CHIODI
Sopra le case e la vita
nebbia grigia lieve
con le foglie a venire
degli alberi nei miei occhi
aspettavo l'estate
più di tutto
dell'estate amavo la polvere bianca
calda polvere
insetti e rane vi morivano soffocati
se non cadeva la pioggia
per settimane
un prato e piume viola sull'erba
crescono
gli uccelli il collo dei pozzi
il vento stende sopra una sega
chiodi
puntuti e smussati
chiudono porte montano grate
tutt'attorno sulle finestre
così si edificano gli anni così si edifica
la morte.
***
NON MORIRE
Non morire
non ancora
troppo presto il coltello
il veleno, troppo presto.
Mi amo ancora.
Amo le mie mani che fumano
che scrivono.
Che tengono la sigaretta
la penna
il bicchiere.
Amo le mie mani che tremano
che puliscono nonostante tutto
che si muovono.
Le unghie vi crescono ancora
le mie mani
rimettono a posto gli occhiali
affinché io scriva.
***
ANCHE TU TE NE VAI
Si è spenta la luce niente
ha più senso informi
figure si allungano fino al mio cuore adesso
pronuncia le parole che
tra colpi e paure
non riuscivi a pronunciare.
Ti ricordi le immobili
strade morte sulle quali
un uomo camminava nella pioggia e piangeva
dove sei finito amore mio non oso
guardarti così dura ormai
è la distanza tra te e me
eppure continuo a cercarti nera e
amorfa cammino per la città
di chi sa essere felice e villaggi
mestamente silenziosi dove nessuno mi conosce
mi fermo su soglie estranee appoggio
la fronte bagnata a porte chiuse.
Su immobili strade morte
un uomo camminava nella pioggia e piangeva.
E ti ricordi i nostri dubbi.
Bianche silenziose volavano via le sere
sedevo sulle panchine fedeli
guardavo l'acqua e sapevo
che ormai anche tu te ne saresti andato.
***
LA FINESTRA DELLA NOTTE
La finestra era aperta era la finestra
della notte piena di buio e di vento
eppure l'estate fluttuava sopra le strade e pensavo
che domani non sarai più qui.
Non piangevo solo temevo le vertigini
nel vuoto che ti lasci dietro
non c'è niente a cui possa aggrapparmi
neanche la tua mano sarà qui domani.
Non che tu valga più di chiunque altro ma
per un qualche caso ho attribuito a te
ogni bellezza e tristezza e adesso che
te ne vai ho perso l'appoggio sto ferma non so
in quale direzione girare il viso.
Che importa tanto a tutti i costi devo continuare a vivere
domani uscirò in strada morti camminano
per queste vie anche io sarò pallida se solo sapessi
dove andare da chi e perché.
***
TI ASPETTAVO
Ti aspettavo in fondo alla strada nella pioggia
andavo a capo chino ti vedevo lo stesso
ma non riuscivo a sfiorarti la mano.
Ti aspettavo su una panchina le ombre degli alberi
cadevano sulla ghiaia fresca
come anche la tua ombra mentre ti avvicinavi.
Ti aspettavo una volta di notte sul monte
crepitavano i rami quando li hai scostati
dal tuo viso e mi hai detto che non potevi restare.
Ti aspettavo a riva con l'orecchio incollato
a terra sentivo il tonfo dei tuoi passi
sulla sabbia morbida poi si fece silenzio.
Ti aspettavo quando arrivavano i treni lontani
e le persone tornavano tutte a casa
mi hai fatto un cenno da un finestrino il treno non si è fermato.
Agota Kristof da Chiodi
Scrive Agota Kristof : " Non ho ancora trovato la parola per qualificare ciò che è capitato. Potrei dire dramma, tragedia, catastrofe, ma nella mia mente chiamo tutto questo semplicemente " la cosa " per la quale non c'è parola."
Agota Kristof ha preferito andare in fabbrica come operaia piuttosto che consegnarsi a una carriera di insegnante. Ha affermato che la fabbrica - per scrivere poesie - va benissimo : " Si può pensare ad altro e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi.".
" La poesia, prima di essere poesia, è una posizione poetica, è un abitare stabilmente in un non luogo, in un " vuoto", un abitare spaesante ".
Per la nostra poeta, quella " zona spaesante" del mondo è stata l' Ungheria del comunismo sovietico, quel regime dispotico e capillare di controllo e di educazione delle coscienze, l'ideologia della felicità promulgata per decreto poliziesco e il conseguente abbandono da parte della poeta del suo paese e della sua lingua, il trovarsi perciò " senza lingua", o meglio, " spodestata" tra due lingue ( la propria e quella francese di Neuchatel che assunse come lingua - madre ).
( f. )
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