Nel dentro delle vertebre c'è quanto abbiamo perso…
E dall'oscuro della mia stanza
spingo con forza il corpo
seduta al tavolo - sola - attendo
che tutto riscaldi la gola,
il cibo che comanda
scosto la tenda sulla strada
le auto al posteggio
nuvole senza paura
il pomeriggio che riposa
vorrei uscire
e dirti che dentro
nel dentro delle vertebre
c'è quanto abbiamo perso
- io e te -
in più notti
togliendo il pane alle labbra.
E niente poi ebbi. Niente.
***
Il problema è che non stai
nel cavo del mio braccio,
ti allunghi tra parole reticenti
sottese di un chiarore che
chiamerei indecente.
Mi stai lontano- troppo -
e del rigo delle tue ciglia
rimane come un graffio
che senza sangue apre
a quel che è come un ricordo.
Sei stato - sotto la tua giacca -
paziente ad ogni carezza
perché io ero altro
e già più non vivevo
avevo sopra il letto golfini
e magliette, guardavo lo specchio
credendo ad un miracolo.
Un giorno mi trovavo sola
col pallido della pelle nascosto.
Sparivi nei mesi
e non mi restava che aspettare.
O fingere.
***
Fossi io stata lontana
dietro i lunghi corridoi
in fondo alle stanze
riparata dai tanti vestiti
avrei morso le labbra
sporcato sorrisi
aperto le porte che tu chiudi
in ogni ora della mia giornata
avrei dormito sopra grandi cuscini
ma si fa giorno a stento
qui, in questa casa che rischiara.
Qui - dove tu sai- io ancora vivo.
Letizia Dimartino da Fino a quando esisto ( dal Quadernario di poesia contemporanea )
versi intrisi di nostalgia, amore, malinconia, desiderio e attese vane... quando l'amore "finisce" solo da una parte o quando è la morte a separare...
RispondiEliminaSì, hai ragione, ma nella vita nulla dura per sempre. Finisce il male ( per fortuna ! ), ma finisce anche il bene ( o quantomeno si trasforma , quando non degenera nel proprio opposto ). E bisogna prenderne atto.
RispondiEliminaDura lex, sed lex.
Grazie