venerdì 7 luglio 2017
INGRATITUDINE 5
RISONANZE SOCIALI E AMBIVALENZE
(...) Non tutti, dopo queste esperienze, anche acerbe, sono ancora
disposti a mostrarsi solidali, a non nutrire sospetti dinanzi alle
richieste di un amico e tanto meno di uno sconosciuto. Per
questo, ed è più rispondente ai fatti, è meglio ogni volta
declinare l'ingratitudine al plurale. Le più perverse e asociali
minano senza attenuanti i requisiti delle regole elementari del
rispetto e della convivenza, nelle plurime occasioni dell'
amicizia, della solidarietà, della concordia, dell'accoglienza,
dell'ospitalità. Sbagliato sarebbe ridurre la questione ai diverbi
e alle incomprensioni soltanto personali e private. Ogni
comparsa dell'ingratitudine nelle nostre storie, quali ne siano
i modi, genera turbamenti e risonanze sociali. E' un'offesa alla
nostra aspirazione alla generosità, alla fiducia, al tempo
dedicato agli altri per pura passione e gratuità. Quando i segni
di gratitudine che ci attendiamo non siano sottoposti al vincolo
di contropartite disoneste, a contratti non scritti sottobanco e
tali da implicare il corrompersi delle sue virtù, nelle sue
degenerazioni più inique. Quando un grazie mancato o privo
di ostentate genuflessioni ,comporti che l'ingrato venga ritenuto
un infame, un inaffidabile e una minaccia anche nelle
aggregazioni umane più insospettabili.
Mostrare gratitudine è, o per lo meno dovrebbe essere, un
valore aggiunto in molte situazioni di convivenza.
E' " quel di più " indispensabile anche quando è in gioco il
rispetto dei diritti e dei doveri dei cittadini. E' dagli effetti
emotivi che suscita in noi, o in chi siamo noi a ferire, aprendoci
o aprendo gli occhi a una verità dolorosa, più o meno crudele,
che occorre iniziare a parlarne per tornare sempre alle
sensazioni di sdegno o di delusioni provate. Ma poche
sensazioni, come quelle suscitate dall'ingratitudine o dalla
perfida intenzione di essere stati ingrati verso qualcuno, hanno
il potere di risvegliare - ogni volta che ci accada di
rammentarle - le amarezze già provate. Sono paragonabili al
gusto agrodolce della rivincita e del castigo, quando ci
avvaliamo dell'ingratitudine per mandare un segnale esplicito
o in codice, un messaggio intimidatorio a chi non abbia fatto o
detto qualcosa a nostro vantaggio, così come speravamo
potesse avvenire. L'ingratitudine - in questi casi - sarebbe
pleonastico definirla un sentimento, eppure ne suscita non
pochi. Ci trova passivi quando ne riceviamo i segnali, ne
percepiamo gli indizi, ne ascoltiamo i silenzi; ci trova reattivi
invece se- avendola subita - non incassiamo il dolore, non
tacciamo il nostro scontento. E se di tale materia vischiosa ed
evocatrice di tristezze, di azioni ignobili, di errori e rimpianti
vogliamo occuparci: se in tali circostanze sono i moti dell'
animo istintivi, più che i calcoli e le prudenze della ragione ad
avere la meglio, non ci resta che una via da percorrere - a mio
parere - obbligata. Occorre disporsi - di buon grado o
controvoglia - a disseppellire i ricordi delle esperienze di
ingratitudine . (...)
Duccio Demetrio da Ingratitudine
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