venerdì 6 novembre 2020

I CHIODI DI AGOTA



Eppure continuo a cercarti nera e amorfa...


CHIODI


Sopra le case e la vita

nebbia grigia lieve


con le foglie a venire

degli alberi nei miei occhi

aspettavo l'estate


più  di tutto

dell'estate amavo la polvere bianca

calda polvere

insetti e rane vi morivano soffocati

se non cadeva la pioggia

per settimane


un prato e piume viola sull'erba

crescono

gli uccelli il collo dei pozzi

il vento stende sopra una sega


chiodi 

puntuti e smussati

chiudono porte montano grate

tutt'attorno sulle finestre

così si edificano gli anni così si edifica

la morte.



                                          ***


NON MORIRE


 Non morire

non ancora

troppo presto il coltello

il veleno, troppo presto.

Mi amo ancora.

Amo le mie mani che fumano

che scrivono.

Che tengono la sigaretta

la penna

il bicchiere.

Amo le mie mani che tremano

che puliscono nonostante tutto

che si muovono.

Le unghie vi crescono ancora

le mie mani

rimettono a posto gli occhiali

affinché io scriva.



                                           ***


ANCHE TU TE NE VAI


Si è spenta la luce niente

ha più senso informi

figure si allungano fino al mio cuore adesso

pronuncia le parole che

tra colpi e paure

non riuscivi a pronunciare.


Ti ricordi le immobili

strade morte sulle quali

un uomo camminava nella pioggia e piangeva


dove sei finito amore mio non oso

guardarti così dura ormai

è la distanza tra te e me

eppure continuo a cercarti nera e

amorfa cammino per la città

di chi sa essere felice e villaggi

mestamente silenziosi dove nessuno mi conosce

mi fermo su soglie estranee appoggio

la fronte bagnata a porte chiuse.


Su immobili strade morte

un uomo camminava nella pioggia e piangeva.


E ti ricordi i nostri dubbi.


Bianche silenziose volavano via le sere

sedevo sulle panchine fedeli

guardavo l'acqua e sapevo

che ormai anche tu te ne saresti andato.



                                            ***


LA FINESTRA DELLA NOTTE


La finestra era aperta era la finestra

della notte piena di buio e di vento

eppure l'estate fluttuava sopra le strade e pensavo

che domani non sarai più qui.


Non piangevo solo temevo le vertigini

nel vuoto che ti lasci dietro

non c'è niente a cui possa aggrapparmi

neanche la tua mano sarà qui domani.


Non che tu valga più di chiunque altro ma

per un qualche caso ho attribuito a te

ogni bellezza e tristezza e adesso che

te ne vai ho perso l'appoggio sto ferma non so

in quale direzione girare il viso.


Che importa tanto a tutti i costi devo continuare a vivere

domani uscirò in strada morti camminano

per queste vie anche io sarò pallida se solo sapessi

dove andare da chi e perché.



                                       ***


TI ASPETTAVO


Ti aspettavo in fondo alla strada nella pioggia

andavo a capo chino ti vedevo lo stesso

ma non riuscivo a sfiorarti la mano.

Ti aspettavo su una panchina le ombre degli alberi

cadevano sulla ghiaia fresca

come anche la tua ombra mentre ti avvicinavi.

Ti aspettavo una volta di notte sul monte

crepitavano i rami quando li hai scostati

dal tuo viso e mi hai detto che non potevi restare.

Ti aspettavo a riva con l'orecchio incollato

a terra sentivo il tonfo dei tuoi passi

sulla sabbia morbida poi si fece silenzio.

Ti aspettavo quando arrivavano i treni lontani

e le persone tornavano tutte a casa

mi hai fatto un cenno da un finestrino il treno non si è fermato.




                           Agota   Kristof   da      Chiodi


Scrive  Agota Kristof  :  "  Non ho ancora trovato la parola per qualificare ciò che è capitato. Potrei dire dramma, tragedia, catastrofe, ma nella mia mente chiamo tutto questo semplicemente " la cosa " per la quale non c'è parola."

Agota Kristof ha preferito andare in fabbrica come operaia piuttosto che consegnarsi a una carriera di insegnante. Ha affermato che la fabbrica - per scrivere poesie - va benissimo : " Si può pensare ad altro e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi.".

" La poesia, prima di essere poesia, è una posizione poetica, è un abitare stabilmente in un non luogo, in un " vuoto", un abitare spaesante ".

Per la nostra poeta, quella " zona spaesante" del mondo è stata l' Ungheria del comunismo sovietico, quel regime dispotico e capillare di controllo e di educazione delle coscienze, l'ideologia della felicità promulgata per decreto poliziesco e il conseguente abbandono da parte della poeta del suo paese e della sua lingua, il trovarsi perciò " senza lingua", o meglio, " spodestata" tra due lingue ( la propria  e quella  francese di Neuchatel che assunse come lingua - madre ).



                                                 (  f.  )




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