amore che fuggi, da me tornerai...
(...) L'amore va, l'amore viene, dipende... Com'è noto, Faber
scrisse nel '66 " Amore che vieni, amore che vai", un brano che
nel suo insieme potrebbe benissimo suonare come una canzone
d' Oltralpe, stile Brel, ad esempio. La canzone ricorda una
macchina teatrale barocca che solo in alcuni momenti e in
alcune sfumature lascia cogliere all'ascoltatore l'intera
prospettiva, l'orizzonte in tutta la sua complessità. Sembra -
infatti - una canzone greve, dall'andatura pesante, all'
apparenza forzata. L'incedere della musica unita alla voce di
Faber offrono un'immagine di tragica solennità, di sofferta e
ineluttibile nostalgia. L' una intrecciata all'altra contribuiscono
ad evocare un atto, quello proprio alla confessione di una
verità, incommensurabilmente sconfortante perché figlia dell'
evidenza di una costatazione: è così e non altrimenti, è così e
non poteva e non potrà mai essere diversamente. Si scrive
amore ma si pronuncia delusione. Tuttavia, il brano è
attraversato al suo interno da un movimento melodico che
costituisce una sorta di controcanto nei confronti di quell'
entrata ridondante e massiccia con cui la canzone si presenta
e, per certi versi, si sviluppa. " Amore che vieni, amore che vai"
mima l'oscillare cadenzato di un cullare antico, come se
ripetesse in questa parola non espressa, trascinata lungo tutto
l'arco del pezzo, quella risposta che insistentemente il testo
insegue.
" Le canzoni le ho scritte così, come mi hanno aggredito, per
incontenibile riaffiorare di memoria ", commentava a riguardo
De André. E " Amore che vieni, amore che vai", sembra il
manifesto di quell'affetto che si consuma tra la domanda e
l'intenzione, tra l'aspirazione e una rabbia rivendicativa a
stento trattenuta. Il protagonista vorrebbe - forse - ardire a
giocare la carta di chi è desiderato. Un osare che - tuttavia -
potrebbe restituirgli la sua tristezza, raddoppiata. In quel
momento, infatti, sarebbe difficile sottrarlo all'incontro con la
crudeltà di un disinteresse che lo lascerebbe ulteriormente
ferito. L' Altro sfaterebbe ogni malinteso, dissolverebbe ogni
equivoco, palesando che se lui non può vivere senza di lei, lei
- invece - può farne benissimo a meno. O - anche - viceversa .
Rimane solo una profezia, fragile e frustrata, un rancore
minaccioso appena dissimulato " amore che fuggi, da me
tornerai..." . (...)
Angelo Villa da Pink Freud ( Psicoanalisi della canzone d'autore da Bob Dylan a Van De Sfroos )