lunedì 13 novembre 2017

ORCIA MISERIA ( Quando campare era un rimedio)1


(...) " Io non so ben ridir com'io v'entrai..."
        Prendo a prestito da Dante - ma quale toscano non lo fa? - un
        verso per narrare lo straniamento d' Orcia. E' la proiezione in
        un altrove dove il confine spazio- temporale svapora come le
        nebbie autunnali per collocare il viandante in un perpetuo
        adesso che è al medesimo istante, ieri, oggi e domani. Quasi
        che si fosse imbarcati su un pendolo percettivo che oscilla tra
        un attuale passato e un futuro remoto; quasi che l'inseguirsi di
        poderucci e rocche, di forteti e campi faticati, di colli e di
        rapide pianure non avesse una definizione netta, ma fosse un
        agglomerato di panorami che si fanno musivo- paesaggio.
        Dov'è il confine della Val d' Orcia? Come tracciarlo se questa
        femminea fessura delle terre di Siena è definita da un fiume-
        torrente che s'inorgoglisce di improvvise piogge fino a farsi
        precipizio liquido? L' Orcia pare riversarsi nell'oceano di
        vigne ondeggiati e di colli sabbiosi - dune ancor più all'
        apparenza vacue del deserto perché di lucore vestite - che
        sembra frangersi come uno tsunami contro la scogliera del
        cielo. E ancora: come percepire l'ingresso in una terra che
        tanto mutevole appare all'occhio da non riuscire a vedere
        l'unità sia pure approssimata per difetto? Sì, non so ben ridir
        com'io v'entrai. Perché ci sono capitato cadendo nel gorgo di
        una vertigine da Ripa d' Orcia; ci sono giunto a dorso di un
        criptico elefante ( così appaiono i grigi arcuati profili delle
        Crete, schiene di pachidermi che percorrono piste sotterranee
        e al loro lento incedere determinano il mutarsi del profilo
        della terra); ci sono sbucato dalla selva del " monte dei Lecci"
        quando, valicato il passo del " Lume Spento" s'intravede oltre
        i rovi e oltre le vigne il nastro rilucente e inquieto dell' Orcia
        che si increspa per la frenesia salmastra della foce. Perché
        l'ho desiderata dalla vetta dell' Amiata e traversati i
        castagneti, scavalcati i dossi di roccia, risolti i silvestri
        labirinti delle foreste ultramaremmane sono uscito fuori - dal
        pelago delle aspirazioni alla riva della concretezza - a
        contemplarne l'armonica complessità. E ogni volta non è un
        riandare, ma è un ritorno, una risacca geografica che scava
        interiormente e muta l'incontro con la Val d' Orcia . (...)


          Carlo Cambi  da  Orcia miseria ( Quando campare era un rimedio)



Nessun commento:

Posta un commento