lunedì 31 luglio 2017
STRUTTURA DEL CONFLITTO AMBIVALENTE 1
(...) Si è ripetutamente detto che l'ambivalenza affettiva traduce un
conflitto esistente tra un individuo e un altro all'interno di una
relazione affettiva di particolare intensità e a valenza
simbiotica ( RAI ). Per Freud si tratta di un conflitto tra
relazione d'oggetto e pulsioni di autoconservazione, ovvero tra
necessità e timore della dipendenza, tra l'urgenza di soddisfare
i propri bisogni relazionale e quella di preservare la propria
autonomia. L'effetto paradossale dell'ambivalenza è che finisce
per distruggere il rapporto con un partner che si ama e il cui
amore ci mantiene vivi. Non in tutte le relazioni d'amore si
instaurano dinamiche ambivalenti: alcuni attaccamenti intensi
- per esempio - possono esaurirsi nel tempo per le loro stesse
caratteristiche oggettive, consentendo ai due partner di
distaccarsi senza che emerga nessun effetto contropolare all'
amore . In quelle in cui si introduce l'ambivalenza, queste
risoluzioni non patologiche non sono possibili: la relazione non
finisce, viene interrotta e si colloca in una temporalità
particolare, priva di termine, benché il legame " da un certo
punto in poi " sia mantenuto da effetti negativi e non più da
effetti positivi e cooperativi.
Per comprendere che cosa avvenga in questi legami intensissimi
e reciproci, bisogna recuperare alcune teorizzazioni
psicoanalitiche, ad esempio la metafora del rapporto col seno,
centrale nella metapsicologia kleiniana. Questi modelli, che si
rifanno tutti agli stadi più o meno precoci del rapporto di
dipendenza/ bisogno che ogni essere umano attraversa in fase
evolutiva, sono nello stesso tempo pertinenti e no. Infatti
ciascuno di essi presuppone un'asimmetria in cui l'oggetto
( d' amore ) è necessario alla sopravvivenza del bambino più
di quanto non lo sia il contrario : la dipendenza, cioè, non è
tanto simbiotica quanto parassitaria, dove chi è nella posizione
di bisogno ( parassitaria ) attacca l'oggetto da cui dipende ogni
volta che è sottoposto ad una frustrazione, quando esso viene
percepito come separato, distinto, non fuso, non alimentante.
L'attacco ambivalente, secondo questo classico modello
freudiano, avviene ogni volta che nella coppia si genera
discontinuità. Nella variante kleiniana, l'attacco
" invidioso" avviene anche in assenza di una frustrazione,
semplicemente perché l'oggetto d'amore è percepito avere
qualcosa che il soggetto non ha. L'aggressività, proiettata sull'
oggetto, lo scinde in " buono e cattivo" e, oscillando tra le due
posizioni, dà vita alla relazione ambivalente. L'oggetto cattivo
viene espulso dal soggetto che non può che appoggiarsi ad
altri oggetti ( buoni ) non potendo contare completamente su
se stesso per restare in vita. (...)
Riccardo Delle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e l' ambiguità nelle rotture affettive
STRUTTTURA DEL CONFLITTO AMBIVALENTE 2
(...) Un aspetto estremamente importante che, sebbene sia implicito
nella teoria kleiniana, non è stato finora messo sufficientemente
in chiaro nella letteratura, è che il processo di scissione dell'
oggetto in buono/ cattivo è concomitante a , e sovente implica
tre altri ordini di fenomeni: il primo è l' elusione di ogni
colpa da parte del soggetto ambivalente, in quanto essa potrà
facilmente essere proiettata sull'immagine cattiva dell' oggetto
partendo da un qualsiasi difetto o dettaglio negativo; la
scissione ambivalente consente cioè di trasformare l'
affermazione " ti odio ( infantilmente ) perché non sopporto che
tu non mi ami", oppure " perché hai quello che io non ho", in
"ti odio ( a buon diritto ) perché sei cattivo e spregevole".
In questa sostituzione oltre al ribaltamento del rapporto di
dipendenza o subalternità, l'immagine di sé non solo viene
preservata, ma addirittura magnificata. Il secondo punto è che
questa operazione di scissione implica necessariamente una
ristrutturazione narrativa fondata su una
falsificazione della realtà: perché il partner venga percepito
oggettivamente come cattivo è necessario avere delle
prove e dei punti di appiglio. Tutto ciò che di buono è stato
fatto da lui non ha più nessun valore rispetto a " quella volta
che ( mi ha trattato male, mi ha risposto male, si è dimenticato
di me, mi ha umiliato, mi ha fatto sentire inferiore...):il
dettaglio diventa la leva con cui l'ambivalente riscrive il
proprio romanzo finalizzato all'elusione di ogni personale
responsabilità.
Il terzo punto è che il processo di scissione non avviene - per
così dire - razionalmente o a tavolino, ma concomita con
imponenti fenomeni di turbolenza emotiva
(scoppi di rabbia, sensazioni di angoscia, disturbi di
conversione etc ), cioè, come si è già detto, con le
manifestazioni della regressione dallo psichico al fisico. (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e
l'ambiguità nelle rotture affettive
L' AMORE VERO 3
(...) Ogni amore degno di questo nome, comunemente indicato
come " amore- passione" e in letteratura a volte come " amore
romantico, o amore malinconico ", presuppone una sequenza
universale:
Una fase preliminare di avvicinamento e creazione di
sentimenti di simpatia tra due persone che instaurano un
legame non anonimo e non necessariamente utilitaristico;
una fase della scoperta di essere innamorati, un evento
sempre discreto che sorge a distanza variabile dall'incontro
(dai " colpi di fulmine" alla rivelazione nel corso di un'amicizia
o di una frequentazione più duratura );
una fase fusionale dell'innamoramento nella quale
l'identificazione proiettiva sembra annullare le differenza tra i
partner e la diffusione dei confini corporei estende le
potenzialità erogene della coppia; l'innamoramento ha
caratteristiche ben descrivibili, ricorrenti e in ultima analisi
comuni a tutti gli uomini;
una progressiva defusione che porta allo stabilirsi di una
relazione duratura in cui i due partner si riconoscono diversi
e separati anche se uniti da sentimenti fondamentalmente
positivi e coesivi. E' in questa fase di differenziazione che i
diversi individui ritrovano ed evidenziano la propria peculiarità
Il passaggio dall'innamoramento all'amore richiede la capacità
di stare soli, di vivere i sentimenti in assenza dell'oggetto e
indipendentemente dalla componente sensuale; insomma di
tollerare la frustrazione dovuta al rarefarsi dei momenti
emozionali apicali e l'eventuale emergenza di componenti
ambivalenti e distanzianti;
infine - prima o poi - la separazione , evento ineluttabile se
non altro perché la coincidenza della morte è un evento
decisamente raro. Non diversamente dalla fase successiva all'
innamoramento, ma in modo più intenso e definitivo, il lavoro
del lutto testimonia della potenzialità personologiche dell'
individuo ( si potrebbe dire " dimmi come elabori il lutto e ti dirò
chi sei " ).
La sequenza, pur nell'indeterminatezza della durata delle diverse
fasi, mostra come ogni dinamica amorosa si svolga secondo una
temporalità lineare rispetto alla quale il soggetto " normale" si
sincronizza evitando così ogni complicanza psicopatologica. La
" normalità" presuppone dunque la persistenza dell'
incorporazione dell'oggetto, la capacità di modulare l'
ambivalenza ( cioè di accettare i lati negativi dell'oggetto ), di
evitare per quanto possibile l'ambiguità nella relazione, di
riattivare periodicamente e spesso solo simbolicamente momenti
di apicalità affettiva, in un costante rinnovamento senza cui la
relazione si spegne e si esaurisce.
La normalità dell'amore, un tempo fortemente sostenuta anche
dalle norme morali e sociali, è oggi molto più dipendente dalle
scelte e dalla volontà individuale, per questo forse è diventata
così rara. (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L' ambivalenza e l'ambiguità nelle rotture affettive
LA VENDICATIVITA' 4
(...) L' ostilità verso l'oggetto di attaccamento prende talora la
forma più specifica della vendicatività, una difesa che trae
origine dall'ansia di separazione rimossa, e anche da altri
affetti rimossi ( il dolore, ad esempio ). Infatti essa consente di
mantenere un legame con l'oggetto d' amore: è una forma di
ostilità che esprime " la giusta collera" verso l'abbandono e
mira a ripristinare l'orgoglio offeso e ad offrire la speranza o
la sensazione di un trionfo vendicatore che mira - insomma -
a pareggiare i conti.
Il fine degli impulsi vendicativi è quello di distruggere un
oggetto interiorizzato precedentemente idealizzato, il quale -
mentre in passato dispensava forza e piacere - è divenuto
persecutorio. La vendicatività riemerge nella vita adulta come
reazione al dolore e alla rabbia successivi ad una situazione di
perdita. Le sue manifestazioni esteriori sono tipiche: il soggetto
è in preda ad un forte malumore, appare implacabile, spietato,
crudele, insensibile, inesorabile e inflessibile; cerca di sfruttare
qualsiasi occasione per dar luogo ad azioni punitive o di
ritorsione. Non mostra di avere alcun senso di colpa, né alcuna
preoccupazione circa le conseguenze morali e sociali delle sue
azioni. Il fine del soggetto vendicativo è quello di tenere
nascosto un danno ancora più disastroso e sofferto dal suo Io,
un danno sperimentato durante i primissimi anni di vita e che
costituisce la base di tutte le altre offese specifiche delle quali
si lamenta. L'intensità delle spinte vendicative nasce -
ovviamente - da una precedente idealizzazione dell'oggetto d'
amore incorporato, che ora è percepito come un persecutore su
cui sono proiettati invidia, avidità, ostilità, rabbia e
atteggiamenti vendicativi. Il suo fine è quello di derubare l'
oggetto amato di ciò che possiede, e di distruggerlo.
Paradossalmente è questo l'unico modo per possederlo e
mettere a tacere la sua presenza disturbante.
La vendicatività non nasce dall'opposizione fra amore e odio
( l'odio essendo già per lui un sentimento che consente la
liberazione e l'allontanamento dall'oggetto svalutato ), ma
quella tra amore e risentimento. La vendetta - infatti - è una
manovra rivolta non alla distruzione dell'oggetto, ma alla sua
punizione, a ingenerargli rimorso, cioè finalizzata al
mantenimento di una dinamica ambivalente che tiene l'oggetto
in una dimensione di vivo/ morto per rinviare all'infinito il
lavoro del lutto. Per questo motivo le dinamiche vendicative
sono così tenaci : possono infatti divenire " progetti di vita" a
lungo termine, che " tengono in vita" chi le attiva . (...)
Riccardo Dalle Luche & Simone Bertacca da L'ambivalenza e l'ambiguità nelle rotture affettive
Mine Vaganti - Ferzan Ozpetek
Tutto quello che conta non ci lascia mai....
sabato 29 luglio 2017
POESIE DELLA SINISTRA EROTICA
Rivoluzionario: questa notte
non sarò nel tuo letto.
Non ti stupisca la sovversione d'amore,
padrone antico.
Tu ti dai da fare
e ti preoccupi tanto di problemi sociali.
Non ti accorgi - buffone -
che in casa tua
ripeti esattamente
le maniere del miglior tiranno.
***
Ti amo.
Tu sei il mio popolo.
Ma hai nelle mani una mitraglia
e nei tuoi occhi oscuri poliziotti.
Non c'è
comunicazione fra il mio amore
e la tua violenza.
***
Lo so.
Non sarò mai altro che una
guerrigliera dell'amore.
Sto messa un po' così
come alla sinistra erotica.
Scagliando munizioni
contro il sistema.
Perdendo forza e tempo
a predicare un vangelo superato.
Andrò a finire come quell'altro pazzo
che rimase
steso sulla Sierra.
Ma visto che la mia lotta
non è politica che serva ai maschi,
mai pubblicheranno il mio diario
né costruiranno un comunismo popolare
di manifesti
e drappi con le mie fotografie.
***
Guarda:
con queste mani giocavo con le bambole
e gioco a far la donna.
Le uso per mangiare e denudarmi.
Per stringerti
con passione e tenerezza
i testicoli
- due mondi di mistero -
i tuoi peli e il tuo silenzio.
Ma me ne servo pure
per cavarti gli occhi
per straziare la tua carne
e per procurarti profonde cicatrici
nel cervello.
***
Possiedo fegato, stomaco, due ovaie,
un utero, cuore, cervello e altri accessori.
Tutto funziona in ordine, pertanto.
Rido, grido, insulto, piango e faccio l'amore.
Poi lo racconto.
Ana Maria Rodas da Poesie della Sinistra erotica e altri versi
giovedì 27 luglio 2017
CENTAURI ( Alla radice della violenza maschile ) Introduzione
Branchi di maschi nella frenesia dello stupro collettivo: la predazione si ripete dai primordi della Storia, attraversando immutata il processo di incivilimento, impennandosi nel cuore del
Novecento e guadagnandosi ancor oggi grande spazio nelle cronache. Che si consumi come crimine di guerra, che collabori a
finalità genocidarie, oppure si " normalizzi " in brutalità quotidiana in tempo di pace, vi agisce la stessa istintualità della barbarie più arcaica. E' il cono d'ombra dell'identità maschile.
I Centauri del Mito greco, esseri metà umani e metà animali, ne
rappresentano la forma estrema. La loro orda non conosce altro eros che l'ebbrezza orgiastica accompagnata dallo stupro ma, a differenza del violentatore singolo, il gruppo non ha coscienza di commettere un crimine. Del " centaurismo" come contagio psichico, Zoja scandaglia i motivi e ripercorre le manifestazioni, dalla schiavitù sessuale delle donne durante le colonizzazione dell'
America Latina, all'epilogo senza onore della Seconda Guerra
Mondiale. Ma a differenza della furia bellica che da Omero in poi
ha generato racconto, lo stupro produce perlopiù silenzio.
Disumanizza la vittima, ma anche l'aggressore perché distrugge in entrambi una delle capacità più umane: quella di narrarsi.
Se è vero che la parola " stupro" deriva dal latino " stupor", è proprio uno sbigottimento che annienta anche la parola.
f.
CENTAURI 1
(...) Oggi lo stupro collettivo è sempre considerato un crimine,
diversamente dalle epoche in cui , nel " diritto di saccheggio "
era un'eccezione tollerata.
Ci si aspetterebbe perciò che questo lo renda un evento sempre
più remoto: invece esso ritorna in forma incontrollata nella
modernità e in Europa. Poi, dopo la seconda guerra mondiale,
sembra trasformarsi in epidemia ricorrente, soprattutto ai
margini del mondo occidentale e delle sue ex colonie. Divampa
rapidissimo in occasioni di guerre, ma spesso si radica in
perversioni croniche anche quando è tornata la pace.
E non si tratta della semplice somma di violenze individuali. Lo
stupratore singolo ha una personalità chiaramente patologica,
è consapevole di commettere un crimine e cerca di nascondersi.
Lo stupro di gruppo è invece una sindrome collettiva orgiastica
che rimuove o elimina i sensi di colpa. Chi non partecipa è
deriso o guardato con sospetto e può addirittura provare la
sensazione di essere anormale. Propriamente parlando,
patologico non è l'individuo, ma l'insieme in cui è inserito, la
mente collettiva da cui la sua psiche è sballottata, piccola
scialuppa in un'immensa tempesta.
Questa possessione di gruppo è la sorprendente ricomparsa di
un mito classico nel cuore della modernità: quella dei Centauri
Per il centauro non esisteva differenza tra la vita sessuale e
violenza sessuale: erano una cosa sola, la vera forma di
sessualità era lo stupro. Per il centauro non esisteva neppure
la differenza tra guerra e violenza orgiastica sulle donne:
erano una sola cosa, la sola forma di lotta era quella
accompagnata da ebbrezza collettiva e stupro. Per questa
estasi perversa si può quindi usare il nome di " centaurismo".
(...).
Luigi Zoja da Centauri ( Alle radici della violenza maschile)
CENTAURI 2
(...) Lungo l'evoluzione naturale, l'identità femminile è
relativamente stabile: così, quando comincia ad apparire una
società non più animale, ma umana, nelle femmine, biologia e
cultura si fondono in un ruolo collaudato e poco
contraddittorio.L' identità maschile che conosciamo è invece
ben più recente, legata alla società e alla Storia. E come tale è
molto meno definitiva e assai più fragile. Uno dei motivi che
può aver portato al dominio maschile è il bisogno di negare
questa precarietà e di riorganizzarla, dandole l'apparenza di
una solida superiorità che esiste da sempre.
Nella scala evolutiva, giunti ai mammiferi, le femmine evolvono
verso una cura e un'educazione dei piccoli sempre più
complessa; i maschi - invece - si limitano a competere fra loro
per l'accoppiamento. Anche negli animali più vicini a noi - le
grandi scimmie - le femmine hanno un ruolo intrecciato di
compagne, di madri, e perfino di educatrici; invece, per il
maschio, a decidere i rapporti è soprattutto la lotta con gli
altri maschi. Può rimanere nel tempo con alcune femmine ( in
genere non è monogamico ) e con i rispettivi piccoli, ma l'
origine di ciò non sta in legami di coppia o di paternità, bensì
nelle vittorie sugli altri maschi, che gli hanno permesso di
salire a questa posizione sociale. Solo presso i nostri antenati
più diretti si formano famiglie relativamente stabili e
monogamiche, dove anche i maschi assumono una
responsabilità verso i figli. Dunque, nella donna l'identità
femminile e quella materna hanno un rapporto dialettico e in
buona parte armonioso lungo tutta la scala evolutiva che ha
portato dall'animale all'essere umano. Invece nell'uomo, il
padre e il maschio ( animale ) sono due polarità recenti, in
equilibrio precario l'una sopra l'altra . (...)
Luigi Zoja da Centauri ( Alle radici della violenza maschile)
CENTAURI 3
(...) Il padre civile nasce come soggetto dotato di obiettivi ampi.
Diversamente dalla madre, la cui responsabilità verso il figlio
è un prolungamento graduale della funzione nutritiva verso
tempi più lunghi, il padre risponde ad un progetto complessivo
a favore dei figli basato anche su un primordiale pensiero
astratto. Questo richiede una certa capacità di organizzazione
e di processi mentali non collegati agli oggetti immediatamente
presenti : dunque uno stadio quasi civile. Il padre è il prodotto
di una evoluzione recente, culturale più che zoologica. Il suo
comportamento non corrisponde tanto a certi istinti, quanto a
un loro controllo; anche per questo, nel patriarcato occidentale
ha avuto spesso una funzione un poco poliziesca, o, per usare
una parola che si è imposta dai tempi di Freud " castratoria ".
Impartisce i " No". Prima di degenerare in abusi di potere -
quindi di invecchiare rivelandosi distruttiva - lo scopo vero per
cui essa sorse era porre limiti nell'interesse della famiglia.
Più che imporre divieti assoluti, dovrebbe incanalare le energie
psichiche dei figli verso attività sociali che possano continuare
nel tempo. Un " programma " che educa e contiene gli istinti
maschili più evidenti, intensi ma brevi come fiammate : quello
erotico e quello del combattente . (...)
Luigi Zoja da Centauri ( Alle radici della violenza maschile)
CENTAURI 4
(...) Diversi testi parlano della " costruzione del padre" a partire
dal maschio. Anch' io ho dedicato un saggio all'argomento
( Ettore - se ne può trovare un estratto in questo blog ). Per gli
scopi che stiamo qui trattando sarà sufficiente ricordare quello
a cui abbiamo appena accennato. Nell'identità femminile, le
due polarità di madre e compagna sono collegate naturalmente
perché esistono ad ogni stadio dell'evoluzione biologica e della
società : e fino a che non intervengano forse contrarie, si
possono dunque alternare in modo abbastanza armonico.
Quella maschile - invece - è costituita da due poli non integrati
reciprocamente, né posti sullo stesso piano: il padre e il
maschio competitivo ( che possiamo anche chiamare " maschio
animale " o " prepaterno" ).
Il padre è - in rapporto all'evoluzione - una costruzione recente
sostanzialmente antistintuale, non strettamente necessaria né
stabile. Certo, per millenni, i valori ebraico - cristiani e i
principi patriarcali gli hanno dato continue conferme che
lasciano un'impressione di immutabilità. Ma nel mondo post
moderno, con lo sgretolarsi della famiglia e dei suoi valori
tradizionali, l'equilibrio si altera. Se è la Storia che ci ha dato
il padre, la Storia se lo può riprendere. Quando la convivenza
civile si spacca, sotto la spigolosa crosta del patriarcato
occidentale, non compare il mondo più rotondo della Grande
Madre, che antropologia, psicoanalisi e femminismo hanno
rivestito di seni nutrienti e condotte affettive: riemerge invece
direttamente un maschio animale . (...)
Luigi Zoja da Centauri ( Alle radici della violenza maschile)
CENTAURI 5
(...) Nei cataclismi storici moderni, l'uomo può tornare a qualcosa
di molto più primitivo dell'uomo, la donna restare donna della
- e nella - modernità. L'immensa prevalenza dei crimini e delle
trasgressioni maschili su quelle femminili, in tutto il mondo e
in tutte le epoche, lo conferma.
Gli animali che vivono in gruppi hanno istinti comuni, che
coordinano il loro comportamento. Partendo da questa origine,
l'evoluzione è giunta alle società umane più semplici : le loro
norme trasformano in regole quello che nei fatti è già il
prevalente comportamento collettivo. Solo nelle società più
complesse nasceranno in modo compiuto i diritti e le scelte
individuali. All'inizio, ciò che già prevale nel gruppo viene
considerato e proclamato giusto: l'istinto imitativo contribuisce
a rendere funzionale una società semplice. Il mito dei Centauri
ci dice però che - a volte - nel branco può prevalere la
violenza, e alla semplice violenza può associarsi quella
sessuale. Se questo comportamento diventa regola, si può
arrivare al paradosso per cui è il non- stupratore a " sentirsi
in colpa". (...)
Luigi Zoja da Centauri ( alle radici della violenza maschile)
Arnold Schönberg - La Notte Trasfigurata
" Mai più " - La sindrome di Ceni
Ceni era una vergine bellissima che abitava - particolare mitico non casuale - proprio in Tessaglia, la terra dello stupro. Tutti avrebbero voluto sposarla, ma la giovane non aveva fretta. Un giorno però, mentre camminava da sola lungo il mare, il dio Poseidone uscì dalle acque e le usò violenza. Forse perché voleva mostrarsi un po' contrito, forse perché - essendo un dio - non gli costava nulla, Poseidone disse alla ragazza : " Puoi esprimere un voto senza che ti sia rifiutato. Scegli quello che desideri ".
" Da questa offesa " rispose Ceni " nasce un solo desiderio :
che non avvenga mai più una cosa simile. Fa' che io non sia mai più donna e avrai compiuto il mio più grande desiderio".
Come aveva promesso, Poseidone acconsentì. Ovidio ( dalle
cui Metamorfosi è tratto il mito ), non ci dice se il dio si alleggerì la coscienza, ma aggiunse che le ultime parole di Ceni furono pronunciate in un tono più grave: sia perché la cosa era molto seria, sia perché si stava già trasformando, e anche la sua voce perdeva di femminilità. Diventò il guerriero Ceneo, pressoché invincibile e interessato solo alla guerra.
Publio Ovidio Nasone da Le Metamorfosi
martedì 25 luglio 2017
SONO IL MESSAGGERO DEL TEMPO
Preposto al servizio delle stelle, io giro, come una ruota...
Le ragazze, quelle che camminano
con gli stivali di occhi neri
sui fiori del mio cuore.
Le ragazze, che hanno abbassato le lance
sui laghi delle loro ciglia.
Le ragazze, che lavano i piedi
nel lago delle mie parole.
***
Su un ramo
stavano l'uccello dell'ira
e l'uccello dell'amore.
E si è posato sul ramo
l'uccello della quiete.
E con un grido
si è alzato l'uccello dell'ira.
E l'ha seguito l'uccello
dell'amore.
***
Preposto al servizio delle stelle
io giro, come una ruota,
che s'invola all'istante sull'abisso,
che finisce sull'orlo del precipizio.
Io imparo le parole.
***
Quando di me sarò poi stanco,
mi getterò nel sole d'oro,
mi vestirò di un'ala strombazzante,
il vizio mescolerò col sacro.
Sono morto, sono morto, ed è sgorgato il sangue
sulla corazza, un gran torrente.
Sono tornato in me , in altro modo, nuovamente,
guardandovi con gli occhi di guerriero.
Velimir Chlebnikov da Sono il messaggero del tempo
SINTOMI
Sto per innamorarmi un'altra volta...
Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non mi interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio - la notte - al letto far ritorno.
Maledico chi agisce onestamente,
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l'anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto,
ma certo non mi piaccio neanche un po'.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L'idea di un uomo mi lascia sconvolta...
Sto per innamorarmi un'altra volta.
Dorothy Parker da Rivista poesia
lunedì 24 luglio 2017
COSI' TI VEDO
Di cosa ti dovrei raccontare, se non di ciò che so di
certo.
Ebbene tu, che da un lato e dall'altro
nel silenzio rurale tieni sopra due cavità assorte
la forma convincente dei suoni deposti,
mi chiedi dall'angusta apertura del dire, cosa vedo?
Ora ascolta dunque,
io vedo il tuo viso, ascetico osservare,
è nudo accadere, poiché nient'altro ti circonda.
Così la tua fronte è un campo calato
che pesti in lento salire fino a casa la sera.
E lì, sotto al campo due cardi taglienti,
sono gli occhi di una vita raccolta.
Solitudini in fiore lasciate lì a terminare il settembre.
Ostensione il tuo viso, è quantità dei giorni riscossa
in fascio,
ha in mezzo un monte e lì in sacrificio accolto
con due solchi di pastura che nulla sanno di odori e
profumi.
Questo vedo e non oltre.
Mi basta la tua sacra immagine del vero.
Roberta Dapunt da Le beatitudini della malattia
ALL'ESTATE
Tu, pronta ad ingoiare tutte le stagioni...
Poggi leggera sul tuo cuore.
Non ti vuoi spostare.
Le rondini schiamazzano
in giro per la casa. Tutta la notte
aspetti ansiosa che un venticello
ti faccia crollare addormentata.
Ti corichi davanti alla porta,
la testa rivolta a nord, ma
nessun altro dei punti cardinali
s'insinua furtivo nel tuo corpo. Le tue orecchie,
liberate con olio d'oliva, si sintonizzano
su stelle difficili, sonore e roventi.
L'estate sta finendo. Tu già
ti scontri col primo fiocco di neve,
la bocca aperta per gustarlo, pronta
a ingioiare tutte le stagioni.
Jo Shapcott da Della mutabilità
domenica 23 luglio 2017
TI ADORO.SOLO CON TE POSSO ESSERE UOMO SENZA SENSI DI COLPA. ( Henry Miller)
(...) Mia adorata Anais,
quale immenso piacere mi fanno le tue parole! Mi fanno sentire
ancora un uomo. Sappi che ti scrivo dal futuro, ma è come se ti
scrivessi dal passato, perché qui - nel frattempo - è cambiato
tutto in peggio, cosa che tu stenteresti a credere. Non c'è una
scrittrice simile a te, così aperta, così francese, così bagnata
anche a distanza: al massimo queste si bagnano se escono con
un temporale senza ombrello.
Oggi noi maschi dobbiamo stare attenti a quello che diciamo, e
le donne di cultura sono secche come il deserto del Sahara, e
non per la menopausa, ma perché il femminismo ha di nuovo
preso piede e quindi siamo tutti incolpati di essere maschi ad
ogni minima avance, a tal punto che ci passa la voglia, e meno
male che hanno inventato Internet: un posto ideale dove ci
sono ancora donne vere, come Saha Grey, che ha scritto un
romanzo bellissimo. Glielo avresti invidiato. Invece queste
nuove narratrici femministe sono brutte come la fame e
scrivono libri ancora più orrendi; o forse sono femministe
perché sono brutte e scrivono libri orrendi per questo.
Nel momento in cui mi scrivi, tu hai trent'anni e sei piena di
passione sfrenata e disinteressata: oggi, a una donna della tua
età se le proponi di andare a letto, ti risponde acidamente che
la desideri solo per il sesso e come il tuo Hug ti domanda prima
se la ami. Se non la ami, niente, se la ami peggio ancora, ti
scarica addosso tutti i problemi dei precedenti uomini, come se
fosse colpa tua e non loro che sono così noiose.
Insomma, io e te l'abbiamo sempre pensata così :prima
scopiamo, poi vediamo se ci amiamo, no?
A trentacinque cercano marito, a quaranta, se non hanno avuto
un figlio sono isteriche, e se lo hanno avuto sono isteriche
doppiamente, perché sono state lasciate e sono in cerca di un
altro uomo da martirizzare, per cui ti presentano il conto ancora
prima della cena, che fra l'altro fanno cucinare a te.
Culturalmente viviamo nell'epoca dell'isteria uterina e
fallofobica, una catastrofe biologica.
Quelle più disponibili e simili a noi hanno meno di diciotto anni,
ed è un reato, meglio non azzardarsi proprio: se le corteggi ti
ritrovi in carcere, in una cella con dieci rumeni che usciranno
prima di te perché in fondo hanno solo rubato o stuprato
qualcuna. Ti ricordi Charlie Chaplin? Sposò una tredicenne.
Oggi metterebbero dentro anche lui.
Intanto gli scrittori sono diventati una lagna: altro che Tropico
del Cancro e Tropico del Capricorno! E' tutto un tropico della
sfiga : per rimorchiare, questi scribacchini di regime devono
sfornare lagnosi romanzetti sociali petulanti e soporiferi: sulla
disoccupazione, sull'immigrazione, sulla loro generazione,
tutte cose che c'erano già all'epoca in quelli che disprezzavamo,
e infatti nessuno se li ricorda più. Ti ricordi cosa diceva
Proust di quel coglione di Pierre Hamp?
O quanto mi manchi, mia cara Anais!
Ora scusami, ma ho da fare: ho un appuntamento con una
prostituta conosciuta ieri ma non per il sesso: l'ho già fatto su
Youporn: la pago per farmi le coccole...costano meno di quelle
di una moglie. (...)
Henry da Storia di una passione - Lettere 1932-1953
PASSIONE SENFA FRENI ( Anais Nin)
Per un'ora d'amore venderei anche il cuore...
(...) Henry, amore mio,fai a pezzi la lettera che ti ho spedito ieri.
Tra due carezze di Hugh, ti bramo disperatamente. Bramo la
tua forza e la tua dolcezza, le tue mani, ogni cosa di te, e non so
più quello che ricordo e quello che desidero. Ma mi fa
impazzire immaginare, sentire o mettere per iscritto tutto
questo con il volto di Hugh costantemente interposto tra me e
la carta.
***
" Fiorellino mio, che cosa stai scrivendo? A che cosa stai
pensando?". Il suo trucco è di chiedermi ogni ora o giù di lì
" Mi ami? " . Tutto questo mi tormenta e mi paralizza. Questa
notte ho sognato che tornavo - forse ti piacerebbe venire a
Louveciennes. Sarò sola in casa. Henry,Henry, ricordo ogni
cosa -la giornata nei boschi e la notte a Clichy e il tosaerba.
( Non importa quel che tu hai detto quella notte. Voglio che tu
abbia da me l'esperienza di essere amato ).
***
Oh Henry, sono rimasta così sconvolta dalla tua lettera.Stamane
quando l'ho ricevuta, tutti i sentimenti artificialmente repressi
mi hanno travolto. Il semplice tocco della lettera è stato come
se tu mi avessi presa tra le braccia, e adesso puoi capire che
cosa ho provato leggendola. Hai detto tutto quello che poteva
toccarmi, ed ero bagnata e a tal punto impaziente che farò di
tutto per guadagnare una giornata.
***
Il biglietto che ti accludo - che ti ho scritto ieri sera due ore
dopo averti spedito la mia lettera- ti aiuterà a capire quel che
succede. Comunque, dovresti aver ricevuto il telegramma circa
allo stesso tempo. Io ti appartengo! Avremo una settimana come
mai ce la siamo sognata . " Il termometro scoppierà! "
***
Voglio sentire ancora il tumultuoso pulsare dentro di me, il
sangue impetuoso, ardente, il lento, carezzevole ritmo e l'
improvvisa, violenta spinta, la frenesia delle pause quando odo
il suono della pioggia... e come mi sussulta nella bocca, Henry.
Oh Henry, non riesco a sopportare di scriverti - ti voglio
disperatamente, voglio spalancarti le gambe, mi disciolgo e
palpito -. Voglio fare con te cose talmente pazzesche che non so
come dirle. Hugo mi sta chiamando.
Risponderò al resto della lettera questa sera . (...)
Anais
Achensee, 6 Agosto 1932
Forget the few
il mondo intero trattiene il respiro, nel luogo in cui la punta delle tue dita tocca i miei capelli...
giovedì 20 luglio 2017
VITA CON LACAN ( Prefazione di Massimo Recalcati )
Lacan, l' Ariete
GRATITUDINE
(...) Il lettore italiano potrà trovare in questo piccolo e delizioso
libro un ritratto inedito di Jacques Lacan, sicuramente lo
psicanalista più geniale e sovversivo della storia della
psicoanalisi dopo Freud. Catherine Millot ha vissuto con lui
l'ultimo decennio della sua vita come amante, compagna,
allieva e analizzante. Avendo al momento della stesura di
questo libro raggiunto la stessa età di Lacan quando iniziò il
loro rapporto, l'autrice ha avvertito l'esigenza di omaggiare
l'uomo che l'ha incantata e che ha profondamente amato " Un
appuntamento da onorare, un modo di ritrovarlo". Non si
dovrebbe dimenticare - infatti - che questo ritratto è stato
scritto da una donna come un dono d'amore, la manifestazione
di un sentimento di gratitudine che non solo - come invece tante
volte è accaduto nella storia della psicoanalisi - non si è
ribaltato nel suo contrario, ma non si è mai estinto, resistendo
indenne alle prove del tempo. Non è frequente non sputare sul
proprio maestro, sul proprio analista o sul proprio amante.
Non è frequente non lasciare che l'odio prenda il sopravvento
sull'amore: far prevalere la gratitudine sull'ingratitudine.
E' accaduto a molti allievi e amici di Lacan.
Il ritratto che Catherine Millot ci offre di Lacan, non è tanto
il ritratto dello psicanalista, ma - innanzitutto - dell'uomo che
ha amato. E' chiaro che questa distinzione può lasciare il tempo
che trova perché non è mai del tutto possibile distinguere l'
uomo dal suo pensiero, soprattutto se l'attività che ha
impegnato con passione Lacan per una vita è quella della
psicoanalisi. In questo ritratto Lacan emerge come un uomo
che non assomiglia per nulla allo stereotipo cadaverico dell'
analista come privo di passioni, neutro, separato dal desiderio.
Un'immagine mummificata e falsamente padronale che non gli
è mai appartenuta, né come analista, né nella sua vita.
Questo piccolo libro ci restituisce il ritratto di un uomo che non
si sottrae alla spinta del desiderio ma che, anzi, rende tale
spinta il motore di una nuova etica. In questo la sua vita
corrisponde alla sua dottrina : l'" intemperanza" del desiderio,
teorizzata dallo psicanalista, diventa l'intemperanza dell'uomo.
(...)
Massimo Recalcati da Vita con Lacan
VITA CON LACAN 1
(...) Ci fu un tempo in cui ebbi la sensazione di aver colto
intimamente l'essere di Lacan, di percepire quasi il suo
rapporto con il mondo, di avere un accesso segreto al luogo
intimo da cui si irradiava la sua relazione con gli esseri e le
cose, e il suo stesso essere. Come se fossi scivolata dentro di lui
Il sentimento di percepirlo dall'interno era unito all'
impressione di essere compresa, di essere cioè perfettamente
inclusa in una sua comprensione, la cui estensione andava al di
là di me. La sua mente, con la sua ampiezza e profondità, il suo
universo mentale, inglobava il mio come una sfera che ne
contiene un'altra più piccola. Ho ritrovato un 'idea simile nella
lettera in cui Madame Teste parla di suo marito ( il brano cui
si fa riferimento è la Lettera di Madame Emile Teste tratta dal
romanzo di Paul Valéry " Monsieur Teste ". La lettera di Emile
apparve la prima volta nel 1924. n.d.r. ).
Come lei, mi sentivo trasparente per Lacan, convinta com'ero
che lui di me avesse un sapere assoluto. Il non dover
dissimulare niente, il non serbare alcun mistero mi davano -
quando ero con lui - una totale libertà. Ma c'era di più: una
parte essenziale del mio essere era rimessa a lui, che ne era
la custodia: io ne ero sgravata. Ho vissuto al suo fianco per
anni in questa sensazione di leggerezza.
Un bel giorno però, mentre Lacan trafficava con gli anelli di
spago che gli davano tanto filo da torcere, mi disse: " Vedi,
questo sei tu". Ero come chiunque altro, uno qualsiasi, quel
reale che sfuggiva alla sua presa e che gli dava tanta pena. Ne
fui colpita, nel considerare a un tratto quello che in me gli
resisteva come solo il reale resiste.
Che cosa voglio dire quando parlo del " suo essere? ".
La sua particolarità, la sua singolarità, ciò che il lui era
irriducibile, il suo " reale". Quando oggi cerco di riafferrare
l'essere di Lacan, a tornarmi in mente è il suo potere di
concentrazione, la sua quasi ininterrotta concentrazione su un
oggetto di pensiero che lui non mollava mai, fino a che fosse
diventato estremamente semplice. In un certo senso, Lacan non
era altro che questo: concentrazione allo stato puro, che si
confondeva con il suo desiderio rendendolo tangibile.
Una concentrazione che ritrovavo nel suo modo di camminare:
proteso in avanti,per prima la testa, trascinata dal suo peso,
che riprendeva equilibrio al passo successivo. Ma in questa
stessa instabilità, si avvertiva la determinazione: non avrebbe
deviato di un millimetro dalla sua strada, sarebbe andato fino
in fondo, sempre dritto, senza rivolgere nemmeno uno sguardo
a ciò che gli si metteva di traverso, e che sembrava ignorare,
e che comunque non gli ispirava alcuna considerazione.
Amava ricordare di essere del segno dell' Ariete . (...)
Catherine Millot da Vita con Lacan
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