(...) Verso mattina, uscimmo a fare una passeggiata. Ai lati della strada si vedevano campi e monti. Qua e là sulle cime delle montagne, c'era ancora molta neve. In lontananza il lago. Si poteva fare il bagno.Sui giornali scrivevano che Parigi era stata liberata. Bella esclamò: " Torniamo a Parigi, non voglio comprare qui la biancheria ". Inciampò, cadde in ginocchio. Ritornammo a fatica in albergo. Lei si mise a letto. Si ammalò. Era irriconoscibile. Eravamo in terra straniera. Dove trovare un medico? Il mattino dopo riusciva a malapena a parlare. Mentre andavamo all'ospedale, in macchina mi sussurrò : " Non dimenticare i miei quaderni, i miei manoscritti ". Io la trasportai in un ospedale, ahimé, non troppo accogliente. Forse perché accettavano soltanto la clientela rigorosamente selezionata. Lei parlava a fatica. Telefonai a mia figlia Ida, per chiamarla. Ida arrivò e si prese cura con devozione della propria madre. Entro poche ore la mia Bella era perduta per sempre. Per me tutto si ricoprì di tenebre. Né la morte di mia madre né la morte di mio padre mi avevano scosso allo stesso modo. Non avevo la forza di darmi la morte. Lei non era più con me. Mi sembrava che una sorta di angelo, rosso oppure pallido come la morte, la portasse via con sé, insieme ai quadri della mia gioventù, dove lei era raffigurata. I quadri che era come se lei stessa avesse generato e che insieme con me avevano cambiato la sua breve vita.Come potevo vivere ancora? Mi erano tutti estranei, nessuno che potesse consolarmi. Chi avrebbe pensato a lei? Chi si sarebbe occupato dei suoi libri? Chi avrebbe dipinto la sua immagine sui quadri, chi avrebbe ricordato questa fidanzata di Vitebsk? Tutta New York mi pareva una nube di afflizione, che mi occultava il mondo intero, la gente, gli amici, il senso stesso della vita. Mi sembrava che nei loro discorsi, nella cappella- al funerale - Maritain e il rabbino Stefan Ves mi compiangessero. (...)
Marc Chagall da Memorie
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