domenica 8 agosto 2021

IBELLO COME BOSCH

 



Troveremo un altro modo per fare altra la vita...



Se volessi accostare i versi di Giovanni Ibello alle pennellate di un pittore, mi viene in mente  Hieronymus Bosch. In entrambi c'è uno spirito ironico e ribelle, a tratti caustico. Le visioni e le ispirazioni del poeta nascono da credenze popolari e sfondi post bellici. Nel diorama poetico di Ibello, ciò che viene nominato ed evocato, suggerisce la presenza di fiabe, maghi, alchimia, sette, e sullo sfondo simboli che si moltiplicano in continuazione. Le poesie presentano figure che stanno fra l'animalesco e l'umano, descritte utilizzando la categoria del grottesco. In questa incessante e inusuale incarnazione e raffigurazione, emergoni come scogli in un mare in burrasca visioni e accostamenti sempre più inconsueti.






Di quello che sognavi veramente

non resta che un silenzio siderale

una lenta recessione delle stelle

in pozzanghere e filamenti d'oro,

il riverbero delle sirene accese

sui muri crepati delle case.

Così dormi, non vedi e manchi

il teatro spaziale delle ombre.

Il  desiderio è l'ultimo disincanto.

Ma quanti gatti si amano di notte

mentre l'acqua scanala nelle fogne.



                                                 ***


Hai sognato lo scisma dei santi

il mistero della cernia ermafrodita.

Hai sognato

la vergine delle dune

e aceto per le antilopi erranti.

Quando ti vedo dormire

la notte profuma di arance.



                                                  ***


Il tuorlo magmatico dell'alba

si sgretola nei cardi.

E' questo il destino dei corpi:

le amnesie lunari

la lesione tellurica del buio.

Mai nessuno

ci ha chiesto di essere vivi.

Anche tu la chiami morte

questa armata silenziosa senza lume?

Questa rete di spade

incrociate sopra i corpi,

l'antilope che si ritira tra i canneti.

La preghiera del giorno: siamo muti.

Tutto si separa per venire alla luce.



                                                 ***


La mia estasi rimane

lettera morta sul greto.

Brindo al disamore

al cuore profanato nell'acquaio

agli insetti fulminati nell'insegna.

Ci lega la parola feroce,

una giostra di penombre.

L' incanto di una teleferica,

l'esatto perimetro di un grido.

Tu che muori

in quell'assillo di aranceti

che ritorna.

Era l'affanno antico,

l'anemone del giorno

divelto sopra i silos.



                                                    ***


Cercava la risacca nelle pinete

fiutava l'ombra di un ago sul fondale:

la terra rovesciata, il sudario fertile.

Conta fino a zero, le dissi

salta nell'arco cinerino.

E' tutto calmo,

qui è davvero tutto calmo,

il sole è una biglia di benzodiazepina.

C' è ancora un intreccio

di gelsomini carbonizzati sulla pietra.

L'estate

una valanga d'aceto sopra i fiori.

Ma in questo valzer di occhi crociati

non dire una parola, non parlare.

Troveremo un altro modo per fare altra la vita.



                      Giovanni  Ibello    



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