" Sono diventato il sarcasmo dei miei amici, io che grido a Dio perché mi risponda; sarcasmo, io che sono il giusto, l'integro! ( Gb 12, 4 )
(...) Nel racconto biblico, Giobbe appare come un grido. E' la sua postura di fondo. Il grido è il modo più estremo della domanda. Non si articola nelle parole, non risponde alla legge del linguaggio, non è adottato da nessun significante. Esce dal corpo come un altro corpo. E' uno strappo, una lesione, una nuda voce. Quella del bambino inerme innanzitutto. Il grido accompagna la nascita e le prime turbolenti percezioni della vita. Di fronte alla condizione di estrema passività e sconforto nella quale il bambino si trova gettato, il grido appare come una prima invocazione della vita rivolta all' Altro. E' lo stesso che si ripete in coloro che si trovano esposti ad un pericolo o a una condizione di derelizione. E' lo stesso che sorge dalla sofferenza che intacca alla radice la vita umana. Anche nell'esperienza analitica - in ogni paziente - si palesa il grido come domanda di soccorso. E' questa una delle eredità bibliche della psicanalisi dell'ebreo Freud : rispondere al grido della sofferenza, interrogarne il senso. E' questo ciò che Giobbe insistentemente chiede: qual è il senso del dolore che mi affligge? Di fronte alla lama della sofferenza la sua voce non si adagia remissiva nel silenzio, non sussurra, non dialoga con i suoi amici, non si ripiega in una contemplazione meramente teoretica del dolore del mondo. La voce di Giobbe prende corpo solo nel grido. E' il carattere blasfemo della sua interrogazione. E se Dio fosse l'artefice del male, se fosse un persecutore anziché un padre? Se non fosse il Dio del patto, ma il Dio voluttuoso e inumano della pura potenza? Anche la bestemmia, rompendo le consuetudini della comunicazione umana, tende al grido. Giobbe oscilla tra il grido della bestemmia e quello dell'invocazione : bestemmia il Dio sadico che infligge dolore al giusto, mentre invoca il Dio padre dell'universo. La domanda intorno al senso della sofferenza prevale su ogni possibile risposta. Perché la violenza del male si accanisce sull'innocente? Questa domanda nel Libro di Giobbe è la pietra dello scandalo. La sofferenza che non è stata generata dalla colpa, che non è manifestazione della ritorsione della Legge sul reo, eccede ogni forma di spiegazione. Il dolore dell'innocente sovverte la rappresentazione morale della Legge di Dio poiché nessuna Legge, nemmeno quella di Dio, può giustificarne l'esistenza. Questa Legge, infatti, di fronte alla domanda di Giobbe, resta opaca, illeggibile, indecifrabile. (...)
Massimo Recalcati da Il grido di Giobbe
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