sabato 3 novembre 2018

LA BELLEZZA DI ALFONSO

 
 

" La poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta ".  ( Paul Claudel )


 ELEGIA

Padre vinto nel sonno
oscuro e lontano,
il bambino ti sveglia con la mano.
Ancora nato nel tuo sogno chiede
ricordo dell'età che ti correva
giovane agli occhi,
mesto al sollievo della sua sembianza
non vuole che tu creda
la morte buia nell'eternità.
Era così soave il cielo intorno,
a respiro e a cadenza della  sera
tu mi portavi in braccio al sonno
fresco di primavera.
Forse è questo la morte, un ricordare
l'ultima voce che ci spinse al giorno.


                                       ***


ASCOLTA IL PASSO

La sera non può morire ancora amando
la luce che le manca, il soffio estremo
dell'aria che le muove già la notte.
Per noi l'agguato del celeste inganno
in silenzio si compie: si decide
l'atto per l'atto, l'istinto supremo
di non dirci mai nulla che nel tempo
lasci sospeso un desiderio o il lume
d'una speranza.
Non udire i treni,
non guardare nel cielo altro che il freddo
sepolcro della luna, ascolta il passo
delle guardie di ferro. E' il loro mondo
che non dice più nulla, che non lascia
indugi alla pietà, tregua più all'ira.
Un passo essi l'udrebbero sperando
sull'ombra della luna o sul silenzio
della città che gliene specchia l'eco.
Lascia che soli restino avanzando
nella risata gelida di Dio.


                                        ***


FUMMO L' ERBA

Certo, certo, la gloria ch'ebbe un fuoco
di gioventù rimesta tra le ceneri
il suo tizzo orgoglioso, ma noi teneri
di noi non fummo, né prendemmo a gioco
la vita come un'ultima scommessa.
Noi, di quegli anni facili, all'azzardo
delle fiorite preferimmo il cardo
selvatico, le spine. Dalla ressa

del giubilo scampati al nostro intento
d'essere sole e pietra, nelle mani
segnammo la tenacia del domani
da scavare nel tempo. Nello stento

d'essere soli per vederci insieme
nell'eguale costrutto, fummo l'erba
che alla pietra nutrita si riserba
il suo cespo bruciato. Dalle estreme

radici, nell'impervio ogni parola
salì di quanto a trattenerla c'era
l'ansia d'averla pura, seria, vera
nel segno da rimuovere la sola

vergogna d'esser detta.

Salvammo nell'asciutto, dagli inviti
della corrente, il carcere incantato,
la nostra  sete che ci tenne uniti.
Per un grido da rompere, il creato

ancora è il suo costrutto ove s'ostina
l'asino, il cardo, il segno della spina.


           Alfonso Gatto   da    Tutte le poesie


2 commenti:

  1. E' uno dei poeti che amo di più: anzi per me è l'emblema stesso della poesia .
    Amo quello che dice e " come lo dice" :in lui anche i temi più drammatici dell'esistenza diventano - come dire - più lievi, avvolti come sono da un'aura evocativa che ci porta lontano...

    RispondiElimina