La poesia non ha mai camminato così...
Anche le parole
vene sono
dentro di esse
sangue scorre
quando le parole si uniscono
la pelle della carta
s'accende di rosso
come
nell'ora dell'amore
la pelle dell'uomo
e della donna.
***
Gli occhi chiusi
tutta nuda
sul tappeto rosso
attende
che lui si tolga le scarpe
le calze
che le impasti i seni
forte forte
coi suoi larghi piedi.
***
La poesia
ah la poesia - diceva -
un coito infinito
segni d'interpunzione niente
nessun punto e a capo
profumo della terra
letame e fiore di limone
e sperma
la zappa e il badile
sopra il marmo
doppio lavoro
altro non dire
l'amore uno.
***
Con correzioni, con similitudini
ti creo frammentariamente. Non mi completo.
***
Due mesi senza incontrarci.
Un secolo
e nove secondi.
***
Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo
mi chiederanno la loro voce un giorno, quando andrai.
Ma io non avrò più voce per ridirle allora. Perché tu eri abituata
a camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto,
gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi
le mani
sui ginocchi, mettendo in mostra provocante
i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così - dicevi - così coi
piedi sporchi, coi capelli
che mi coprono gli occhi- perché ti vedo più profondamente così. Dunque,
come potrò più avere voce. La poesia non ha mai camminato così
sotto i bianchissimi meli in fiore di nessun paradiso.
***
Tutti i corpi che ho toccato, che ho visto, che ho preso,
che ho sognato, tutti
addensati nel tuo corpo. O tu, carnale Diotima
nel gran simposio dei greci. Se ne sono andati i flautisti,
se ne sono andati filosofi e poeti. I begli efebi dormono già
lontano, nei dormitori della luna. Tu sei sola
nella mia preghiera innalzata. Un sandalo bianco
dai lunghi lacci bianchi è legato alla gamba della sedia.
Sei l'oblio assoluto;
sei il ricordo assoluto, sei la non incrinata fragilità. Fa giorno.
Fichidindia carnosi scagliati dalle rocce. Un sole rosa
immobile sul mare di Monemvasià. La nostra duplice ombra
si dissolve alla luce sul pavimento di marmo pieno di sigarette calpestate,
coi mazzetti di gelsomini infilati negli aghi di pino. O, carnale Diotima,
tu che hai partorito e che ho partorito, è ora
che partoriamo azioni e poesie, che usciamo dal mondo.
Davvero, non scordare
quando vai al mercato di comprare mele in abbondanza, non quelle d'oro delle
Esperidi, ma quelle grosse e rosse che quando affondi
nella polpa croccante i tuoi splendidi denti resta impresso, come l'eternità sui
libri, pieno di vita il tuo sorriso.
Ghiannis Ritsos da Erotica
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