domenica 22 novembre 2020

QUASI UN INFINITO PER IVANO

 


                                             La poesia brucia la misura per dirsi addio...


Ho imparato dalle figure smunte

che le ossa hanno l'armonia dignitosa

quasi di un ventaglio

briciole d'avorio che congiungono

la carne a ciò che pensa.

Ho capito

che in una mano non ci sta neanche la malizia dei nervi

né piccoli inverni o indecifrabili artifici

che permettono di leggere l'acqua del lago

non sempre amato

ma dove un rapido canto s'è conquistato l'eco.



                                                  ***


Sparo su di uno straccio usato

sull'esistenza scaltra dei rimorsi

sono come la luna condannato

a stare in alto per colpa dei poeti

piloti senza viaggio o latitanti.

Prendo in ostaggio i raggi

- di sole ora si parla -

reliquie di luce clandestina

da lì sparo sulle ombre meridiane

sui feudi di catrame delle fiabe

vado in verso e uccido io per voi.



                                        ***


Dondolo aggrappato alla bestia

con gli occhi sui nidi dove

rattrappiti volatili chiedono carne;

una lingua di vacca sostituisce la luna

alcune gocce di sangue

provano a contrastare il riflusso

di onde senza colore.

Un porco sgozzato mi intima:

parola d'ordine!



                                           ***


Qualcuno si chiede se io ami

se durante il giorno cerco

o risolvo, se almeno vedo.

Quando guardano le mie labbra

o le mie mani

e più maliziosamente giù, fra le cosce

sento sul corpo le domande

che mi attraversano

come una forca farebbe con  la paglia.

Se faccio sanguinare il vento

se trasformo le foglie fredde

in involtini di carne,

se i cavalli bianchi del mio rinascimento

sono esposti sul bancone di una macelleria,

non rinuncio alla mia umanità come voi

del resto.



                                              ***


Muso contro muso

si scambiano le lingue

ciascuna lecca il suo sorriso

le bestie gravide

sono tutto il resto del corpo

di rupe e di vetro.



                                   ***


Simile alla carta

insorgi agli occhi fino a farti cenere

poi chiudi la finestra

prima che i sedativi imparino la notte

la poesia come la rivoluzione non è mai amorosa

brucia la misura per dirsi addio

eppure non manca lo stupore al frastuono del verso

c'è un sottosuolo di voragine e firmamenti

nella cantafera della ghiaia sulla tomba.



                           Ivano Ferrari da    Macello e  Rosso epistassi


Ferrari si è sempre tenuto a grande distanza da ogni concessione minima al sentimentalismo, preferendo il paradosso e la contraddizione. Il male che serve al bene. L' apparente grevità - mescolata alla grazia e all'intuizione - implode in un timbro lirico che fuoriesce - gravido - in molti versi. D' altra parte il poeta ha sempre vissuto " contro ", distante da gruppi letterari, distante da lavori patinati e intellettuali, ma pago in prima persona del suo rapporto con la poesia, che è faccenda da consumare ( soprattutto ) in solitudine.

Questo - appunto - riesce a fare la poesia : purezza del timbro e semplicità del canto; questo ci investe  nella lettura del suo " degrado". E dato che la nostra vita non è certo armoniosa e tanto meno glorificante, Ferrari ci fornisce le" visioni" della presa di coscienza, senza filtri storicistici e senza dogmi : ci dice insomma che abbiamo poco tempo per darci delle risposte. Ci induce dunque a vivere.



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