mercoledì 26 ottobre 2022

LA SMISURATA PREGHIERA DI LEOPOLDO & FABRIZIO



                                                               E il ricordo divenga azzurro...




Qui sono io, Leopoldo Maria Panero

figlio di padre ubriaco

e fratello di un suicida

perseguitato da uccelli e ricordi

che mi insidiano ogni mattina

nascosti in cespugli

gridando che finisca la memoria

e il ricordo divenga azzurro, e gema

pregando il niente perché muoia.



                                           ***


IL PAZZO


Sono stato tra i suburbi, simile

a una scimmia, sono stato nelle fogne

a trasportare feci,

due anni sono stato nel Paese delle Mosche

imparando a nutrirmi di ciò che secerno.

Fui una biscia che scivolava

sulla rovina dell'uomo, gridando

aforismi in piedi sui morti,

attraversando mari di carne sconosciuta

con i miei logaritmi.

E potei solo pensare che da piccolo

mi sequestrarono per un'allucinante battaglia

e che i miei genitori mi sedussero per

eseguire il sacrilegio tra anziani e morti.

Alle larve ho insegnato a muoversi

sui corpi e alle donne sentire

come cantano gli alberi al crepuscolo, e piangono.

Uomini imbrattavano il mio viso di fango, parlando,

e dicevano con " gli occhi fuori dalla vita ", ossia " non c'è niente che possa

valere meno dell'anima tua ", ossia " come ti chiami"

e " che oscuro è il tuo nome".

Ho vissuto i bianchi della vita,

i loro equivoci, i loro oblii, la loro

incessante imperizia e ricordo il loro

mistero brutale e il loro tentacolo

accarezzarmi il ventre e le natiche e i piedi

frenetici dalla fuga.

Ho vissuto la loro tentazione e ho vissuto il peccato

da cui pare nessuno mai ci assolva.



                                                ***


EPILOGO. A QUELLA DONNA CHE HO TANTO AMATO


Vedevi come giorno a giorno ti sfregavo

le cosce con l'incubo,

lo vedevi il terrore razzolare nei domini del sesso

e niente mi dicevi.


Vedevi nei miei occhi scene d'altri tempi

sequenze di case bruciate e rumore di linciaggio

e toccavi con schifo le squame

e non dicevi niente.


E mi lavavi con lo straccio il culo :

tutto quel che restava

e dicevi che era il vento quando fuori gridavano

i cani un'altra volta la mia morte :

e mi parlavi del vento perché niente restava.


Fingevi di ignorarmi quando - solo - chiedevo

la morte che mi era dovuta

e quando insistevo che era

la stanza una cappella ardente

per ardere i giorni come sigari o candele,

onore postumo a quel che c'era nel mio corpo :

dicevi che era il vento.


Baciavi con l'oro

dolce della tua pazienza la corona

grottesca della mia pazzia

e lasciavi che facesse giorno e poi

notte nella finestra chiusa :

dicevi che era il tempo.


Dicevi che ero io quando spettri credevo

di vedere nella tua testa, e nel tuo

cuore la danza notturna

e quando ti picchiavo e ti insultavo

bestemmiando contro quanto di più tenero

e non sapevo che mi amavi.


E così vivere è solo mendicare alle tue porte

e aspettare ai tuoi piedi, e sognare il tuo sguardo nel limbo

crudele dei muri di questa stanza,

anche se in fondo potrei

dire che accetto la vita

per rispetto a te che hai pietà di lei

e non so se c'è, e non vorrei

credere che ci sia stata un qualche strano giorno,

e non so e c'è.


E non so se c'è, e cos'è questa cosa che sboccia

simile al pus per i muri, cosa sono questi libri

vecchi come la mia vita, testimoni di segreti

assurdi e grotteschi che ormai a nessuno interessano,

ridicoli come la mia vita e ancora più comici

della mia figura.


E non so se c'è vita

o ne resta alcuna e se tutto questo non è peccare

se merita il suo essere questa solitudine di lebbra

e di maledizione che pronunciano solo 

gli altri per la loro fuga, e con risa e orge

attorno a questo cadavere fragile, solo aria,

e celebrano la mia rovina e di notte urinano

su questa tomba immensamente umiliata.


Io non so come può essere tanto immensa la mia morte,

né qual è il mistero che fa passare i giorni

né ciò che tiene in piedi la marionetta che va

ormai torti i fili e senza sapere ormai niente

né perché ho scritto questo nè se c'è qualcosa di scritto,

se le lettere non sono raschiate dal marciapiede,

da ogni cultura.


Io non so cos'è la luce

misteriosa e crudele che appare a quest'ora

eternamente immobile di un assurdo mattino

non lo so, ma so che c'è accanto a me una sorella

unica creatura che esiste anche dopo il niente :


e questa lingua che lecca

giorno dopo giorno le inutili piaghe

e il dolore senza dolore, come un'ombra vana,

come mal di denti a carie in un letto,

questa lingua instancabile che accarezza la lebbra

la stessa che ama i morti è forse, oggi che in fine niente

resta ormai scritto,

sopra un foglio fantasma l'unica poesia.




           Leopoldo Maria Panero da  Peter Pan non è che un nome ( Trad. di I. Pravo e S. Gatto )




2 commenti:

  1. Mah... non ci avevo pensato...

    In effetti la poesia di Panero non può certo definirsi " allegra o anche solo serena", così come travagliata fu tutta la sua esistenza, a cominciare dalla sua opposizione al regime franchista che lo portò in carcere negli anni giovanili. E sempre a quegli anni risalgono le sue esperienze di alcol e droga, per finire poi ad essere ricoverato più volte in istituti psichiatrici.
    Ma nonostante tutte queste traversie, seppe farsi conoscere non solo come poeta, ma anche come narratore, traduttore e saggista e per questo lo ricordiamo.
    Senza contare che il suo modo diretto e a volte brutale di narrare realtà e sentimenti non sono del tutto privi di un certo fascino , anche se a tinte un po' " sinistre".

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