sabato 3 novembre 2018

LE INVENZIONI DELLA TERRA PER PHILIPPE

 
 

                                              Evocherò l'orizzonte dalle nubi in fuga…


CANZONE

Il tempo rapisce i giorni antichi
i mesi le ore gli anni.
Ciò che io sono non sarà mai più.

Non posso far ritorno ai sommersi luoghi,
alle gelide case, ai giardini abbandonati.
Sullo splendore adagiato sulle piane evocherò
l'orizzonte dalle nubi in fuga.

Sono la terra e il declino dei rami,
il canto, l'oblio del canto, la disamorata parola.
Sollecitudine priva d'uso, mani con incerte risorse.
Ho conosciuto dolore, speranza, gioia.

Il tempo rapisce i giorni antichi
i mesi le ore gli anni.
Ciò che io sono non sarà mai più.

Uccelli tristi timorosi del gelido rigore,
i giorni sfilano e si spezzano.
La morte si nasconde nella sera
quando la fievole lanterna dà la fiamma.

Ritornerà l'inverno e i passi attutiti
dalla neve immobile, sui marciapiedi.
Impallidisce l'ora a fine estate
quando la terra fuma e sbadiglia.

Il tempo rapisce i giorni antichi
i mesi le ore gli anni.
Nulla io ero: il tempo mi ha dilapidato.


                                      ***


INVERNO

Quando si sente all'incudine picchiare il gelo
e ad una voce le foreste rimpiangere il calore,
anche noi, nel vento imminente e senza volto
che soffia dal fondo della piana,
oppure attende senza un fruscìo che cessino
le appagate letizie, le gioie godute, o
teologale, colei in fondo a noi che ancora brama
contro venti e maree, anche nel cuore
della notte e della privazione.

Acconsentendo alla notte dei sensi, alla notte
dello spirito, alla notte senza tetti e senza luna.
All'essenzialità del corpo, al vuoto tra le mani -
nell'oscurità tra morte e infanzia
di cui si accumulano sul comò o sulla scrivania
inutili oggetti: vassoio di Sèvres,  scrigno di legno
ornato di arabeschi, cavallino dipinto, piattino
con i pedali del pot- pourri, incisioni,
parole sapienti - che ingombrano le nostre vite,
e alla fine ci distolgono.

A coloro a cui ripugna la veglia sotto la lampada solerte,
l'attesa e la preghiera al calar della sera, resta
la lascivia delle cicogne e la tristezza del cane.


                               ***


PREGHIERA  DELLA  SERA

Se la morte ancora ci dà tregua: un giorno o un altro giorno
a quel che resta modesta la mansione,
Signore e la tua grazia e il vino e il banchetto di quaggiù
dove tutte le cose hanno un numero senza profusione
come le feste nella tua dimora regale,
dacci già questo vino senza ebrezza,
questa capacità di navigare tra due scogli.

Che siano come fiaccola nel linguaggio spento o morto
le frasi senza letteratura, le parole senza palinodia,
una sola immagine - giusta come una goccia d'acqua sullo stelo -
prima di abbandonare ancora in equilibrio
come un diamante sotto la sua invisibile catena
che si ammanta del peso della sua trasparenza.


           Philippe  Delaveau    da     Invention de la Terra


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