Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia...
Le poesie di Denise Levertov ( 1923- 1997 ) qui proposte , tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera: l'osservazione, l'ascolto e l'empatia con il mondo naturale - animali, alberi, montagne, laghi - creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico, la cui esistenza è spesso minacciata dall'opera di distruzione dell'uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni di vita della poeta, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove visse in prossimità di un lago e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
TOCCARE IL CENTRO
" Sono un paesaggio " dice lui.
" Un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità."
" Lo so", dice lei. " Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianche, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante".
" Avevamo un vecchio cane - dice lui - quand'ero ragazzo"
un buon cane socievole, ma aveva una ferita
sulla testa; se ti capitava
di toccarlo appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso ad un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo"
" Nessuna sa dove si trova" dice lei,
e nessuna la tocca nemmeno per sbaglio.
E' dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa.
Oppure mi fermo appena in tempo.
" Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro di noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce. Mai.
***
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L' albero svettante,
quello che l'alba intingeva d'oro,
è stato abbattuto - quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando so
che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
***
DUE MONTAGNE
Per un mese ( un attimo )
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. " Una facciata di roccia" si dice
senza pensare a un'espressione o a un volto -
un'astrazione.
Ma si dice anche
" un uomo dal volto di pietra ", oppure " si è chiusa
in un silenzio di pietra ". Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L' altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che ( da me non avvertita )
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l'aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Denise Levertov da Collected Poems ( Trad, P. Splendore )
Nessun commento:
Posta un commento