domenica 27 agosto 2017
REATO DI VITA ( Alda Merini ) 6
IL DELIRIO AMOROSO
(...) Padre R. incarnava la sapienza di Manganelli, l'altezza di
Michele,era bergamasco come il mio primo marito, insomma,
era il compendio di tutti i miei amori in uno. Ma era un frate, e
per giunta molto giovane e convinto della sua scelta. L' amore
non consumato tra me e padre R. potrebbe essere rivisto nel
Delirio Amoroso come la Recherche di Proust. Considero
il Delirio il massimo libro autobiografico che abbia mai scritto
finora.Misi mano all' opera sollecitata da Padre Volponi che,
vedendomi stremata per la perdita in vita di Michele, mi invitò
a raccontare cosa era veramente successo a Taranto e per
quale ragione mi sentissi perseguitata dal Portinaio.
Ai tempi del " delirio" ho vissuto una delle esperienze più
infernali e al tempo stesso più paradisiache della mia vita. La
paranoia a quei tempi era diventata preveggenza. Non facevo
nulla, assolutamente nulla.Pativo fame e sete come ora. Non
dormivo da sei anni. Dio mi aveva concesso di vedere l'Inferno
e mai vidi cose così atroci e irripetibili; ma quando Egli mi
parlava, la mia vita diventava teatro, un universo intero.
Potevo vedere ciò che avveniva di qua e di là del mondo e
quando mi svegliavo da queste mie grandi apparizioni di luce
- e gli occhi mi bruciavano - ogni persona reale mi sembrava
così ignobile e orripilante che piangevo ogni giorno.
A volte avevo visioni terrificanti. Sentivo passi su e giù per le
scale di qualche turpe individuo che truffava, vendeva , mi
desiderava e sicuramente di notte mi violentava.
Ma c'erano momenti che mi ripagavano di queste sofferenze, e
invece dell' Inferno, vedevo il Paradiso. La stanza si illuminava
e sentivo, proprio li sentivo, dei profumi nelle nari come di
mughetto, ma non profumi che trovi dal profumiere: erano
profumi che mi sembravano legati proprio al Paradiso. Era
un'estasi divina, un sentire un godimento che nessuna terrena
pratica amorosa potrebbe mai eguagliare. Tanta beatitudine mi
scioglieva le ansie quotidiane e mi sentivo un angelo. Tale
eccitazione mistica si ripercuoteva sul mio corpo e nessun
autoerotismo riusciva a scioglierla.
Poi arrivavano " le stigmate", ossia il segno che il Divino mi
aveva visitata: era un dolore intenso che subentrava al piacere
provato prima, era il dolore di ripiombare nel banale vivere
quotidiano e nella mia caduta a terra, anche le mie figure di
sogno si incarnavano negli esseri vivi e veri che incontravo. Se
allora potevo scrivere pagine ispirate era perché il Divino, di
cui nel delirio mistico facevo esperienza, io lo vedevo incarnato
in padre R. e il turpe individuo che di notte mi violentava, si
incarnava nella figura del Portinaio. (...)
Alda Merini da Reato di vita ( Autobiografia e poesia )
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