venerdì 22 maggio 2020
IL DIAVOLO IN CORPO A RAIMOND 6
Piombai nel turbamento di poco fa, prima di entrare da Marthe. Ma come l'attesa davanti alla porta, quella davanti all'amore non poteva certo essere lunga. Del resto, la mia immaginazione confidava in tali voluttà che non riusciva più a concepirle. Per la prima volta, inoltre, temevo di rassomigliare al marito e di lasciare a Marthe un brutto ricordo dei nostri primi momenti d'amore.
Alla fine fu più felice di me. Ma l'attimo in cui ci sciogliemmo, i suoi mirabili occhi valevano bene il mio disagio.
Il suo viso si era trasfigurato. Mi stupii perfino di non poter toccare l'aureola che davvero circondava il suo volto, come nei quadri religiosi.
Sollevato dai miei timori, me ne venivano altri.
In realtà, avendo compreso la potenza dei gesti che fino a quel momento la mia timidezza non aveva osato compiere, tremavo all'idea che Marthe appartenesse a suo marito più di quanto ella pretendeva.
Poiché non riesco a capire ciò che gusto per la prima volta, fui costretto a conoscere quei godimenti amorosi ogni giorno di più.
Nell'attesa, il falso piacere mi arrecava un vero dolore di adulto: la gelosia.
Ce l'avevo con Marthe, perché dal suo viso riconoscente capivo tutto il valore dei legami carnali. Maledicevo l'uomo che prima di me aveva risvegliato il suo corpo. Riflettevo sulla mia stupidità di aver visto in Marthe una vergine. In altri tempi, augurare la morte di suo marito sarebbe stata un'illusione infantile, ma questo voto diventava quasi criminoso come se avessi ucciso. Dovevo alla guerra la mia felicità nascente; ne aspettavo l'apoteosi. Speravo ch'essa servisse il mio odio come un anonimo commette il delitto in vece nostra.
Ora, si piange insieme; è colpa della felicità. Marthe mi rimprovera di non aver impedito il suo matrimonio. «Ma allora, sarei in questo letto che ho scelto io? Lei starebbe dai suoi; non potremmo vederci. Lei non sarebbe mai stata di Jacques, ma neppure mia. Senza di lui, non avendo paragoni, forse continuerebbe a rimpiangere, sperando di meglio. Non odio Jacques. Odio la certezza di dover tutto a quest'uomo che inganniamo. Ma amo troppo Marthe per ritenere colpevole la nostra felicità».
Insieme piangiamo di essere soltanto bambini, con poche cose a disposizione. Portare via Marthe! Poiché non appartiene ad altri che a me, vorrebbe dire portarmela via, dal momento che ci divideranno. Già osserviamo che la fine della guerra sarà la fine del nostro amore. Lo sappiamo, Marthe ha un bel giurarmi che pianterà tutto, che mi seguirà, io non ho un'indole incline alla rivolta e, al posto di Marthe, non m'immagino una simile folle rottura. Marthe mi spiega perché si sentiva troppo vecchia. Fra quindici anni la vita per me non farà che ricominciare, mi ameranno donne della stessa sua età. «Non potrò che soffrire», ella aggiunge. «Se mi abbandoni, ne morirò. Se rimani, lo farai per debolezza, e io soffrirò nel vederti sacrificare la tua felicità».
Malgrado il mio sdegno, ce l'avevo con me stesso di non mostrarmi abbastanza convinto del contrario. Ma Marthe non chiedeva che questo, e le mie ragioni peggiori le sembravano buone. Rispondeva: «Sì, a questo non ho pensato. So bene che non menti». Davanti ai timori di Marthe sentivo venir meno la fiducia. Allora le mie consolazioni erano fiacche. Avevo l'aria di disingannarla solo per gentilezza. Le dicevo: «Ma no, ma no, sei pazza». Ahimè! Ero troppo sensibile alla giovinezza per non meditare sul futuro distacco da Marthe, il giorno in cui si sarebbe sciupata la sua giovinezza e sarebbe sbocciata la mia.
Raimond Radiguet da Il diavolo in corpo
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