venerdì 22 maggio 2020

IL DIAVOLO IN CORPO A RAIMOND 4



Fin dall'inizio del nostro amore, Marthe mi aveva dato una chiave del suo appartamento, affinché non dovessi aspettarla in giardino, se per caso fosse stata in città. Questa chiave la potevo usare anche meno innocentemente. Era un saluto. Lasciai Marthe con la promessa di venire a pranzo il giorno dopo. Ma ero deciso a tornare la sera il più presto possibile.
Durante la cena, avvisai i miei genitori che l'indomani avrei fatto insieme a René una lunga gita nella foresta di Sénart. Perciò avrei dovuto partire alle cinque del mattino. Siccome tutta la casa avrebbe ancora dormito, nessuno poteva indovinare l'ora della mia partenza, e se avevo dormito fuori casa.
Avevo appena comunicato la mia intenzione a mia madre, che subito volle prepararmi un cestino pieno di provviste per il viaggio. Ero costernato, quel cestino distruggeva tutto il romanzesco e il sublime del mio atto. Io che già pregustavo lo spavento di Marthe nel vedermi entrare nella sua stanza, pensavo adesso alle sue risate vedendo questo Principe Azzurro, un paniere da vivandiere sotto il braccio. Ebbi un bel dire a mia madre che René era fornito di tutto; non volle sentir ragione. Insistere ancora era destare sospetti.
Ciò che per gli uni è causa di sfortuna può fare la gioia degli altri. Intanto che mia madre riempiva il cestino che mi guastava in anticipo la prima notte d'amore, scorgevo gli sguardi pieni di voglia dei miei fratelli. Glielo avrei dato volentieri di nascosto, ma una volta sbafato tutto, a costo di farsi sbacchettare, e per il gusto di rovinarmi, avrebbero raccontato ogni cosa.
Dovevo quindi rassegnarmi, poiché nessun nascondiglio mi sembrava abbastanza sicuro. Mi ero proposto di non arrivare prima di mezzanotte per essere certo che i miei familiari dormissero. Cercavo di leggere. Ma non appena suonarono le dieci al Municipio, i miei genitori essendosi coricati già da un po', non potei più aspettare. Essi stavano al primo piano, io al pianterreno. Non avevo messo gli stivaletti per poter arrampicarmi sul muro il più silenziosamente possibile. Tenendoli con una mano, mentre con l'altra reggevo il cestino, fragile per via delle bottiglie, aprii cauto una porticina di servizio. Pioveva. Meglio così! la pioggia avrebbe coperto il rumore. Accortomi che la luce nella stanza dei miei genitori non era ancora spenta, stavo per rimettermi a letto. Ma ormai mi ero avviato e la precauzione degli stivaletti era inutile; causa la pioggia fui costretto a rimetterli. Dopo, avrei dovuto scalare il muro per non scrollare la campanella del cancello. Mi avvicinai al muro contro il quale, prima di cena, avevo badato di posare una sedia del giardino per facilitare la mia evasione. Il muro, sul colmo, era coperto di tegole. La pioggia le rendeva scivolose. Appena mi ci appesi, una cascò. La mia ansia moltiplicò il rumore della sua caduta. Adesso dovevo saltare sulla strada. Tenevo il cestino coi denti, caddi in una pozzanghera. Per un buon minuto rimasi in piedi, lo sguardo fisso verso la finestra dei miei genitori, per vedere se si muovevano, avendo avvertito qualcosa. La finestra restò vuota. Ero salvo!
Per recarmi fin da Marthe, costeggiai la Marna. Pensavo di nascondere il cestino in un cespuglio e di riprenderlo il giorno dopo. La guerra rendeva la cosa pericolosa. Infatti, nell'unico posto dove c'erano cespugli e si poteva nascondere il cestino, stava una sentinella di guardia al ponte di J... Indugiai a lungo, più pallido di un uomo che mette una carica di dinamite. Nascosi ugualmente le mie cibarie.
Il cancello di Marthe era chiuso. Presi la chiave che veniva sempre lasciata nella buca delle lettere. Attraversai il giardinetto in punta di piedi, poi sali i gradini del terrazzino. Mi tolsi di nuovo gli stivaletti prima di infilare la scala.
Marthe era così nervosa! Forse sarebbe svenuta vedendomi in camera sua. Tremavo: non trovavo il buco della serratura. Alla fine girai la chiave lentamente, per non svegliare nessuno. Nell'anticamera urtai contro il portaombrelli. Avevo paura di scambiare campanelli per interruttori. Andai a tentoni fino alla stanza. Mi fermai ancora con la voglia di scappare. Può darsi che Marthe non me l'avrebbe mai perdonato. Oppure se tutt'a un tratto avessi saputo che mi tradiva, e l'avessi trovata con un uomo!
Aprii. Sussurrai:
«Marthe?».




               Raimond  Radiguet    da     Il diavolo in corpo



Nessun commento:

Posta un commento