martedì 31 dicembre 2019

IL DI PIU' SENZA ADESSO

 
 

                                                    Per questo mi lascio spaziare di tempo…



Doveva essere così,
con questa scia che l'amore lascia bucando
le ore di notti e giorni che mantengono il chiarore.
Non poteva che essere così,
nell'indietro degli anni che avanzano,
nelle differenze di mondi sconosciuti
dove il fiorire non si esaurisce su corolle
di petali avvizziti.

Forse è questo cielo fatto di nuvole libere
a disegnare contorni che non conoscono esilio,
o forse è la mancanza di geometrie scontate
a prolungare i senza fine di promesse non sconfitte;
o forse - ancora - è il non temere il peso
che le ore ripetute possano sembrare uguali.

Per questo mi lascio spaziare di tempo
sconfiggendo la paura della somma,
che spinge l'instancabile impazienza
a vivere il di più orfano dell' adesso.



                                 frida




PAROLE SU STRACCI

 
 

                                           La mano della vigilia che scivola sotto la pelle...


XXXVIII

mi fa male il cuore
è una finestra di calcinacci
è rumore
il mio cuore
una benda di cotone che mostra tutto
perfino le rughe
di una malinconia di contrabbando.


                                                ***

XXXVII

e se anche riuscissi a tradurre
in parola e carezza
la tua marea
tutto rimarrebbe come un sorriso che cade
sulla strada di piombo
nel fuoco
del mio cuore cane.


                                                ***

XXXIV

perché allora il ricordo di una notte
di una mezz'ora a primavera
di uno specchio di stupore in pieno cielo
si disfa come un rigo di fumo
fuori
dalla nostalgia della bocca.


                                               ***

XXIX

con qualche risata in mano
sotto un ponte di cielo
la tregua del vento / che solletica
quel che resta del tempo
quando  il sole non scalda che il giusto
e l'aria è un sorso
e poi un altro
e anche se lo sguardo si abbassa
è solo per una virgola di colore
sopra la trama / di un buon momento.


                                                ***
XXII


è leggerezza
come una foglia e un fantasma di neve
e il tocco e la fortuna di una donna in amore
e la mano della vigilia che scivola sotto la pelle
nel midollo del sonno
e si fa spazio.


                                              ***

XIII

e te ne stai nel silenzio di un bicchiere d'acqua e pane
così
in qualche modo aspettando per la solita volta
che la bolla scoppi
e lo stomaco rientri nei ranghi.
Una luce che boccheggia e il corpo secco di un pasto e cianfrusaglie
e il sospetto mezzo acceso di uno spreco di racconti.
Poi passi lo sguardo come uno straccio
sulle cose attorno e il riflesso
e non senti niente.
Non c'è più aria buona
da nessuna parte
solo qualche poltiglia di fatto
l'impasto di un'ironia
e lo zucchero di domani.
Certo
ogni tanto un po' di fame torna
ma dura poco.
E' una candela da quattro soldi.


                                               ***

XV

ho budella con trecce di bambole di peste.
la bocca che non ricorda.
ho occhi come bolle di fango.
sono circondato dal tempo
ho sangue da quattro soldi e vene scalze.
sono rotto.
sono stanco.
ho poca acqua e mani senza magia.
ho polmoni che scappano e dodici pensieri.
ho il mare alla mia destra
e una manciata di botte a cui far ombra.
sono una storia di cenere.



                               Luca  Ceccato   da     Parole su stracci



lunedì 30 dicembre 2019

QUALCOSA DA SAPERE ( A proposito di " Mal di pietre " )



(…)Mamma mi ha raccontato queste cose dopo che nonna è morta.
      Le ha sempre tenute per sé e non ha mai avuto paura di farmi
      allevare da sua suocera che amava molto. Anzi, pensa che
      dobbiamo essere grati a nonna perché si è presa tutto il
      disordine che magari sarebbe toccato a papà e a me. Secondo
      mamma - infatti - in una famiglia il disordine deve prendere
      qualcuno, perché la vita è fatta così, un equilibrio fra i due,
      altrimenti il mondo si irrigidisce e si ferma.
      Se la notte noi dormiamo senza incubi, se il matrimonio di papà
      e mamma è sempre stato senza scosse, se mi sposo con il mio
      primo ragazzo, se non abbiamo crisi di panico e non tentiamo
      di suicidarci,nè di buttarci dentro i cassonetti della spazzatura,
      o di sfregiarci, è merito di nonna, che ha pagato per tutti.
      In ogni famiglia c'è sempre uno che paga il proprio tributo
      perché l'equilibrio fra ordine e disordine sia rispettato e il
      mondo non si fermi.  (…)



                         Milena  Agus   da    Mal di pietre


 
 
      Per accompagnarti, ti accompagnerei…
 
 
 

MAL DI PIETRE 1

 
 

                                                                       Dimonia !  Dimonia !


(…) Si era sposata tardi, nel giugno 1943, dopo i bombardamenti
       degli Americani su Cagliari,  a quei tempi avere trent'anni
       senza ancora sistemazione, era come essere già un po' zitella.
       Non che fosse brutta, o che le mancassero i corteggiatori, anzi.
       Solo che- ad un certo punto - i pretendenti diradavano le
       visite e poi non si facevano più vedere, sempre prima di aver
       chiesto ufficialmente al mio bisnonno la sua mano.
       Gentile signorina, cause di forza maggiore mi impediscono
       questo, nonché il mercoledì venturo di " fai visita a fustetti ",
       cosa che sarebbe a me graditissima, ma purtroppo impossibile.
       Allora nonna aspettava il terzo mercoledì, ma sempre arrivava
       " una pipiedda " con una lettera che rinviava ancora e poi più
       niente.
       Il mio bisnonno e le sue sorelle le volevano bene anche così,
       un po' zitella, ma la mia bisnonna, no : la trattava sempre
       come se non fosse sangue del suo sangue e diceva che sapeva
       lei perché.
       Un giorno la mia bisnonna la aspettò nel cortile con la zironia,
       che era un nerbo di bue, e cominciò a colpirla fino a farle
       venire le piaghe persino sulla testa e la febbre alta.
       Aveva scoperto da voci che correvano in paese che i 
    pretendenti andavano via perché mia nonna gli scriveva poesie 
     d'amore infuocate che alludevano anche a cose sporche e che
     sua figlia stava infangando non solo se stessa, ma anche la sua
     famiglia. E continuava a colpirla, a colpirla e a urlare : "
     Dimonia! Dimonia ! " e a maledire il giorno in cui l'avevano
     mandata in prima elementare e aveva imparato a scrivere .(…)



                           Milena  Agus    da         Mal di pietre


   

MAL DI PIETRE 2



(…) Nel letto alto - la notte - nonna si rannicchiava il più lontano
       possibile da lui, tanto che cadeva spesso per terra e quando,
       nelle notti di luna, dagli scurini delle porte penetrava la luce e
       illuminava la schiena di suo marito,lei ne aveva quasi spavento
       di questo estraneo forestiero che non sapeva se fosse bello o
       no,tanto non lo guardava e tanto lui non la guardava.Se nonno
       dormiva profondamente, lei faceva la pipì nel pitale sotto il
       letto, altrimenti- bastava facesse un movimento impercettibile-
       che si metteva lo scialle e usciva dalla camera e attraversava il
       cortile con qualunque tempo per andare al gabinetto di fianco
       al pozzo. Del resto, nonno non tentò mai di avvicinarla e se ne
       stava anche lui così rattrappito sull'altra sponda- corpulento
       com'era - che più volte cadde ed erano tutti e due sempre
       pieni di lividi. Da soli, cioè in camera da letto e basta, non
       parlavano mai. Nonna faceva le preghiere della notte, nonno
       no, perché era ateo e comunista. E poi uno dei due diceva: "
       Fate buona notte ", e l'altro : " Una buona notte anche a voi".
       La mattina, mia bisnonna voleva che la figlia preparasse il
       caffè per nonno. Il caffè di allora, di ceci e orzo tostati nel
       camino con un attrezzo apposta e poi macinato.
      " Portate il caffè a vostro marito", e allora nonna andava con
       la tazzina viola piena di dorature sul vassoio di vetro dai
       motivi floreali, glielo posava ai piedi del letto e scappava
       subito, come se avesse lasciato la ciotola a un cane rabbioso
       e neppure questo si perdonò mai in tutta la vita .  (…)




                        Milena  Agus    da      Mal di pietre 
      

MAL DI PIETRE 3


(…) Una sera nonno, prima di sedersi sulla poltrona sgangherata
       vicino alla finestra sul pozzo di luce, andò a prendere dalla
       valigia di sfollato la sua pipa, tirò fuori dalla tasca un 
       sacchetto di tabacco appena comprato, e si mise a fumare, per
       la prima volta dopo quel maggio 1943.
       Nonna avvicinò lo scanno e rimase seduta a guardarlo.
    " Così voi fumate la pipa.Nessuno mai ho visto fumare la pipa ". 
       E rimasero in silenzio per tutto il tempo. Quando nonno ebbe
       finito, lei gli disse : " Non dovete più spendere i soldi per le
       donne della Casa Chiusa. Quei soldi dovete spenderli per
       comprarvi il tabacco e rilassarvi e fare la vostra fumata.
       Spiegatemi cosa fate con quelle donne e io farò tutto uguale ".
       (…)



                           Milena  Agus   da          Mal di pietre 


MAL DI PIETRE 4



(…) Quando nonna si accorse di essere ormai vecchia, mi diceva
       che aveva paura di morire. Non per la morte in sé, che doveva
       essere come andare a dormire o fare un viaggio, ma perché
       sapeva che Dio con lei era offeso, perché le aveva dato tante
       cose belle in questo mondo e lei non era riuscita ad essere
       felice, e questo, Dio, non poteva averglielo perdonato. In fondo
       sperava di essere matta davvero: da sana, l'Inferno era sicuro.
       Però con Dio avrebbe discusso, prima di andare all' Inferno.
       Gli avrebbe fatto notare che se Lui crea una persona in un
       certo modo, poi non può pretendere che agisca come se non
       fosse lei. Aveva speso tutte le sue forze per convincersi che
       quella era la migliore vita possibile, e non quell'altra di cui la
      nostalgia e il desiderio le toglievano il respiro.Ma di certe cose
      a Dio avrebbe chiesto sinceramente perdono : il vestito di
      cachemire che nonno le aveva comprato a Milano e lei aveva
      strappato sulla scala mobile della stazione; la tazzina di caffè
      ai piedi del letto, in quel suo primo anno di matrimonio, come
      la ciotola di un cane; la sua incapacità a godere di tante
      giornate al mare, quando pensava che il Reduce sarebbe
      arrivato al Poetto, agile sulla sua stampella.
      E quel giorno d'inverno, quando nonno era tornato a casa con
      una busta di abbigliamento da montagna, che chissà da chi si
      era fatto prestare, e le aveva proposto una gita sul Supramonte,
      organizzata dal suo ufficio per i dipendenti delle Saline e lei,
      anche se in montagna non c'era mai stata, aveva provato
      soltanto un insopprimibile fastidio e l'unica cosa che avrebbe
      voluto fare sarebbe stata strappargli dalle mani quell'
      abbigliamento ridicolo. Ma lui continuava testardo  dirle che i
      veri Sardi la Sardegna la devono conoscere.  (…)


                  Milena  Agus   da       Mal di pietre



MAL DI PIETRE 5


(..) A casa,a sera,aveva preparato il bagno caldo e la cena e si era
       spaventata per quanto nonno beveva. Uguale a sempre, ma era
       come se non l'avesse mai visto.
       Di notte, però, era stato bellissimo. Più di tutte le altre volte.
       Nonna,coricato papà e con addosso la vestaglia e la sottoveste
       vecchie, pronta per andare a dormire, si mangiava una mela
       soprappensiero. Nonno, chiusa la porta della cucina a chiave
       per essere sicuro che il bambino non entrasse, aveva iniziato il
       loro gioco della Casa Chiusa, dandole l'ordine di togliersi
       vestaglia e sottoveste e di distendersi nuda sulla tavola
       apparecchiata, come fosse stata il suo pasto preferito. Aveva
       acceso la stufa, perché non prendesse freddo, e ricominciato a
      cenare servendosi di quel ben di dio.La palpeggiava e lavorava
     dappertutto e prima di gustare qualunque cosa,anche la
     salsiccia sarda buonissima del paese, la metteva dentro la figa
     di nonna - perché nelle Case Chiuse è quella la parola che si
     doveva  usare -. Lei aveva iniziato a eccitarsi da morire e a
     toccarsi, e di amarlo o non amarlo in quel momento non gliene
     importava più niente voleva soltanto continuare il gioco.
    " Sono la tua puttana " mugolava.
     Poi nonno le aveva versato il vino su tutto il corpo e leccata e
     succhiata, soprattutto le tette grandi di burro, che erano la sua
     passione. Ma aveva voluto punirla, forse per come si era
     comportata alla gita, o forse, chissà - con nonno non si capiva
     mai e, sfilata la cintura dei pantaloni, l'aveva costretta a
    camminare per la cucina come una cagna colpendola,ma stando
    attento a non farle troppo male e a non lasciare segni sul suo
    bellissimo sedere.Sotto la tavola,nonna glielo aveva accarezzato
    e preso in bocca come ormai sapeva fare da esperta, ma ogni 
    tanto smetteva per chiedergli se era una brava puttana e quanto
    aveva già guadagnato e che non avrebbe mai voluto smettere di
   giocare alla Casa Chiusa.
    Avevano giocato a lungo, e poi nonno si era messo a fumare la
    sua pipa e lei allora si era rannicchiata nella sponda opposta
    del letto e - come sempre- si era addormentata.  (…)



                      Milena  Agus    da       Mal di pietre


  

MAL DI PIETRE 6



(…) Invece con il Reduce, la notte era così emozionata per aver
       scoperto - sicuramente - la famosa cosa principale, che stava
  sveglia a guardare come lui era bello,sfruttando qualche chiarore
    nell'oscurità, e quando sussultava spaventato, come se sentisse
    sparare, o che  cadevano le bombe sulla nave e la spezzavano in
    due, lo sfiorava leggermente con un dito e il Reduce - nel sonno -
    le rispondeva attraendola a sé e non era distante da lei neppure
    quando dormiva.Allora nonna prendeva coraggio e si faceva una
    nicchia nella curva del suo corpo e si metteva da sola il braccio
 del Reduce attorno alle spalle e la mano sulla testa e l'impressione
  che le faceva questa posizione mai provata, era tale che non
  riusciva a rassegnarsi a quella cosa- secondo lei senza senso- che
  è addormentarsi quando si è felici. Quindi c'era da chiedersi se
  gli innamorati vivessero così. E se fosse possibile. E se non
  decidessero anche loro, a un certo punto, di mangiare e di
  dormire . 
  Delle prestazioni di nonna, la preferita del Reduce era la geisha,
  la più difficile. Perché con nonno lei se la cavava raccontandogli
  cosa ci sarebbe stato per cena,invece il Reduce voleva prestazioni
  sofisticate, tipo la descrizione della spiaggia del Poetto e di
  Cagliari e del suo paese e i racconti della sua vita quotidiana e
  del suo passato e delle emozioni provate dentro il pozzo e faceva
 tante domande e voleva risposte particolareggiate.Così mia nonna
 uscì dal suo mutismo e ci prese gusto e non la finiva più
 di raccontare.
 Con lui non si vergognava di niente, eppure di fare la pipì insieme
 per buttare fuori le pietre, e siccome per tutta la vita le avevano
 detto che sembrava una di un paese della luna, le sembrò di aver
 incontrato - finalmente - uno di quel suo stesso paese ed era quella
 la cosa principale della vita, che le era sempre mancata.  (…)



            Milena  Agus   da    Mal di pietre

domenica 29 dicembre 2019

ELEVAZIONE ( Ascoltando Paganini )

 
 
                                
                                       Qualcuno, da un angolo, suonava Paganini…


ELEVAZIONE

(…) Quella sera, nella strada, le foglie degli alberi erano parole. I
       vetri delle finestre,i balconi, i marciapiedi erano parole. L'aria
       stessa era fatta di parole, e per questo era assordante. Il
      frastuono spegneva i pensieri. Mi trovavo nella folla , fermo,
      guardavo come gli altri verso un punto. In alto, sul fondo della
      strada, comparve il funambolo: sul filo teso fra due palazzi,
    aveva appena cominciato l'attraversamento.Venne - improvviso-
    il silenzio. La voce di un violino si levò nell'aria. Era lontana e
    prossima allo stesso tempo. Pianto, e racconto. Qualcuno, da
    un angolo, suonava Paganini, mi sembrava di ravvisare il
    Largo del Quartetto 14: un violino solo prendeva nel suo suono,
    il suono della viola, del violoncello, della chitarra.
    Le foglie tornarono ad essere foglie. Così i vetri delle finestre, i
    balconi, i marciapiedi.Un passaggio di luce rivelò per un istante,
    sopra il filo, il viso del funambolo, che stava per raggiungere la
    metà del cammino. Le foglie degli alberi, i vetri delle finestre, i
    balconi, i marciapiedi erano di silenzio. L'aria era di silenzio.
    Anche il violino ora taceva.
    In alto, il funambolo, continuava il suo cammino.  (…)


                                               ***

LA DISTANZA

(…) " Vedi", disse fissandomi negli occhi " sto usando la tua lingua
        perché tu possa intendermi, ma sento che gran parte di quello
        che vorrei dirti resta al di qua della lingua, non è preso nel
        senso e nel suono della lingua, e allora è come se ti mostrassi
        soltanto la veste di un pensiero,la sua apparenza che - subito,
        appena detta - si perde nell'insignificanza  ".
       " Così ", continuò " è anche quando tu mi parli: sento che quel
        che mi giunge è solo la superficie di una verità che resta
        nascosta dentro di te o - se vuoi - nell'enigma che tu sei per
        me. Per questo non possiamo mai davvero incontrarci".
    " Ma gli occhi " azzardai " e tutto il corpo non possono riparare
       a questa insufficienza della parola ? "
     " Anche gli occhi, anche il corpo sono nell'apparenza ", rispose
       muovendosi verso la porta . " Voi dite visibile ", aggiunse, "
       dite tangibile, ma anche questo è solo superficie ".
       Fuori il giorno declinava. Sapevo che per alcuni della loro
       specie l'assenza di luce è fonte di grande turbamento. Per
       questo s'era affrettato a lasciare la stanza per volarsene chissà
       dove, certamente in un lago di luce .  (…)


                                             ***

L'ORECCHIO INTERIORE

(…) Lungo gli anni, con molti esercizi, aveva affinato i modi dell'
     ascolto.Sapeva distinguere, in esso, quello che doveva trattenere
   nella mente,da quel che poteva lasciar cadere nella dimenticanza
   Questa abitudine lo faceva apparire distratto, ma non se ne
   rammaricava perché, più egli chiudeva all'esterno l'orecchio, e
   più dentro di sé prendevano timbro e tonalità le voci e i suoni che
   davvero contavano. Attenzione e memoria erano alleate in questa
   ricerca. Amante della musica classica, faceva le sue scelte anche
   nel corso dei concerti: poteva poi risentire nella scena interiore
  con nitida riproduzione non solo un'aria o una romanza,ma anche
  variazioni e gradazioni tonali di una toccata, la tessitura di un
  tappeto armonico, le risonanze orchestrali di un' esecuzione al
  pianoforte solo. L'ascolto interiore in lui era diventato finissimo, e
  fuori dal lavoro poteva starsene a lungo raccolto in quel silenzio
  ricco di suoni. Ma col tempo sopravvennero sere in cui i suoni
  preservati con tanta cura cominciarono ad essere disturbati dall'
  inattesa incursione di altri suoni, i quali si mescolavano ai primi
  rovinandone ritmo e timbro: all'improvviso prendevano il campo
  frasi musicali o voci di un tempo ritenute insignificanti e vuote.
  La rivolta del suono escluso fu rapida, implacabile. Nello stesso
  periodo egli s'accorse di andare incontro , nella vita quotidiana, a
  una sordità sempre più forte. Ma di questo non se ne dolse: non
  ricevendo più suon e voci dall'esterno, poteva nel suo silenzio
  combattere meglio la battaglia contro il ritorno interiore di quel
  che era cancellato e ripudiato. Sarebbe stato più agevole il 
  compito che s'era proposto:edificare- dentro di sé - l'uomo nuovo,
  l'uomo armonioso.  (…)




                        Antonio Prete   da        Tutto è sempre ora 


sabato 28 dicembre 2019

INCONTRI E MANCANZE

 
 
 


                                                  "  Se non ti incontrerò mai,
                            fa' che senta almeno la tua mancanza ".     



                                      Dal film    "  La sottile linea rossa "

TUTTO è SEMPRE ORA

 
 

                                      Nel tuo passaggio  - intatta - la fragranza dell'apparizione


DICEMBRE

Lungo il sentiero arbusti ingrommati di lichene,
con grappoli di bacche rosse.
Un chiarore di platino, a oriente,
che smuore nella sera.
Si schiude il sipario sullo sciame di mondi,
sul loro insonne scintillamento.

E' dicembre, un'ora che goccia da altre ore,
un istante che cade in altri istanti.
Il battito - qui - dei pensieri è prossimo
al respiro degli ulivi,
soffio di un inverno che corre a chiudersi
nell'arca gelata di altri inverni,
mentre la terra in sé raccolta
è iride che trema ruotando negli spazi
e s'inazzurra.


                                                 ***

FIGURE NELLA SERA

Gli occhi negli occhi. Nel freddo.
Lascia che ancora questo
tra noi accada :
nel respiro
insieme tessere il velo
ce l'uno all'altra nasconde,
quando la sera è già scesa,
e sta per misurare la sua lontananza
dalle figure che le appartengono,
dalle figure che sta per prestarci.


                                                     ***

LA GELIDA SEMENTE

Vedi, diceva, quel confine d'ombra
che degrada sul muro e fa lucente
il muschio. E' tempo, figura di tempo.

Come il passo dell'antilope in corsa
all'alba verso il fiume. Come il grano
di sabbia che nell'ostrica s'imperla.

Il frangersi dell'onda sugli scogli
è tempo, come il solco della luna
nel cielo e il volo nuziale dell'ape.

Nella quieta armonia dell'accadere
tremar di foglia e moto delle stelle
sono sillabe di una stessa lingua.

Il grido della pernice ferita
anch'esso è suono di quest'alfabeto.
Ma il dolore del vivente - diceva -

mostra al tempo la gelida semente.


                                                   ***

I NOMI DELLE STELLE

C'è tra questa pianura
di moltitudini in affanno e quella
inesplorata volta di cammini
astrali un arco o patto?
C'è tra questa sperduta nostra aiuola
e quello sconfinato arabesco
di ellissi e di bagliori
un battito, un accordo
di abissale, segreta comunanza ?

O sono solo i nomi delle stelle
i segni di un legame,
i segni ardenti di un'appartenenza
al vortice dell'essere e apparire,
al fuoco di consunzione e rinascita ?


                                                        ***


A UNA LUPA

Il tu che si posava sul tuo sguardo,
il tu che t'invitava al balzo
o ti esponeva alla carezza
non faceva trasparente la linea dell'enigma
che ci separava, era solo un arcobaleno
sul paese della nostra prossimità.

Trascorrevano nei tuoi pensieri
fremiti di foreste, profumati
richiami della macchia, della riva.
Erano ombre dei miei pensieri.

Ma una volta vidi con certezza
nella giada dei tuoi occhi
scaglie della sapienza dalla quale
ci allontanò l'elegia del fare,
l'ansia del distruggere.

Ora cammini nella tua privazione
come il vento sul dorso di una duna.
Stai nella tua quiete
come una stella nel cielo della sera.

Nel tuo passaggio - intatta - la fragranza
dell'apparizione.



                      Antonio  Prete    da    Tutto è sempre ora


venerdì 27 dicembre 2019

LE DISOBBEDIENTI ( Presentazione )



Che cosa unisce Artemisia Gentileschi, stuprata a diciotto anni da un amico del padre e in seguito protagonista della pittura del Seicento, a un'icona della bellezza e del fascino novecentesco come Frida Kahlo ? Qual è il nesso tra Elisabeth Vigée Le Brun, costretta all'esilio dalla Rivoluzione Francese, e Charlotte Salomon, perseguitata dai nazisti ? C'è qualcosa che lega l'elegante Berthe Morisot, cui Manet dedicò appassionati ritratti, alla trasgressiva Suzanne Valadon, l'amante di Toulouse - Lautrec e di tanti altri nella Parigi della Belle Epoque ? Malgrado la diversità di epoca storica, di ambiente e di carattere, un tratto essenziale accomuna queste sei pittrici : il talento prima di tutto, ma anche la forza del desiderio e il coraggio di ribellarsi alle regole del gioco imposte dalla società.
In questo libro l'autrice racconta, con instancabile attenzione ai dettagli dell'intimità che disegnano un destino, la vita di sei pittrici nella loro irriducibile singolarità. Incontriamo così la giovanissima Artemisia in fuga dalle calunnie romane dopo un processo infamante, che si fa strada nella Firenze dei Medici, ma non vuole rinunciare all'amore; Elisabeth Vigée Le Brun, acclamata ritrattista della regina Maria Antonietta, che attraversa l' Europa, contesa dalle corti più importanti senza mai staccarsi dalla sua bambina; Berthe Morisot, ostacolata dalla famiglia e dai critici accademici che diventa la première dame degli Impressionisti; la scandalosa Suzanne Valadon, amante e modella dei grandi artisti della Parigi di fine Ottocento, che sceglie di farsi lei stessa pittrice combattendo la povertà e i preconcetti; Frida Kahlo, straziata dalla malattia fin dalla più giovane età, che sfida la sofferenza fisica e i tormenti amorosi con le sue immagini provocatorie e il suo travolgente look.
Tutte loro, nei ritratti del libro, guardano negli occhi chi legge e invitano a scoprire l'audacia con cui hanno combattuto e vinto la dura battaglia per affermarsi, cambiando per sempre- con la loro opera - l'immagine e il posto della donna nella storia dell'arte.



                                                ( f. )


LE DISOBBEDIENTI 1

 
 

                                                             Berthe Morisot ( E. Manet )

                    
IL TALENTO E LA VITA

(…) Avrei voluto vivere a Parigi quando Berthe Morisot conosce
       Edouard Manet. E' un momento magico per la pittura : tutto
       cambia, e cambiano anche gli uomini  le donne e i loro cuori.
       Berthe è bella e riservata, Edouard affascinante e 
       intraprendente. Forse si amavano, certamente si attraggono.
       Ma, qualsiasi cosa sia avvenuta tra loro, quell'amore segreto
       si è riversato nella pittura di entrambi. Lui le dedica dei
       ritratti meravigliosi, ma lei non vuole essere soltanto una
       modella : vuole dipingere, stare dall'altra parte della tela
       proprio come lui. E ci riesce : sarà presente - unica donna -
       alla prima, celebre mostra degli Impressionisti.
       Berthe è la bellissima ragazza dipinta da Manet che guarda
       davanti a sé con occhi ardenti e in mano un mazzolino di
       violette su una parete del parigino museo d' Orsay.Ma è anche
       l'autrice di una celebre maternità laica La Culla  qualche
       sala più in là nella stessa galleria che racchiude tanti 
       capolavori. Tra i due quadri passa una corrente di desiderio 
       che mi ha colpita, non solo per la bellezza con cui accende le
       opere, ma per il misterioso intreccio di arte e vita nel quale le
       immagini catturano. E' dal fascino della storia di Berthe, la
       ragazza borghese che ha saputo dire di no agli obblighi e ai
       divieti della famiglia e della società per diventare una grande
       artista, che è cominciato il mio viaggio nella costellazione
       femminile raccontata in questo libro,andando avanti e indietro
       nel tempo. Le donne di cui scrivo sono diverse tra loro per
       epoca, situazione familiare, carattere, povere o benestanti,
       istruite o quasi analfabete. Ma c'è qualcosa di essenziale che 
       le accomuna: il talento e la voglia di non piegarsi alle regole 
       del gioco imposte dalla società del loro tempo. Fragili ma
       indomabili, hanno saputo difendersi con tenacia dalle 
       aggressioni della vita.Dalla violenza maschile,come Artemisia
       Gentileschi, stuprata da un amico del padre; dalle avversità
       dei tempi, come Elisabetta  Vigée Le Brun, esiliata dalla
       Rivoluzione Francese; dalla ferocia della Storia, come
       Charlotte Salomon in fuga dai nazisti; dai tormenti della 
       malattia, come Frida Kahlo; dalla gabbia dei pregiudizi,come
       Suzanne Valadon. Nelle loro vite tempestose e luminose,
       ognuna mi è sembrata caratterizzata da una speciale virtù, 
       un'arma dell'anima per reagire alla prepotenza del mondo
       circostante. Virtù faticose come : coraggio, tenacia, resistenza,
       ma anche altre considerate come vizi :irrequietezza, ribellione,
       passione.  (…)



Elisabetta  Rasy   da   Le disobbedienti ( Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte )


LE DISOBBEDIENTI 2


(…) Quando finalmente sono diventate le artiste che volevano
       essere, ognuna a modo suo ha rivolto alla realtà femminile uno
       sguardo diverso e partecipe,capace di raccontare gioie e ferite
       come la mano maschile non aveva mai fatto. E ognuna di loro,
       con la sua energia e indocilità, ha contribuito a cambiare la
       posizione femminile nella gerarchia artistica : da un'eterna
       periferia al centro della scena.
     Marcel Proust rimproverava al critico Charles de Sainte -Beuve
     di dare troppo risalto alla biografia quando parlava di uno
     scrittore. La scrittura nasce altrove, sosteneva l'autore della
     " Recherche ". E come si può negare che la scrittura o la pittura
    e l'arte tutta nascano in quell'altra vita fatta di tutto ciò che nella
     quotidianità non trova spazio : amori impossibili, sogni
     irrealizzati o irrealizzabili, atti mancati, fantasie, visioni ?
     Ma è anche vero che tutti questi meravigliosi scarti è la vita a
     produrli. L'arte è un'altra cosa, ma la vita è la fonte. La vita
     delle donne - poi - lo è moltissimo, piena di divieti, di obblighi
     e desideri difficili, come è ancora, ma soprattutto è stata.
     Le donne che nei tempi passati sono riuscite a diventare delle
     artiste importanti, hanno dovuto combattere una lotta corpo a
     corpo con il proprio tempo, hanno dovuto superare ostacoli,
     impossibilità, incomprensioni, condanne.
     Per questo sono state maestre di disobbedienza.  (…)



  Elisabetta  Rasy  da    Le disobbedienti ( Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte )

   
 
    La culla   ( Berthe Morisot )
 
 
 

LA VECCHIA E LA VANITAS 1

 
 


(…) La Vanitas , che si diffonde nell' Europa della Riforma, delle
       sette religiose e della Controriforma, non è affatto un parente
       povero della natura morta, ma un parente molto più ricco. Ciò
       che nelle meravigliose tavole imbandite fiamminghe o nei
     succosi crostacei napoletani,o nella grassa selvaggina francese,
     in mezzo a vasi e piatti e cristalli preziosi e tovaglie e sopra -
     tovaglie di tela finissima perfettamente stirate, è solo ricchezza,
     orgoglio e vanità, nella " vanitas " è molto di più : è caducità e
     morte, vale a dire qualcosa che, dall'ordine della materia, passa
     all'ordine dello spirito. L'opera non è soltanto un oggetto di
     ammirazione : è anche un oggetto di meditazione. Con un solo
     quadro - insomma - due acquisti : l'immagine ci racconta una
     cosa : il godimento, e insieme il suo contrario : l'annientamento.
     Naturalmente se si aspira al supremo talento dell'ambiguità,
     bisogna saperci fare - come Baugin - che, al massimo, concede
     al formulario del genere una candela che non è neanche troppo
     consumata dalla fiamma, ma sempre imprime ai suoi oggetti
     fermi il sigillo di una desolazione, nel senso etimologico del
     termine, cioè " lasciar solo ". In genere però i pittori della
     vanitas vanitatum ci andavano pesanti:il  teschio faceva bella
     mostra di sé più o meno al centro della tela in mezzo ad oggetti
     più che allusivi, come gusci di conchiglie, ramoscelli secchi e
     attorcigliati, petali malandati, pipe spente e derelitte, e ceri che
     hanno perso l'ultima fiamma. Ma la terribile e mostrificante
     fuga del tempo aveva altri modi per dirsi.  (…)


                Elasabetta  Rasy   da    Figure della malinconia


 
Natura morta con libri ( Baugin )
 
 

LA VECCHIA E LA VANITAS 2


(…) Nelle avventurose vicissitudini nelle quali sono state coinvolte
       alcune delle non molte opere di Giorgione, una delle più
      singolari riguarda Panofsky,il quale era convinto che il ritratto
      di donna anziana, detto La vecchia , fosse opera di Tiziano e
      non del pittore di Castelfranco. Non solo perché - a suo dire -
   " la preoccupazione di Tiziano nei confronti del potere distruttivo
      del tempo si manifesta fin dai primi passi della sua carriera,ma
      anche perché " questo quadro è impressionante e quasi
      spaventoso".La vecchia si apparenta a Tiziano perché il mondo
      di tale artista " si estendeva dall'idillio alla tragedia, dalla
      tenerezza alla brutalità, dalla seduzione alla repulsione, dal
      sublime al volgare." Al contrario,Giorgione possedeva non solo
      tutte le qualità immaginarie necessarie a un grande pittore,
      accompagnate da un gusto squisito che rifuggiva dal male e 
      dalla bruttezza, ma gli mancava la capacità di atterrire. Non vi
      è nulla di meno terrificante della sua "Tempesta ". Invece,
      osservandole isolate e affiancate,  mi è capitato di essere
      atterrita di fronte al primo ( La vecchia ) e di essere invasa da
      una strana e seducente malinconia di fronte al secondo ( La
      tempesta ). In mostra presso l'antico palazzo veneziano a
      Santa Maria Formosa è soprattutto " La vecchia", quel volto
      che ci tiene a mostrarsi rovinosamente segnato dal tempo, a
      far contrasto con la magnificenza degli antichi spazi, e
      soprattutto, a minacciarla .(…)


                    Elisabetta  Rasy   da    Le forme della malinconia



 
La vecchia  ( Giorgione )
 
 
 

LA VECCHIA E LA VANITAS 3



(…) Qualcuno ha sostenuto che la donna aggredita dalla corsa
       irrispettosa del tempo fosse la madre del pittore; qualcun altro
       ha voluto ravvisare una somiglianza tra il volto della donna,
       che è appunto una madre, della Tempesta e il viso della
       misteriosa anziana dello spietato primo piano. Certo è che
       questa tela, precariamente e miracolosamente salvata dalla
     vecchiaia che tormenta le opere come gli umani,non ha soltanto
    o soprattutto le caratteristiche di un ritratto.I lineamenti - è vero
   - sono minutamente realistici: la bocca semisdentata, la piega
    nasolabiale come una ferita non rimarginata, le rughe come
  cicatrici e gli occhi non solo rimpiccioliti dalla fatica delle troppe
  cose viste - l'infinita fatica del guardare - ma come stabilmente
  prigionieri di quella particolare e disperata vivacità che solo le
  lacrime danno allo sguardo. E d'altra parte, malgrado il cartiglio,
  qui non è rappresentata una semplice figura allegorica: anche se
  dalla mano ripiegata spunta la scritta Col tempo, che è una
  sorta di beffarda didascalia dell'immagine, quella figura è reale.
  Anche perché la donna sulla tela sta parlando:il pittore l'ha colta,
  come in una polaroid, con la bocca semiaperta di chi sta dicendo
  qualcosa, qualcosa che dice anche con il gesto della mano, rivolto
  verso il petto coperto da una povera veste, mentre si affaccia da
  uno sfondo senza definizione,tenebroso come è l'abisso del tempo,
  ma anche il paesaggio della psiche.
  Guardami, dice inequivocabilmente quella donna : guardami. (…)


             Elisabetta  Rasy  da     Figure della malinconia


 
 
   La Tempesta  ( Giorgione )