute sassi anch'esse, nessun ariete
a rompere la cinta - e pece, enormi
orci di pece ardente in orlo ai merli.

Ma hai bussato e io - dallo spioncino -
ti ho scorta innocua, senz'arco nè ferrata.
Così, agli acccessi protettissimi dell'anima
è stata sussurrata la stoltezza delle mura,
e ho - ora - prati e botteghe colmi d'improvvisa
festa, e idea assoluta di nessuna morte.




                               Augusto  Pivanti


LASCIAMI ANDARE, MADRE 1




" Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia ".  (P. Levi )

 
VIENNA, MARTEDI' 6 OTTOBRE 1998. IN ALBERGO

(...) Dopo ventisette anni, oggi ti rivedo, madre, e mi domando se
       nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi
       figli. Stanotte non ho chiuso occhio. Ora è quasi giorno: ho
       aperto la serranda. Un fumoso velo di luce si va schiarendo
       sopra i tetti di Vienna.
       Oggi ti rivedo, madre, ma con quali sentimenti? Che cosa può
       provare una figlia per una madre che ha rifiutato di fare la
       madre per entrare a far parte della scellerata organizzazione
       di Heinrich Himmler ? Rispetto? Solo per la tua veneranda
       età - ma per nient'altro. E poi ?. Difficile dire : nulla, dopo
       tutto sei mia madre. Ma impossibile dire : amore. Non posso
       amarti, madre. Mi sento agitata, e mio malgrado ripenso al
       nostro ultimo incontro nel 1971 allorchè ti rividi dopo trent'
       anni, e rabbrividisco al ricordo dello sgomento che provai
       scoprendo che eri stata un membro delle SS.
       E non ti eri pentita, anzi.Ancora ti compiacevi del tuo passato,
       di essere stata - di quell'efficiente fabbrica di orrori - un'
       impiegata modello.
       Sono le sei, il cielo è livido: la giornata sarà piovosa.
       E oggi ti rivedo, madre, per la seconda volta da quando mi
       abbandonasti, cinquantasette anni fa : una vita. Avverto un
       senso di eccitazione amara, di attesa impaziente. Perchè
       nonostante tutto sei mia madre. Che cosa ci diremo? Che cosa
       mi dirai? Coglierò in te una traccia di rammarico per quello
       che non c'è mai stato tra noi? Avrai per me quella carezza
       materna che desidero da oltre mezzo secolo? O mi strazierai
       ancora con la tua indifferenza?
       Nel 1971 vivevo in Italia e avevo un figlio piccolo, Renzo; fu
       all'improvviso che provai, irrefrenabile,il bisogno di cercarti .
       Ti trovai e insieme al mio bambino mi precipitai a Vienna per
       riabbracciarti. Ma quel nipote che ti guardava con tanto
       incuriosito entusiasmo, tu lo trattasti con distacco, negandogli
       il diritto di avere una nonna, così come nagasti a me quello di
       avere finalmente una madre. Perchè tu non volevi essere
       madre e fin da quando siamo nati hai sempre affidato ad altri
       me e mio fratello Peter. Eppure nel Terzo Reich la maternità
       veniva ossessivamente incensata, in particolare dal ministro
       della Propaganda, Josef Gobbels.
       Perfino Himmler sosteneva, madre, che un principio non 
       doveva mai venir meno nei suoi membri: l'onestà, la lealtà e
       la fedeltà nei confronti degli appartenenti al proprio sangue.
     E i tuoi due figli non appartenevano forse al tuo stesso sangue?
      No, tu non volevi essere madre, preferivi il potere.
     Di fronte a un gruppo di prigioniere ebree ti sentivi
     onnipotente. Guardiana di denutrite esauste e disperate ebree
     dal capo rasato, dallo sguardo vuoto-  che misero potere -
     madre !   (... )



                      Helga  Shneider   da     Lasciami andare, madre

 

LASCIAMI ANDARE, MADRE 2



(...) Sono le sei e venti: comincia a piovigginare. Il cielo uggioso
      esaspera la mia inquietudine. Avrei dovuto ignorare la lettera,
      ne sono sempre più convinta.Sarei rimasta turbata per qualche
     giorno,poi a poco a poco l'avrei sepolta insieme a tutto il resto,
     scivolando di nuovo verso una parvenza di serenità. E invece 
     no. Ho consentito a me stessa di lasciarmi sopraffare dalla
     notizia, dalle parole accorate di Frau Freihorst. O forse dalla
    curiosità: che aspetto poteva avere mia madre, oggi?
    O invece stava rinascendo in me una piccola, stolta speranza?
    Forse era cambiata: forse si era pentita, forse l'estrema 
   vecchiaia le aveva addolcito il cuore;forse sarebbe stata persino
    capace di un gesto materno. Curiosità, speranza, e una sorta di
   oscuro richiamo. Avevo ceduto,e quasi temessi di cambiare idea,
   avevo immediatamente annunciato il mio arrivo.
   Oggi ti rivedo, madre, e ho il batticuore. Che cosa ci diremo? E
   se - come accadde nel 1971 - vorrai parlare solo di te e del tuo
   passato, così appagante da farti sentire, dopo il crollo del 
   nazismo, come annientata? Tenterai, come allora, di elogiare i
   tuoi ex camerati, tra i quali - di dicesti - vi erano irreprensibili
   padri di famiglia?Ricordo che mi facesti il nome di Rudolf Hoss.
   Ti vantasti di averlo conosciuto bene, e di averne conosciuto e
   frequentato anche la moglie e i cinque figli. Dicesti che Hoss 
   era stato il miglior comandante di Auschwitz, e che quando fu
   trasferito avevi provato un grande dispiacere. Non potevi più
   far visita a Frau Hoss nella sua bella casetta situata nella SS -
   Siedlung all'esterno del recinto elettrificato, lo stesso contro il
   quale molti prigionieri tentavano di gettarsi per trovare una
  morte rapida e liberatoria.Non potevi più ritemprare le tue forze
   nella idilliaca casetta degli Hoss, non potevi più smaltire la
   fatica che di tanto in tanto riusciva a prostrare anche un'
   incrollabile guardiana come te.
   Ho avuto occasione - in seguito - di leggere il memoriale che
   Hoss scrisse nei mesi precedenti il processo e l'esecuzione, e ho
  ripensato con incredulo sgomento all'enfasi delle tue descrizioni.
  Ma forse , madre, forse ora sei cambiata. Forse potremmo
  finalmente parlare come si parlano una madre e una figlia che
   non si vedono da ventisette anni- e che per un'intera vita non si
   sono parlate mai.   (...)



                 Helga  Shneider    da      Lasciami andare, madre