Ti chiamo, ti chiedo di tornare…
PRIMA STANZA
(…) Un raggio di mezzogiorno è salvo nella penombra, potente e
quasi verticale,e si ferma nei pressi della finestra.Tanta luce in
un metro quadro, il resto al buio. Ci metto un po' ad
accorgermene, poi è così palese che devo confessarlo a me
stesso: fa tanto freddo, se sei passata di qui è grave. Fa molto
freddo, moltissimo. Perché il pavimento non è coperto da una
lastra di ghiaccio? Si intuisce invece il solito linoleum, non ci
sono stalattiti, colonne, stalagmiti, ma le tracce di un fiume.
Questa stanza è un greto secco. Tremo. Sei passata di qui?
Chiamo il tuo nome.Se mi rispondi subito -forse -siamo ancora
in tempo. Altrimenti batteri, polmoni, impossibile. Corro da
un angolo all'altro. Ci provo, ma le distanze non sono
gestibili.Batto contro uno spigolo non so di cosa, poi vado nella
direzione opposta e non arrivo mai alla fine. Questo buio è un
complotto. L'unico raggio ha fatto un passo indietro, appena
oltre la finestra, ridotta a una candela, mentre a oriente un
ampio bacino scuro protende il suo dominio, una melma che
ingurgita, procede in avanscoperta e secca la retrovia, tutto
intero, tutto compatto e nero, tutto soffocato da questa
estensione violenta e buia. Se mi muovo, se faccio un passo, se
corro, ritorno a me stesso e questa condizione è dolorosa come
un solo dente malato in una bocca. Sono tutto botte, tutto
tumefazione, tutto nervi scoperti, tutto mialgia, sono tutte le -ie,
tutte nella mia mente, perché tu non ci sei.
Tu sei la verità e la distanza da tutto questo, tu sei la natura
matrigna, tu sei la vittima, tu sei il patto violato, tu sei l'altrove
avverato, tu sei una tra milioni, tu sei l'anticipo sui mali, tu sei
una, tu sei la madre e la figlia, tu non sei niente di che, sei
normale, va bene, siamo all'ospedale, il posto in cui ci si va a
curare in corposi cubi e parallelepipedi e minutissime stanze
che inghiottono tutto.
Eccomi, ti chiamo. Se ti sei nascosta qui è molto pericoloso.
Ti prendi un raffreddore, un'infezione, fai attenzione.Ti chiamo,
ti chiedo di tornare. Forse ho detto qualcosa di sbagliato. E'
contro di me tutto questo? E' uno scherzo, uno sgarbo a
qualcuno, un colpo in canna ben sparato da chi macinava
invidia per te? Cosa? Ho il fiatone, mi siedo. Cerco di pensare
a quale direzione mi condurrà verso l'uscita. In questo
tentativo trascorro il tempo di una vita. Mesi. Anni. Fiumi di
discorsi e argomentazioni e cartelle cliniche e ricordi
antichissimi - mio dio quanto affilati e quanto crudeli - che si
conficcano nel costato. Ci dev'essere un errore. Non ho chiesto
penitenze. Forse le avrò meritate. Forse tu le avrai meritate.
Ecco, tu. E io appresso a te, in quella tua ridicola religione di
contrappesi, di perversioni riparatorie, di cocci risanati con la
colla del sangue. Con quelli ci siamo punti?Con quelli ci siamo
smarriti?
Bisogna che vada. Bisogna azzerare le chiacchiere e venirti a
cercare. Bisogna tornare al tempo in cui facevi rotolare palline
al tavolo del ristorante, palline fatte con le molliche del pane
per i nostri bambini e qualche volta anche per me. No. Con
questi pensieri alzarsi è impossibile. Riproviamo.
Sei in pericolo, alzati. Mi alzo.
Cerca, cerco.
Esci. Esco? No, non ce l'ho fatta.
Impartisco ordini a me stesso e non funziona. Perché non sono
intero. Se non mi sbrigo, presto questa immensa stanza nera
brulicherà di me stessi che si danno ordini e io non sarò più
vero degli altri. Via, uscire. Venirti a cercare. O andarsene via.
Ma non ci riesco. Penso.Vaffanculo a te, ai tuoi scherzi, ai tuoi
dolori. No. Arrivo. Non perderti. Vedrai, arrivo. Non sono io
che rido mentre lo dico. Nemmeno tu, mi pare. Eccomi. In
qualche modo faremo. Mi fermo ancora solo un pochino. Va
tutto bene, vedrai. L'ha detto anche il dottore. Solo il due per
cento, il due per cento di cellule malate. malattia in
remissione… (…)
Yari Selvetella da Le stanze dell'addio
Parole davvero struggenti, non facili (soprattutto nel post precedente) proprio a testimoniare quel drammatico smarrimento dinanzi ad una perdita tanto importante. Bello il brano, perfetto per accompagnare il testo, conoscevo la musica ma non il significato delle parole
RispondiEliminaLa storia è drammatica, ma ciò che la rende " Unica " sono le parole ( pura poesia ) di questo libro.Parole da cui traspare un amore vero e profondo; parole e gesti che oggi sembrano quasi obsoleti perché questa società imperniata sulle " cose" mette in secondo piano i sentimenti fino a farci vergognare ( se non di provarli, quantomeno.. ) di esprimerli pubblicamente.
RispondiElimina