Ronza la nebbia e si rapprende alle cose...
Giovane, giovanissimo - e son vecchio-
fermo a guardare novembre che corre
mi cerco e mi trovo - fuori è uno specchio-
prato che muore in faticoso stuolo.
Vedo e vivo da due diverse età
( povere braccia, braccia nazarene
che un refolo rabbioso può schiodare
e abbandonare a carità terrene)
e se, per un momento colgo il volo
perso a perdermi in nuvole di suono
un turbine perifero mi assale
e mi vince a viver quel che sono;
non più che un bambino, un vecchio ignaro
precipite Lucifero. Mortale.
***
Vé che ronza la nebbia e si rapprende
alle cose e ai corpi coma fango
o come pastura che al risveglio
rende in bocca l'amaro del mattino.
Battono ombre nel niente cinerino.
Incerto come quegli incerti veglio :
loro vagano in alto sciolti in file
in cerca di una torre o un campanile
io resto; stanco di scuoterti invano,
stanco di muovermi invano, non piango
- meglio lasciarmi apatire - ma tu
che resti altero, in piedi come un bronzo
china una volta il capo, guarda attorno
e dì se è sole o notte questo giorno.
***
Non tace, parla di distanze estreme
questa casa prossima a una svolta:
io l'ho vista per la prima volta
sotto i cieli torbidi e umidastri.
Questa casa non ha damaschi ricchi
alle pareti, ma calcine e tetri
ragni che ad ogni spiffero fibrillano
come fossero stelle velenose.
Questa casa contadina mi parla
da ogni cavità, dalle imposte smosse
dalle grondaie slogate, dalle crepe
e da ogni altro indizio di scomparsa.
Questa casa è l'eterna domanda
della grande umiltà che è la memoria.
***
Stanca la gola - è stanca di gridare -
per la bimba sbandare in giravolte
- come un'ape - la sua felicità
è cantare, perché non sa morire.
E sempre vola, benché bruna, i prati:
li imperla con polline leggero.
Poi, se uno guarda, se le parla,
lei si arresta stupita e per stupire
riparte, si riaccende in nuovi fuochi.
Così come la guardo io è vicina
pure lei non sa, alta sui ricordi
lei vive nel presente: per cantare.
Guardarla ancora? So che ad ascoltarlo
il cuore torna pompa muscolare.
***
" Ho letto delle pagine in cui Goethe
scrisse d'aver lentamente accumulati
dei piccoli tesori di parole;
spicciolo per spicciolo, a poco a poco,
dei veri e propri scrigni colmi d'oro;
classica e limpidissima metafora
che così avvicina lettere e monete
lettere d'oro, d'argento e di rame
mezzi accuratamente graduati
tra la genialità e il destinatario.
Adesso l'inventario è sconfortate:
impraticabile l'uso dell'oro
e molto, molto rari argento e rame
ciascuno - se può - tacita le questue
con l'acmonital, per le compravendite
arrangiandosi con le banconote
o degli assegni, che sono più veloci;
chi rimastica un po' di economia
con le carte di credito di plastica ".
Pierluigi Cappello da Le nebbie
Nessun commento:
Posta un commento