venerdì 29 novembre 2019
BREVE STORIA DEL MIO SILENZIO ( Presentazione )
L'infanzia, più che un tempo, è uno spazio. E infatti dall'infanzia si esce e - quando si è fortunati - ci si ritorna. Così avviene al protagonista di questo libro: un bimbo che a quattro anni perde l'uso del linguaggio - da un giorno all'altro - alla nascita di una sorellina. Da quel momento il suo destino cambia: le parole si fanno nemiche anche se poi, con il passare degli anni, diventeranno i mattoni con cui costruirà la propria identità. E' questo il romanzo di un' infanzia vissuta tra giocattoli e macchine da scrivere, di una giovinezza scandita fa fughe e ritorni nel luogo dove si è nati, sempre all'insegna di quel controverso rapporto tra rifiuto e desiderio di dire che accompagna la vita del protagonista. L'autore inoltre qui racconta, sempre in modo ironico e affettuoso, dei genitori maestri elementari e di un paese aperto a poeti e artisti, di una Basilicata che da rurale si trasforma in borghese, di un' Italia che si allontana dagli anni Sessanta e si avvia verso l'epilogo di un Novecento dominato dalla confusione mediatica. Ma soprattutto racconta - con amore e realismo - come un trauma infantile possa trasformarsi in vocazione e quanto le parole siano state la sua casa, anche quando non c'erano.
( f. )
BREVE STORIA DEL MIO SILENZIO 1
" I genitori devono essere affidabili, non perfetti. I figli devono essere felici, non farci felici " . ( Madre Teresa di Calcutta )
(…)Ho quattro anni e vedo mia madre in cima alla scala che lucida
il lampadario d'ottone. Strofina con l'ovatta imbevuta di Sidol,
ma lo fa con troppa calma per essere la viglia di Natale. E' in
ritardo sulle pulizie, come sempre.Quel tempo non va sprecato.
Mio padre gironzola intorno e non muove un dito. Guarda,
contempla, misura a occhio. In questo disordine sento dire :
" Fra poco avremo sorellina ".
" Quando? " domando io.
Mia madre appoggia il Sidol sul ripiano e non la mano indica
cinque: gennai,febbraio, marzo, aprile e maggio. " Ancora ce
ne vuole", tranquillizza. E riprende a lucidare.
" Se viene e non ci trova ?"
" Ci troverà, ci troverà ".
Io non ricordo cosa sia accaduto tra l'annuncio dato la vigilia
di Natale e la caldissima notte di maggio in cui mia sorella è
nata.So solo che i miei genitori hanno continuato a parlarmene.
Dicevano che ero stato io a chiedere a Gesù : "Mandami presto
una compagnia". E Gesù mi aveva ascoltato.
Io aspettavo e contavo: " Siamo a maggio?".
Quando arriva maggio, mi trovo dai nonni paterni. Vengono a
chiamarmi e mi portano a casa, nella stanza da letto dei miei
genitori. Mia madre accarezza un groviglio di stoffa bianca:
vuole che mi accosti, ma le gambe sono pezzi di legno. Più lei
insiste, più ho voglia di sparire. Le sue braccia stringono un'
altra creatura,il mondo non appartiene più a me.Non dico nulla,
mi volto e scappo dai nonni: sorellina non è arrivata qui , il
mondo è rimasto intatto. Nonna è la prima a raggiungermi: io
cerco di parlare, ma la voce rimane sepolta. Mi sforzo, faccio
un respiro, riprovo: non c'è modo di spingerla fuori. Nonna è
spaventata : scendono a lei le lacrime, non a me. Quel giorno, il
giorno in cui Gesù ha ascoltato le mie preghiere, le parole si
fanno nemiche e io inizio a provare il loro male,che è una specie
di voragine di cui non si vede il fondo. La storia del mio silenzio
comincia così.
Nessuno si aspettava quella reazione. Non tornai a casa per una
settimana e mio padre - quando veniva ad accertarsi che stessi
bene - assumeva un tono comprensivo : " Dai che sorellina ti
vuole vedere ". Io facevo di no con la testa. Nemmeno lui poteva
immaginare la malattia che sentivo in bocca, il desiderio di
parlare e non poterlo fare.
Quando la rividi,mia madre finse di non accorgersene.Io badavo
a controllare dove fosse mia sorella e lei scopriva un lembo di
lenzuolo per mostrarmela.
" Non ti pare bella ?"
Mi sentivo un soprammobile senza mobile. Una sola domanda
avrei voluto rivolgerle, ma restava nel sottosuolo. (…)
Giuseppe Lupo da Breve storia del mio silenzio
BREVE STORIA DEL MIO SILENZIO 2
(…) Quando i medici mi visitavano, la prima cosa che chiedevano
era di cacciare fuori la lingua.
" Tossisci, tossisci ".
Io tossivo.
" Adesso deglutisci e fa' due passi. Vediamo come cammini "
Io camminavo su e giù nell'ambulatorio e ingoiavo aria.
Ricordo un dottore di Bari, un gran professore che aveva sulla
fronte una lampadina dentro una specie di coperchio per
caffettiere : " Signora, questo bimbo vive troppo in mezzo ai
grandi. Aria aperta, aria aperta" ripeteva, " la strada sarà la
sua maestra ". Mia madre prendeva appunti su un quaderno e
si riprometteva di discuterne con mio padre. Un altro dottore,
uno di Napoli, diceva che era l'umido dell' Appennino ad
allappare la lingua.
" E' chiaro, direi : al bambino occorre il mare "
Mia madre scriveva sul quaderno : " mare… mare ". E pure di
questo si riprometteva di parlare con mio padre.
" Non sarà mica colpa del ciuccetto ?" si azzardò a chiedere.
Il medico annuiva senza parlare : via questo ciuccio!
Avevo quattro anni e non ero ancora riuscito a liberarmene.
Mia madre mi ragionava così: " Se ti vedesse sorellina con
questa trombetta in bocca, cosa penserebbe ?" Io la guardavo,
ma non rispondevo. Certe volte mi facevo forza, gettavo il
ciuccetto giù dal balcone e cercavo la sua approvazione. Un
minuto dopo però tornavo ai vetri : dov'era finito? Ne avevamo
sempre uno di riserva e mio padre - quando terminava la
scorta - doveva correre in farmacia a comprarne un altro.
La verità era che i consigli dei medici non avevano successo e
io continuavo a non parlare. L'unico esercizio che mi
interessava era scoprire i segreti che mettevano in fila le parole
sulle labbra degli adulti. Contavo il tempo delle pause e
pensavo: dopo quante lettere bisogna fermarsi a respirare ?
Ogni frase sembrava un ponte sospeso sull'abisso. L'abisso era
il silenzio e le parole erano appese al filo che ci penzolava
sopra. Parlare era come salire su una funivia agganciata a
questo filo : ci si lasciava andare nel vuoto e via con le lettere,
una dietro l'altra. Io pensavo a quel che dovevo dire, prendevo
fiato e partivo, poi tentennavo. Non mi sentivo pronto a
completare la traversata sull'abisso. La ruggine impediva alla
funivia di correre. Mia madre si disperava,mio padre confidava
nella pedagogia.
" Lasciamolo stare. Deve venire il suo tempo "
Ma il tempo non veniva. Il tempo si nascondeva. (…)
Giuseppe Lupi da Breve Storia del mio silenzio
BREVE STORIA DEL MIO SILENZIO 3
(…) Ricominciai piano piano a capire che ero in grado di parlare,
frasi corte che pronunciavo tutte d'un fiato, senza il pericolo di
dovermi interrompere. Il difficile era partire. Prendevo la
rincorsa, chiudevo gli occhi, e mi lanciavo con la sensazione di
essere legato alla funivia sospesa sull'abisso." E se mi finisce il
fiato? Se la ruggine rallenta gli ingranaggi?".
Non era tanto il silenzio a farmi paura, ma che continuassi a
ricordarmene. Mia madre cercava di venirmi incontro quando
intuiva la mia difficoltà.
" Stavi dicendo questo, vero? "
Mi rubava il tempo e con la faccia accigliata.
" Pensa bene a quel che stai per pronunciare, concentrati ".
Era il peggior errore che potesse commettere : il mio compito
era dimenticare, non ricordare. Lei non lo sapeva. Nella sua
disperazione, tendeva a ridimensionare le mie debolezze, a
coprire le insidie.
" Sarà per noi come un sogno " era solita dire " anzi, fra poco
nemmeno più un sogno. " . E i suoi discorsi finivano lì.
Trascorsi molti giorni nell'incertezza di essere guarito.A fatica
riuscivo a farmi capire, raccontavo per sommatorie, a strappi,
a frenate.
" Ora che hai ripreso a parlare ", mi rassicurava mia madre, "
vedrai come sorellina ti sembrerà ancora più bella ". Era bella
mia sorella, non lo mettevo in dubbio : aveva una testa pelata
e un unico ciuffo di riccioli sottili e biondi proprio sulla fronte:
parevano a crescere a bella posta per tenere la nocca bianca
che negli anni a venire, tutte le mattine - mia madre - si
ostinava ad annodare. Quando mi accostavo alla culla, mia
madre si rasserenava, io no : c'era un'ombra fra me e lei.
Qualcosa si annidava dentro, un sentimento senza nome, com'
era senza nome l'aria dei mattini di giugno che portavano i
respiri dei lillà cresciuti lungo i muri. Un giorno quell'odore
nauseante arrivò così forte da provocare una domanda : " Sei
tu la mia vera mamma?"Gliel' avrei voluto chiedere nell'attimo
in cui rimasi senza parole. Lo facevo ora, con ritardo.
Mia madre sapeva bene a cosa mi riferissi : aprì il cassetto del
comò dove conservava le fotografie, ne afferrò una e me la
mise sotto gli occhi : " Io che ti allatto la prima volta ". Era
identica all'immagine di mia sorella poco dopo essere nata:
stessa posa, stesso letto stesse lenzuola. Al suo posto però c'ero
io. La foto non cancellò la paura di non essere guarito. Avere
genitori che non ti avevano messo al mondo, equivaleva a
camminare dentro una vita non tua,ai margini di una vita vera.
Ed è possibile che io abbia ereditato da mia madre questo
esistere senza appartenere, il sentimento che odora di lillà nei
mattini di giugno, perché anche mia madre non aveva avuto
una casa tutta sua dove trascorrere l'infanzia ed era vissuta dai
nonni, vicino al ponte di ferro, dove la domenica andavo a
recitare poesie in cambio di liquirizia. (…)
Giuseppe Lupo da Breve storia del mio silenzio
giovedì 28 novembre 2019
L'INVERNO DI VIVIANA 1
Quando fiorirà quel fiocco di neve…
IN GIARDINO
Tra il rosmarino e la menta tu dove
adesso manchi, nitido tornava
quel giorno al mare di tanti anni fa
quando la luce era cornice del volto.
Tra la rosa canina e la lavanda
un cielo viola si apriva in frantumi.
" Forse " promettevi e nel tuo viso
imprimevo il cielo.
***
FORSE UN RAMO DI ROSA
Io non so cosa poi stamattina,
il cuore tuo o forse il cervello
a bucare in quel punto
l'esistenza imbrogliata
il silenzio dei ragni,
a strappare in quel punto
ad aprire eternità tra le dita,
come quei santi,
le città sul palmo di pianto e rughe.
Io poi non so ancora cosa ma
alle schegge del cielo
io mi aggrappo,
dove tu con il cuore
hai lì strappato,
ed è sangue che pompa.
Io poi non so ancora cosa ma
il tuo vaticinio
seguo senza ala
tra i cespugli di marzo
e l'alzarsi da inverni,
ma non è
non è per me ma
per gli steli e le gemme.
Allora tu mi avvisi
che adesso tra edera e bosco i veleni
incoronano il giorno
ed è il sonno.
Che tra sentieri di ghiaia e di pietra
scricchiola il passo e
non è del sogno.
Io non so io ancora cosa ma
forse un ramo di rosa.
***
QUANDO ACCADRA'
Quando accadrà dunque di seccare
queste piaghe alla luce del sole.
Quando fiorirà quel fiocco di neve
in un fiore e andare più non sarà
il vento violento che brucia e riarde
le labbra sfinite di madre
senza i suoi figli.
***
INVERNO
E forse questo è inverno,
il giardino straniero
annaffiato di pianto e sangue.
O forse terra di destini
tra le macerie del secolo
o le mandorle e il tempo
che ora sguscia
ancora fuori
e lo sforzo di rifare e tornare
del ramo di susino.
Tu mi dici che la corona
è rosa, è il tempo che riarde
nella catasta di legnetti.
E io ti credo, ancora
e aspetto il tempo
che torni dentro il guscio.
Di nuovo io ti credo,
anche se poi esco e vado
a cercare se il cielo
è integro fra i rami del susino.
E tu mi dici e io ti credo
che la pianta diventa fiore.
Allora io conservo quel fossile
l'ammonite muta,
la voce fedele ed esile,
di un mare come in tasca.
E io ti prego e vado fuori,
nel giardino straniero,
e per la rosa
quest'inverno
e pianto pietre
che si faranno fiori.
E forse sarà ancora l'inverno
il battito sepolto
che odora eterno
sotto
di noi
ingenui tra mura di gelo.
***
VENEZIA
Tra queste pietre che affondano in acqua,
cianofite e patine algali,
in un buio di madre e strade
camminiamo tra budella di pietra
arcane come il cuore umano.
E' questo il sogno tu mi dici
e la pietra che vedi
che dall'acqua ora emerge
sfinita.
E quel che senti non sai
se da verdi escrescenze
marine
o da labbra d'oro e d'oblio
proviene.
O forse è acqua lo specchio in te,
dilaga e inonda,
occulta cupa l'onda immemore
del tuo niente.
Viviana Fiorentino da In giardino
L'INVERNO DI VIVIANA 2
HALLOWEEN
Notte di Halloween.
Paura a te non fece
e ai tuoi occhi che ridono.
Colse me di sorpresa
la porta spalancata
sull'enigma.
***
LUCE DI IERI
Di notte
tu sai
la superficie
riflette anche le stelle
sono diamanti
duri sul nero.
Il tempo emana anche da loro,
luce e gas la memoria.
Cominceremo ancora la luce di ieri?
***
NEVE
Poi arrivò la neve, portai in stanza
la lettera, chiamai la gatta in casa,
ogni parola misi
al riparo,
la coltivai nel cavo della gola.
Chiuse dentro le sillabe trattenni
come semi che aspettano di aprirsi,
per un colpo di vento,
per un raggio di sole,
una domanda.
***
INVISIBILE
Mi dicevi la storia, ciò che resta,
io dei fiori di semi dicevo.
Di ciò che si crea senza sapere
di quando ci imbrogliamo di parole
che dentro mute si fanno quiescenti.
Dell'invisibile e anche delle gemme
del ramo che sul davanzale
si sono aperte in foglia.
Cos'era foglia, cosa gemma, chiedo.
Poteva accadere.
Ma la tua fronte di cielo vedevo.
E poi sarebbe comunque accaduto.
So che senza sapere apprendevo
la cecità e il costo dell'amore.
***
OGNI COSA
Ho scoperto che
i fiocchi di neve e poi i loro nomi
nella lingua straniera
sono le paillettes nei tuoi occhi.
So anche - per esattezza di tempo -
un nome scritto nell'aria di marzo.
Comunque sono gli anni
fra me e te, i gesti che più non ritornano,
come disfatti in una luce nuova.
E questa poi è forse la misura,
gli anni lasciati indietro nella neve
e questi fiocchi che io adesso inghiotto.
L' andare oltre il pianto,
giungere a questa gioia,
unica e muta,
che tenace rimane
e nasce nel colore di ogni cosa.
Viviana Fiorentino da In giardino
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Viviana Fiorentino
mercoledì 27 novembre 2019
MARGINALE
Sii docile fino a tremare...
La mia gioia:
custodire la scomparsa della mano nella tua,
mi bastavano le zolle
se bruciavano d'agosto,
di sentirle sgretolarsi nelle acque
mi bastava.
Mi lasciavi
e la mano ritornava
ti chinavi
raccoglievi ciò che c'era.
Poi svuotare le scarpe
battuta la gonna
si tornava
era l'ora del sole che calava.
Al rientro scomparivi,
rannicchiarsi nel profumo
e restare sulle vertebre
a contarle nell'attesa
per finirti nelle mani.
***
Liquidi nel circolo dell'occhio eravamo
dall'inizio
la pelle non bastava a tracciare il limite
che sa premere nel nome.
Il riflesso oculare rendeva docili
scorrevamo slacciati sulla faccia
il tremore fuggiva via dal polso
sparpagliava fino ai piedi.
Tentavamo di tanto in tanto
il riordino cellulare
mentre una spina restava
a premeditare lo squarcio
per farsi ricordare.
***
Così vorrei starti dentro:
senza sospetto
raccolta al centro
nell'incavo perfetto che è solo
dello slargo palmare
raccolta sarei seme
o volatile ferito.
Ti vorrei solida rampa
di lancio o d'atterraggio
essere la presa delle mani quando
ruoti forte fino a non toccare terra.
Di notte stare tutta nella tana
fra spalla e collo - vorrei -
disegnarti con le ciglia
averti nella faccia
precipitare le dita nel dubbio
di non appartenere.
***
Erigi alte pareti
accomodati dentro
cerca il lembo celestino
aspetta
spoglia di muta tieniti sul palmo
non andare proprio ora.
Accendi un fuoco
addormentati
con una ninnananna
accogliti nel grembo
sii docile fino a tremare.
***
Il dentro hai ricalcato sulla faccia
superficie d'acqua mossa sei.
Ti trasfiguri dopo una tempesta
prendi nota sulla sabbia
ci sparpagli geroglifici
e riempi le conchiglie.
Per vederti guardo i solchi
o le pieghe intorno all'occhio
mi poso sulle coste delle guance
nei tragitti intorno al collo.
Dopo ogni tempesta ti stanchi
io no
ricomincio
dalla linea principale.
***
Tenerti ancora un poco
rannicchiato
vestito di nero
sgualcito.
Tracciarti il contorno
quando dormi
per ricordare la forma
e rifarla.
Il sonno farà densa l'orma
della sparizione a ricordare
che ti è intrinseco
tentare con prudenza l'equilibrio
sulle linee e quel punto di fuga.
***
Dolce è saperti oltre muro
nato appena
a urlare la separazione
dici tutto ora senza parola
implori la riconciliazione
dicono che hai fame
sfamandoti
ti fanno allungare le ossa
e inspessire la pelle.
Da questa faccia del muro
ti dico di non credere
al ritorno del nodo
ricorda l'urlo
quando avrai la parola
trattieni la forma
non evaporare.
Letizia Polini da Marginale
lunedì 25 novembre 2019
VI PREGO, CERCATE DI CAPIRE ( Presentazione )
La storia:
anni cinquanta. Rinchiusa in una casa di riposo per anziani a seguito di un infarto che non le consente più di vivere da sola, Caroline Spencer, 76 anni, ex insegnante di matematica, scrive un diario per tenere attiva la mente. Ha vissuto come ha voluto: grandi viaggi estivi in Europa - in Inghilterra in particolare dove ha incontrato un uomo sposato con cui ha intrattenuto una relazione ventennale, e conclusasi solo a causa della guerra - e poi amici, discussioni. La malattia le ha rubato l'indipendenza : dopo l'ospedale si era trasferita dal fratello John, sposato con una donna molto più giovane di lui e che Caroline non ha mai trattato bene, né bene è stata accettata. Non stupisce dunque se - dopo una breve convivenza - i due le trovano una casa di riposo e ve la portano.
Questa è gestita dalla signora Harriet Hatfield e da sua figlia Rose ,che mescolano indifferenza e cattiveria nei confronti dei loro pazienti. Inizia così per Caroline una vera discesa agli inferi, da cui cerca di sottrarsi scrivendo, ricordando fatti della vita e caratteristiche personali, osservando ciò che le capita intorno e riflettendo sulla natura del potere che l'uomo impone ai propri simili.
In questo modo il lettore riesce a capire e a penetrare a fondo nella natura di Caro, una donna indomita, dotata di uno straordinario senso dell'umorismo e di una spiccata intelligenza, che sino alla fine ritiene giusto di poter decidere della propria vita, perché essere vecchi non è e non vuole dire essere incapaci.
Una capacità e raffinatezza di indagine - quella dell'autrice - capace di farci riflettere su un periodo ( difficile e spesso doloroso ) dell'esistenza.
( f. )
VI PREGO, CERCATE DI CAPIRE 1
" Come sei tu ora, così un tempo ero io: preparati alla morte e seguimi " . ( Pietra tombale del New England )
(...) Non sono pazza, sono solamente vecchia. Faccio questa
affermazione per darmi coraggio.Per darvi un'idea di che cosa
intenda io per coraggio, basti dire che mi ci sono volute due
settimane per riuscire ad ottenere questo quaderno e una penna.
Mi trovo in un campo di concentramento per vecchi, in un posto
dove la gente scarica i genitori o i parenti proprio come se si
trattasse di un bidone dell'immondizia.
Mio fratello John mi ha portata qui due settimane fa.
Naturalmente avevo capito fin dall'inizio che andare a vivere
con lui non avrebbe mai funzionato; dopo l'infarto mi è toccato
chiudere casa ( le scale per me erano troppo ).
Qui mi sto costringendo ad avere tutto chiaro in testa e lo faccio
scrivendo le cose in modo da capire come sto davvero. Adesso
non esiste alcuna realtà tranne quella che riesco a mantenere
dentro di me.La mia memoria sta venendo meno. Per conservare
la sanità mentale, mi devo aggrappare a qualunque brandello di
informazione in mio possesso, ed è per questo che sto tenendo
un diario. Se poi dimenticherò le cose, potrò sempre tornare
indietro e leggerle qui. Lo chiamo Il Libro della Morta. Quando
l'avrò finito, sarò morta. Voglio essere pronta, voglio aver
raccolto e riordinato tutto, come se mi stessi preparando per un
gran viaggio finale. Ho intenzione di restare integra in questo
inferno: è lo scopo che mi attende. Quindi, in un certo senso,
questo cammino dentro di me e nel passato è come una mappa,
la mappa del mio mondo. Se sarò capace di disegnarla con
precisione,capirò dove mi trovo. Non ne faccio una colpa a
John: questa è la prima cosa. A suo modo sta lottando per non
perdere i pezzi come faccio io, mentre Ginny stava rendendo la
vita impossibile a entrambi. Molto meglio scaricarmi qui e non
perdermi nelle sabbie mobili della gelosia e dell'odio. Ho
dovuto fare una scelta: l'unica cosa che non so è perchè non sia
venuto a trovarmi.Forse è malato, forse sono partiti. Mi sembra
strano. E poi, per quanto abbia chiaro in mente che da qualche
parte sarei dovuta andare,non è chiaro perchè il posto prescelto
debba avere l'aria di una punizione. Ma se è possibile, non devo
rimuginare su questa cosa. A volte i vecchi immaginano di avere
tutti contro.Soffrono di deliri di persecuzione e non devo cadere
in questa trappola. (...)
May Sarton da Vi prego, cercate di capire
VI PREGO, CERCATE DI CAPIRE 2
(...)Quando John e Ginny se ne sono andati, lui ha detto:" Verremo
a trovarti "
Dopo un po' mi sono addormentata:la pioggia picchiava ritmica
sul tetto. Ho sentito che per un po' dovevo essere assolutamente
passiva,galleggiare da un momento all'altro,da un'ora all' altra,
chiudendo fuori i sentimenti e i pensieri. Entrambi erano troppo
pericolosi. E temevo il pianto. Ultimamente, da quando sono
stata in ospedale , ho pianto parecchio, e questo potrebbe essere
uno dei motivi per cui John ha pensato che me ne dovessi
andare. Le lacrime sono un'offesa, non è tanto che facciano
soffrire le persone,è che queste si sentono attaccate e si irritano.
Quando il mondo interiore trabocca in questo modo, costringe a
uscire all'aperto, in un luogo estraneo, qualcosa che è
completamente privato, almeno alla mia età. Le lacrime sono
concesse solo ai bambini, quindi forse sono stata mandata qui
per una specie di punizione. Oh cielo! Adesso non ci devo
pensare. Tutto quello che non è passivo, è pericoloso. Sto
imparando ad accettare.
Harriet mi ha svegliata - non senza gentilezza - e poco dopo sua
figlia Rose è arrivata con la mia cena su un vassoio. Se non
altro non mi tocca mangiare insieme agli altri e guardarli
mentre si sbrodolano con la minestra. Posso stare qui sdraiata e
contemplare le colline. Quella prima sera, la cena è stata latte
e cornflakes, e una banana. L'ho gradita assai di più di quei
pastrocchi da " gourmet " che fa Ginny. Però dopo non riuscivo
a dormire. Dovevo abituarmi ai rumori, a quegli strani
scricchiolii, ai gemiti e al russare dello stanzone dove stanno gli
uomini. Mi è sembrata una notte terribilmente lunga. Quando
sono andata in bagno, ho sbattuto contro una sedia del corridoio
e mi sono procurata un livido sulla gamba. Forse quando John
verrà a trovarmi, mi porterà una torcia. Chiederò della carta da
lettere e francobolli, un quotidiano e magari una bottiglia di
scotch. Sarebbe di aiuto bere un bicchierino ogni sera prima di
cena. (...)
Mary Sarton da Vi prego, cercate di capire
VI PREGO, CERCATE DI CAPIRE 3
(...)Ultimamente sono arrivata a comprendere che io e John non ci
siamo mai veramente capiti. Ci siamo dati reciprocamente per
scontati, credo. Ma non riesco a ricordare un vero dialogo tra
me e lui - su di noi, intendo. Parlavamo per ore di libri e della
situazione mondiale. facevamo discussioni furibonde e ci
piaceva molto, ma i nostri genitori erano turbati dalla nostra
aggressività. La loro filosofia era mantenere la pace a
qualunque costo, e se possibile sotto un governo repubblicano!
La combattività ha lasciato John quando ha sposato Ginny.
Grazie a Dio non mi sono mai sposata: non ho affidato a
nessuno il mio corpo e la mia anima. Sarò stata sicuramente
ostinata, ma almeno appartengo solo a me stessa. C'è della
dignità in ciò. E immagino sia questo il motivo per cui non ho
scritto : " Muto per dignità umana ", come disse Yeats: però lì
si parlava di amore passionale.
L'altro giorno ero distesa sul letto e stavo pensando piuttosto
piacevolmente ad Alex,l'inglese che ho amato - a intermittenza-
per vent'anni. Ovviamente era sposato, così lo vedevo solo in
estate per dei brevi fine settimana,e solo due volte in occasione
dei viaggi che facemmo insieme, una volta in Grecia e una
volta in Italia.
Harriet mi ha interrotta a questo punto, e ha conficcato il suo
ago acuminato nel mio sogno ad occhi aperti.
" Cosa stiamo sognando, signorina Spencer ? "
" Il mio amante, ho detto ".
Ho visto il gesto che ha fatto quando è entrata Rose: Harriet
si è puntata un dito alla testa, dicendo senza usare parole "
Naturalmente questa è matta come un cavallo. Povera vecchia,
non ha mai avuto un amante... demenza senile ".
Lo aveva scritto in faccia, chiaro come il sole . (...)
May Sarton da Vi prego, cercate di capire
VI PREGO, CERCATE DI CAPIRE 4
(...) Avrò davvero la demenza senile? Il guaio è che la vecchiaia
non è interessante finchè non ci arrivi, un paese straniero con
un linguaggio sconosciuto ai giovani e perfino alle persone di
mezza età. Adesso rimpiango di non averne saputo di più.
Perdita di memoria - ma alcune cose restano così vivide! Sotto
certi aspetti non sono più io, è vero. I primi giorni ho cercato
di inventare dei problemi matematici, ma sembravo incapace
di concentrarmi. Però non è tanto quello, è che non sono più
interessata al pensiero astratto. Sono interessata a me stessa.
Sono ancora molto lontana dal raggiungere il traguardo, la
comprensione totale alla quale ora agogno. Resto un mistero
ai miei stessi occhi. Voglio arrivare fino al nocciolo, creare un'
equazione finale perfetta prima di chiudere, per far quadrare
tutto in un insieme ordinato. Se potessi pensare a questo posto
non come alla Casa della Morta, ma come alla Casa della
Riunione- la casa dove devo farmi una ragione di tutto, chiarire
tutto, accettare tutto - credo che questa potrebbe essere una via
di salvezza, una roccia sulla quale finalmente stare in piedi.
Invece è ancora tutto sabbie mobili e minacce. Non riesco ad
abituarmi a stare qui : sembra un ricovero di fortuna. Non ci
sono quadri alle pareti, c'è la polvere sotto il comò. Non avrei
mai pensato che un giorno mi sarebbe stato chiesto di dormire
tra lenzuola di mussolina, o che mi sarebbe toccato ingoiare
dosi quotidiane di pura volgarità e meschinità di spirito. Se
questo è il purgatorio, è difficile immaginare il paradiso come
un che di raggiungibile, o solo nell'immaginazione come un
posto inventato.
Sono stupita dalla quantità di tempo che riesco a passare dando
la sensazione di non fare nulla, quando in realtà sono
impegnatissima in questa specie di sogni ad occhi aperti che mi
mantengono in vita. (...)
May Sarton da Vi prego, cercate di capire
domenica 24 novembre 2019
CRISTALLO
Tu saresti cristallo in me...
Se il vetro fosse dio, tu mi saresti
cristallo in petto.
Perché di chiari e scuri tu mi assolvi
e mi rifletti e frangi in onde
e linee rette, mai contrarie
a crearmi un senso.
Perché di raggio curvo tu assorbi
il buio e restituisci luce, mentre ti sorrido
di luccichii che non ho mai avuto
né che mai ho chiesto.
Se amore fosse vetro, tu saresti
cristallo in me.
frida
L'ABITO
Bastasse la gruccia all'abito per non passare di moda
e uno sguardo in tondo per non dirsi più aggrappato.
Bastasse la poesia del vento per agitarne il tessuto
o la montatura del telaio per dare stoffa al colore.
Ma si abbisogna di tenerlo, di un desiderio testimone
di provarlo, per mantenere in vita un sogno.
frida
sabato 23 novembre 2019
LA VITA è UN RACCONTO 1
" Ama la vita più della sua logica: solo allora ne capirai il senso ". ( F. Dostoevskij )
IL BUFFONE
" Maestro, non c'è niente di più bello al mondo della diversità. Perciò sono convinto che Dio sia disperato: tutto è uguale a lui, a sua immagine e somiglianza ".
" Per la sua felicità ci sei tu, che non gli somigli per niente ".
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VANITA'
Qualcuno fece cadere da un aereo in volo una manciata di semi che finirono in cima a una montagna. Crescendo, le piante si congratulavano l'una con l'altra : " Siamo davvero brave ad arrampicarci! Guardate fin dove siamo arrivate ! "
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NECESSITAS CARET LEGE
Un coccodrillo gigante spadroneggiava nelle paludi, seminando il panico. Due corvi commentavano: " Si è mangiato il nostro fratello coyote, la nostra cugina civetta e la nostra amica lince!". Al tramonto, mentre il sauro dormiva con la pancia piena, un topo vide i corvi beccare tra le mascelle del mostro i pezzetti di carne rimasta fra i denti.
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RIVALI
Il pappagallo e la scimmia si accusavano reciprocamente - e con grande disprezzo - di imitare l'uomo.
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QUELLO CHE E' MIO E' MIO
Dio mandò loro una pioggia di stelle d'oro. La coppia cominciò a litigare su chi dei due avesse provocato il miracolo. Furibondi, si scagliarono le stelle in faccia. Lui perse mezzo naso e lei un occhio.
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TEORIA ERRATA
Un filosofo non riusciva a camminare perché inciampava nella sua lunga barba, per cui si mozzò i piedi.
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AMORE IDEALE
Negava l'esistenza del sole. In pieno giorno affermava che la notte fosse eterna. Perfino a mezzogiorno andava in giro per strada facendosi luce con una torcia. Tutti lo prendevano in giro. Si innamorò di una donna cieca perché lei era convinta che avesse ragione.
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PUNTI DI VISTA
Una rana con una coroncina in testa dice a un signore : " Baciami, per favore". Il signore pensa: " Questa bestiola è stregata: potrebbe trasformarsi in una bellissima principessa erede di un regno. Ci sposeremo e diventerò ricco. E bacia la rana. Subito si ritrova trasformato in un rospo schifoso. La rana era felice : " Amore mio, per tutto questo tempo sei stato prigioniero di un incantesimo, ma finalmente sono riuscita a salvarti ! ".
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OCCHIO NON VEDE…
Uno stolto, vedendo un santo che camminava nella notte sforzandosi di illuminare la strada per non uccidere le formiche, gli disse :" O uomo virtuoso, posso risolvere io il tuo problema: spegni la candela, cammina al buio e non avrai rimorsi".
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DOPO LA GUERRA
L'ultimo essere umano vivente gettò l'ultima palata di terra sull'ultimo morto. In quel preciso istante capì di essere immortale, perché la morte esiste soltanto nello sguardo dell'altro.
Alejandro Jodorowsky da La vita è un racconto
LA VITA è UN RACCONTO 2
" La vita è come un'eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii " . ( J. Joyce )
BARZELLETTA PROFONDA
Un pazzo sta mangiando una banana senza levarle la buccia. Qualcuno gli domanda : " Perché la mangi senza sbucciarla?".
Il pazzo gli risponde: " Perché so già che cosa c'è dentro ".
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DARE
" Maestro, possiamo dare soltanto quello che teniamo dentro?".
"Nessuno può dare soltanto quello che tiene dentro. La richiesta dell'altro lo feconda. Il dono si crea in due. "
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PROMETEO
Narrano che Prometeo fosse stato punito per aver rubato il fuoco agli dei e averlo regalato agli uomini. Lo legarono a una roccia, mentre un'aquila gli divorava il fegato in eterno, provocandogli atroci sofferenze.
In realtà, Prometeo non soffriva : la punizione gli insegnò ad amare. Ogni mattina, in estasi, offriva le proprie viscere all'uccello rapace, e più dava, più riceveva.
Colui che dà, cresce e si moltiplica. Colui che tiene per sé, viene meno e si annienta.
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CARCERE
Il prigioniero allunga le dita e ingrandendo le impronte digitali, crea un labirinto per cui la sua anima vaga senza sosta, in cerca di una via d'uscita.
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AMAREZZA
Non potendo acchiapparle con una trappola per topi, cominciò ad odiare le aquile.
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IL CANE
Annunciarono l'arrivo di un santo. Tutto il paese si riunì lungo la via principale per accogliere quella creatura straordinaria. Arrivò un uomo dall'aspetto normalissimo che faceva da guida ad un cane cieco.
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IL CACTUS E L'UCCELLO
Con santa modestia, il cactus accetta che l'uccello si infili sulle sue spine :" Se ti dissangui sopra di me, non è colpa mia, ma del vento. Tu ti sei lasciato spingere contro di me, trasformandomi nel tuo destino. Mentre stai agonizzando, trafitto dai miei aculei, io ti benedico: mi hai permesso di esistere. Trasformerò il tuo scheletro in una rosa bianca ".
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RIVELAZIONE
...E un giorno si rese conto che la felicità era quella che aveva regalato.
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VIGILIA FUNEBRE
La cassa da morto si lamentava amaramente : " Non è facile essere una bara: chi ci costruisce non ci vuole, chi ci compra non ci usa e chi ci usa non ci vede mai ! ".
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MANIE DI GRANDEZZA
Un gessaiolo cammina trasportando in spalla una statua di Gesù Cristo per consegnarla in una chiesa. Si accorge che per strada i viandanti si inchinano al suo passaggio. Credendo che stiano rendendo omaggio a lui, si sente un dio, spacca la scultura e spalanca le braccia.
Non capisce come mai lo prendano a sassate.
Alejandro Jodorowsky da La vita è un racconto
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