Chiedete alle rose di richiudersi in boccio...
Vi scrivo, Kàrina, e non so se siete viva,
se già non siete dove non c'è desiderio,
se intanto non è finita la vostra
precaria età.
Siete morta? Chiedete dunque
alla vostra pietra
di farsi lieve. Chiedete alle rose, signora,
di richiudersi in boccio. Chiedete
al disgregarsi
di leggervi la lettera del mio
disgregamento.
La morte tace al cospetto dei versi
nei quali vengo a voi,
giovane così crudelmente e appena
sul maturare
che nella mia giovinezza a un re
mi fa somigliare
d'un perduto reame. Ma voi lo sapevate.
***
Il bosco sente, di notte, il tuo fruscìo, mia cara,
stormisci nella sua chioma e scorri giù dai suoi rami
con l'umido della rugiada; la tua mano silenziosa
fruga i nidi assonnati, tiepidi come il tuo grembo.
Sei tutta brividi, quando intoni ai fiumi
i miei versi, hai paura e un pudore ti arrossa
le spalle esili e i seni accosto ai quali aspetto
che tu me li porti alle labbra, umidi di parole.
Tu non sai, non sai forse ciò che è stato pronunciato,
tu non sai quante volte ho sospirato il tuo nome,
non sai che ti possiedo come il bosco, come l'ombra
che si allarga , e a te non presente mi avvicina.
Ah, mi sveglierò, riapriranno gli occhi i miei sogni,
con nuova gloria risorgerò dalla rovina.
***
DI CHI SONO?
Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell'inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda;
io sono dell'amore di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.
Jiri Orten da La cosa chiamata poesia ( Trad. di G. Giudici
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