" Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, li abbandoni, come colui che - cercando il seme - abbandona la scorza " . ( Upanishad, 18 )
(…) In uno dei suoi testi sacri che l'India chiama Upanisad,
leggiamo: " Quaggiù non esistono differenze. Colui che crede
di ravvisarle, passa di morte in morte ".
Il mondo è uno. Noi però lo vediamo pieno di differenze. Che
paradosso è mai questo? Chi consegue l'unità - continua il
testo - si lascia alle spalle la morte. Non so se sia vero, ma ho
voluto verificare.
La storia dei ciechi e dell'elefante è stata raccontata migliaia
di volte, in forme sempre diverse che hanno però un nucleo
comune. Forse è di origine persiana o indiana e non è una
storia buffa.
Sei ciechi vivono in un paesino dell' Indostan ( o della Persia ).
Arriva uno straniero ( a volte un re ) a dorso di un elefante. I
ciechi cominciano a tastare l'animale."E' una grossa colonna"
dice il cieco che tocca una zampa. " E' una canna ruvida " dice
quello che tocca la proboscide. " Vi sbagliate, ragazzi, è un
enorme ventilabro", dice un altro palpando un orecchio. " E'
una fune", dice il cieco che stringe la coda. E continuano a
discutere a lungo.
L' elefante è simbolo di una realtà particolare che gli indù
chiamano brahaman,( Creatore ), i mussulmani Allah ( parola
che indica molte altre cose ) e Meister Eckhart, uno dei grandi
mistici dell' Occidente " divinità ". Di questa realtà unica i
ciechi hanno solo una visione parziale. Non sanno - che in
certe condizioni - le cose possono pervenire ad un'abbagliante
unità. Passano così " di morte in morte", come dice l'Upanisad
I ciechi - naturalmente - siamo noi.
Dov'è l'elefante? E' dovunque, risplende come migliaia di soli,
ma paradossalmente noi non lo vediamo. " Hanno occhi ma
non vedono, hanno orecchi ma non sentono".
Siamo davanti ad una realtà che occupa per intero il nostro
campo di conoscenza, ma che ci sfugge del tutto. (…)
Hervé Clerc da A Dio per la parete nord
È molto bello questo racconto dei 6 ciechi e dell'elefante, curioso esempio considerando che, per quanto abituato alla presenza umana, l'elefante vivo è caldo e si muove, quando è fermo agita la coda o la proboscide, rivelandosi anche davanti ai ciechi, se tastiamo qualcosa di indefinito non possiamo coglierne l'essenza ma se è vivo questa si manifesta, premesso ciò non possiamo imbrigliare Dio nelle nostre categorie di conoscenza, non potremo mai possederlo o raggiungerlo con la nostra sapienza, ma Egli, nel cristianesimo, si fa conoscere nel Figlio incarnato...
RispondiEliminaAffascinante il brano musicale
RispondiEliminaBello tutto il tuo discorso. E motivato.
RispondiEliminaGrazie.