La poesia brucia la misura per dirsi addio...
Ho imparato dalle figure smunte
che le ossa hanno l'armonia dignitosa
quasi di un ventaglio
briciole d'avorio che congiungono
la carne a ciò che pensa.
Ho capito
che in una mano non ci sta neanche la malizia dei nervi
né piccoli inverni o indecifrabili artifici
che permettono di leggere l'acqua del lago
non sempre amato
ma dove un rapido canto s'è conquistato l'eco.
***
Sparo su di uno straccio usato
sull'esistenza scaltra dei rimorsi
sono come la luna condannato
a stare in alto per colpa dei poeti
piloti senza viaggio o latitanti.
Prendo in ostaggio i raggi
- di sole ora si parla -
reliquie di luce clandestina
da lì sparo sulle ombre meridiane
sui feudi di catrame delle fiabe
vado in verso e uccido io per voi.
***
Dondolo aggrappato alla bestia
con gli occhi sui nidi dove
rattrappiti volatili chiedono carne;
una lingua di vacca sostituisce la luna
alcune gocce di sangue
provano a contrastare il riflusso
di onde senza colore.
Un porco sgozzato mi intima:
parola d'ordine!
***
Qualcuno si chiede se io ami
se durante il giorno cerco
o risolvo, se almeno vedo.
Quando guardano le mie labbra
o le mie mani
e più maliziosamente giù, fra le cosce
sento sul corpo le domande
che mi attraversano
come una forca farebbe con la paglia.
Se faccio sanguinare il vento
se trasformo le foglie fredde
in involtini di carne,
se i cavalli bianchi del mio rinascimento
sono esposti sul bancone di una macelleria,
non rinuncio alla mia umanità come voi
del resto.
***
Muso contro muso
si scambiano le lingue
ciascuna lecca il suo sorriso
le bestie gravide
sono tutto il resto del corpo
di rupe e di vetro.
***
Simile alla carta
insorgi agli occhi fino a farti cenere
poi chiudi la finestra
prima che i sedativi imparino la notte
la poesia come la rivoluzione non è mai amorosa
brucia la misura per dirsi addio
eppure non manca lo stupore al frastuono del verso
c'è un sottosuolo di voragine e firmamenti
nella cantafera della ghiaia sulla tomba.
Ivano Ferrari da Macello e Rosso epistassi
Ferrari si è sempre tenuto a grande distanza da ogni concessione minima al sentimentalismo, preferendo il paradosso e la contraddizione. Il male che serve al bene. L' apparente grevità - mescolata alla grazia e all'intuizione - implode in un timbro lirico che fuoriesce - gravido - in molti versi. D' altra parte il poeta ha sempre vissuto " contro ", distante da gruppi letterari, distante da lavori patinati e intellettuali, ma pago in prima persona del suo rapporto con la poesia, che è faccenda da consumare ( soprattutto ) in solitudine.
Questo - appunto - riesce a fare la poesia : purezza del timbro e semplicità del canto; questo ci investe nella lettura del suo " degrado". E dato che la nostra vita non è certo armoniosa e tanto meno glorificante, Ferrari ci fornisce le" visioni" della presa di coscienza, senza filtri storicistici e senza dogmi : ci dice insomma che abbiamo poco tempo per darci delle risposte. Ci induce dunque a vivere.
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