venerdì 20 luglio 2018

BEATA SOLITUDINE ( il potere del silenzio ) 1

 
 

" Osserviamo tutti le nazioni così barbare come umane, quantunque per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane e diversamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti "  . ( Giambattista Vico )




LA CONDIZIONE UMANA

(…) Nel percorso dell'antropologia fino alla nascita della Civiltà
       Occidentale, il problema dell'esistenza di Dio è presente in
       maniera fortemente significativa e condizionante.
       Se si fa nascere la civiltà con il funerale : la cerimonia che si
       occupa di un defunto che - benché morto - si crede mantenga
       una presenza nel villaggio e continui a vivere, sia pure in
       forma diversa. Il funerale è il rito con cui si accompagna il
       defunto nel luogo in cui continuerà a vivere: ad esempio, la
       montagna, luogo inadatto all'uomo e - proprio per questo -
       possibile dimora dei morti. La scelta dell'ultima dimora è in
       parte condizionata dal luogo geografico. Presso le popolazioni
       Inuit ( leggi " Il Paese dalle lunghe ombre " , n.d.r. ), il viaggio
       è all'interno del mondo ghiacciato e la meta viene raggiunta
       navigando su un iceberg, su una lastra di ghiaccio. Presso
       queste popolazioni il funerale si compie prima della morte e il
       vecchio si allontana dall'igloo, come se il trapassato non
       dovesse nemmeno incontrare la morte, ma semplicemente
       raggiungere un luogo diverso e più adatto a continuare a
       vivere.
       La morte forse è la circostanza " naturale" per immaginare un
       altro luogo, che nelle sue espressioni giunge alla trascendenza,
       generata appunto dalla fantasia. Il funerale come viaggio, è
       certamente uno stimolo al pensiero, una spinta al grande
       salto dal visibile all'invisibile, dal sensoriale all'immaginario.
       E sarebbe incompleta questa " causa" se al pensiero non si
       legasse l'affettività, il legame con chi muore, che è ancora
       forte perché essenziale alla propria vita.
       Il funerale- in questo caso - è la dimostrazione della presenza
       del defunto che continua ad esserci sulla montagna o nella
       profondità del mare, e il legame è ancora più forte perché egli
       ha raggiunto un luogo da dove esercita con più forza le sue
       funzioni. L' identificazione del luogo, con il tempo, si fa sentire
       più netta e via via, una dimora vaga diventa sempre più
       precisa, fino a giungere alla tomba, che è il luogo di quel
       defunto e che deve essere esattamente individuato.
       La percezione della morte come perdita ha avuto, nel             
       passaggio da antropologia a storia una forza sconvolgente e
       ha creato un ambito del pensiero e dell'affettività, che è il
       primum movens per riuscire a legare l'uomo a ciò che non c'è
       più, e dunque a pensare a una vita che è quella del post
       mortem , necessaria per rispondere al bisogno di capire
      ( pensiero ), ma anche di vivere ( sentimento ).
       E' una grande mutazione dell'uomo perché segna anche la
       scoperta di un mondo interiore che nella sua definizione più
       semplice e primitiva permette di distinguere gli " imperativi
       della sopravvivenza" dai bisogni che - invece - nascono dal
       mondo dentro di noi e che formano il primo nucleo della
       costruzione della personalità.
       Non è esagerato - per analogia - chiamare questo evento il
       Big Bang  dell' " universo interiore " e anche del pensiero
       trascendente.  (…)


 Vittorino Andreoli  da  Beata solitudine ( il potere del silenzio )
      

2 commenti:

  1. davvero un post molto interessante, io credo che il funerale e le tombe servono più ai vivi che ai morti, il primo è un modo per dire che è veramente accaduta la perdita, le seconde per ricordare...

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  2. Sì, ha colpito e interessato molto anche me questa sezione del libro dedicata al significato del funerale, sia inteso nella sua accezione antropologica che etica e spirituale.
    E mi ha fatto pensare quel considerarlo non un semplice rito, momento di commiato, ma " viaggio".( come si legge nel post successivo ).
    Mi ha portato alla mente tutti i miti antichi al riguardo, le concezioni funebri di popoli come gli Egizi, e perché no? Anche Caronte " vecchio per antico pelo …" ( Dante- Inferno, Canto III ) che traghettava le anime nell' Ade.
    E mettere insieme ciò che si apprende a quello che si ricorda ed è già " immagazzinato" è un ottimo esercizio per la mente. E per la Vita.

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