mercoledì 22 novembre 2017

ELOGIO DELL'OMBRA 2



La vecchiaia ( è questo il nome che le danno )
può essere la nostra età felice.
L'animale è morto, o quasi è morto.
Restano l'uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che ancora non sono tenebra.
Buenos Aires,
che un tempo si lacerava in sobborghi
verso la pianura incessante,
è tornata ad essere la Recoleta, il Retiro,
le confuse strade del quartiere Once
e le precarie case vecchie
che ancora chiamiamo il Sud.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un dolce declivio
e assomiglia all'eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono com'erano tanti anni fa;
ogni angolo di strada può essere un altro,
non ci sono lettere nelle pagine dei libri.
Dovrebbe sgomentarmi tutto questo
e invece è una dolcezza, un ritorno.
Delle generazioni di testi che sono nel mondo
ne avrò letti solo alcuni;
quei pochi che continuerò a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dai Sud, dall' Est, dall' Ovest e dal Nord
convergono i cammini che mi hanno condotto
al mio segreto centro.
Furono echi e passi quei cammini:
done, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni;
ogni minimo istante del mio ieri
e degli ieri del mondo,
la salda spada del danese e la luna del persiano,
le imprese dei morti,
l'amore condiviso, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Ora posso dimenticarle. Giungo al mio centro,
alla mia chiave e alla mia algebra,
giungo al mio specchio.
Presto saprò chi sono.


       Jorge  Luis  Borges    da       Elogio dell'ombra

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