martedì 10 agosto 2021

LA TEMERARIA GIOIA DI ELEONORA

 


                                               Quell'abbraccio te lo sei preso tutto...



" Nei versi di Eleonora Rimolo vi è una reazione al dissesto esistenziale, dopo una lunga e inevitabile consunzione, al fine di consentire la sopravvivenza e il superamento di ciò che appare ostacolarla in modo invincibile. Ricorre nella sua opera una sotterranea inquietudine che finisce per vestire la realtà, in cui l'autrice identifica un altrove indefinito e originario, attraente e mortale nel contempo. L' intraducibile sentimento della  saudade, misto di piacere sottile e di malinconia pungente, insieme al pensiero di ciò che poteva essere e non è stato, con un forte senso del sogno e della perdita, permea la sua opera, risolvendo quella che a prima vista può sembrare una contraddizione. E' una poesia che non salva, consapevole dell'ineluttabilità dei destini umani, ed è proprio questa coscienza a corrompere, di un veleno dolcissimo e irrinunciabile, ogni momento di dolore e di serenità, in una compresenza di piacere e di patimento che si intrecciano in un fortissimo sentire, in un dinamismo attivo che si fa carico del passato, dell'incertezza e dell'indecifrabile, senza precipitare nel vuoto di senso e nella certezza del dissolversi del futuro, per tratteggiare- in ultima istanza,- la necessità di cogliere il frutto dell'ora prima del suo imminente inasprirsi. ( Mario  Famularo )





All'occorrenza il tuo cranio diventa

una sfera colorata, maiolica con frattura:

è quello il punto esatto in cui la debolezza

abdica e tutti i manifesti volano via

angeli di carta ci premono la nuca

sul bordo tagliente della gioia.



                                                    ***


A Natale non c'è spazio per la cronaca

nessuno legge i giornali, le edicole

sono chiuse: Krenz und Abend - croce e sera -

il suono che fanno le tracce umide

dei tuoi passi. Domani qualcuno

tenterà di riconoscerle, il fischio

della civetta dirà che sono trascorsi

nove anni dall'inizio dell'inverno

e la distanza tra la bocca e la roccia

gelerà per sempre il nostro naturale

decomporci in schegge di terra.



                                                          ***


A mani nude gli studiosi scavano le fondamenta

piegati sul fossato: dicono che vi siano tracce

di una civiltà antichissima, credono a quanto c'è

dietro la superficie, pure se la pioggia impasta la pietra,

li sporca di melma, complica l'esercizio della ricostruzione.


E' triste questo nostro bisogno di ordine,

lo strappare la radice e non trovare il seme:

è un franare senza poter bloccare la discesa,

precipitare a brandelli privi del termine di caduta.



                                                     ***


Quell'abbraccio te lo sei preso tutto,

lo hai sentito premere tra le scapole:

un bene semplice che non ti raggiunge.

E' una trincea la casa materna dove mi ospiti,

in cui i morti spiano le mie voglie, i tuoi gesti

misurati: non eccedi in niente, emargini

ai miei occhi le stanze più intime, chiedi scusa

per il disordine e poi dici di no, pronunci

le parole " vuoto " e " fermo" per intendere una fine,

per benedire nel sonno dopo la fatica

questo uso incosciente dell'affetto.



                                                       ***

A volte la macchina del mondo si ferma

con un lungo fischio e io non so 

quale passato usare mentre riposi,

se tu mi sia remoto o prossimo. Come un fossile

la parola segnala il resto parziale di un organismo,

di una cosa che c'era e che c'è : la scheggia

di un tuo dente perduto a scuola da bambino,

l'anello che porti sull'orecchio destro

e tutto quanto ti fa vivo e primitivo

dentro quest'orma sul pavimento,

traccia ovale del risveglio, esempio di partenza.



                      Eleonora  Rimolo  da    La temeraria gioia



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