lunedì 17 agosto 2020

POESIE DI VIVINETTO 2




Era così prepotente la cifra
della tua assenza da ritrovarla
in ogni movimento del quotidiano.
Il gesto di scrutarsi la fronte allo specchio,
la cadenza delle posate sopra
il piatto, il modulare una frase,
una carezza, schiudere gli occhi
al risveglio, articolare in un certo
modo il respiro erano talmente
tuoi da non capire dove finissi
tu e dove iniziasse noi,
dove si trovava il confine, dove
preservare ancora i ruoli. Per molto tempo
tacemmo l'unica verità di quei
giorni: e cioè che col perdere te
avevamo iniziato e perdere
qualcosa di noi stessi.


                                            ***

Capitavano giorni di salvezza
in cui era concesso dimenticare.
Allora scrutavamo i nostri corpi
nuovi come bestie che presentono
col fiato la minaccia, a tentoni
ne perlustravamo le pieghe,
gli spigoli vivi, evitavamo le zone
dolenti, ci adattavamo agli imprevisti.

Ma niente c'era a dirci, proprio niente,
cosa avessimo fatto fino ad allora
di quella carne, quale scempio,
quale misera mistificazione.
D'improvviso pelle senza storia.
Tra le mani cumuli e grumi
di cellule da rinominare.
Da risignificare. In quegli attimi
di pace noi eravamo solo macerie
senza nome gettate nel mondo
per volere di qualche dio crudele.


                                             ***

" GiovanniGiovanniGiovanni " hai cantato
quella notte una nenia tremenda
trascinando le sillabe nel sonno.

Mi hai ricordato le antiche madri greche
col velo di morte premuto sugli occhi
a piangere i figli in riva al mare.
Questa trenodia da far tremare il sangue
così composta nella sua altezza tragica.

Ma come far smettere te, come
placare quel pianto radicato
nelle vene, come prosciugare il dolore.

Avrei voluto essere il tuo deus
ex machina che sale improvviso dalle acque,
toglierti d'impaccio, chiudere il dramma
schioccando due volte le dita.


                                               ***

La luce che cade dall'alto non cade
per tutti allo stesso modo. Ho pensato
quando ti ho visto scansare una lama
di sole in soggiorno questo pomeriggio.

Le finestre che amavi tanto adesso
le tenevi serrate, le tende tirate
fino all'ultimo - barriere invalicabili.

Qui c'eri tu col tuo crimine senza nome,
al di là delle imposte tutto il mondo
che non volevi contaminare. C'era
la purezza dell' animale ferito
in questo toglierti dalle circostanze,
nell'abolire la tua presenza
dai luoghi rinunciando all'umanità.
Volevi badare solo per te stesso.

A volte provavo una commossa pietà,
ma altre volte - invece - con violenza
spalancavo i vetri, ti obbligavo al dolore
della luce e tu, con due occhi grandi così,
acquosi e inoffensivi, mi guardavi
come a dirmi incredulo  " Perché lo fai? "


                                           ***

Non lo so ma so che qualcosa si è rotto
- non il bicchiere che hai mandato in frantumi
per muovermi a compassione, per smuovermi
al pianto. Nel profondo qualcosa
che si agitava fino a ieri, ora
non vibra più. E' come la certezza
di un figlio morto, di una parte del corpo
che non tornerà più a funzionare.

Io vorrei tanto sapere cosa
è andato perduto, se una parte
si può recuperare, quel che rimane
tra noi vorrei tanto sapere,
il peso specifico di ciò che ci opprime.

Risparmiami almeno questa mia cattiveria
- il sorriso buono del carnefice
che si slarga un attimo prima della rovina.



                      Giovanna Cristina  Vivinetto    Inediti



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