mercoledì 26 gennaio 2022

GLI EPIGRAMMI DI LEONIDA

 


                                                                  Leonida di Taranto





Leonida, nato a Taranto nel IV sec. a. C. e morto intorno al 270- 260. Fu scrittore di epigrammi.

Molti studiosi dell'opera del poeta affermano che Leonida non avesse fede in una vita oltre la morte. Noi sappiamo però che l'immortalità conquistata con la poesia è un sentimento comune a molti poeti, che rivelano così l'ottimismo della loro natura lirica. Il controsenso risulterebbe dalla biografia creativa di Leonida rivolta alla tematica funebre tesa sula frana del tempo concesso all'uomo. Tuttavia, dalla convivenza con la morte, il poeta risale a una scelta serena della vita, che è ancora nell'esperienza del classici.






Infinito fu il tempo, uomo, prima
che tu venissi alla luce, e infinito
sarà quello dell' Ade. E quale parte
di vita qui ti spetta, se non quanto
un punto, o, se c'è, qualcosa più piccola
d'un punto? Così breve la tua vita
e chiusa, e poi non solo non è lieta,
ma assai più triste della morte odiosa.
Con una simile struttura d'ossa,
tenti di sollevarti fra le nubi
nell'aria! Tu vedi, uomo, come tutto
è vano: all'estremo del filo, già
c'è un verme sulla trama non tessuta
dalla spola. Il tuo scheletro è più tetro
di quello d'un ragno. Ma tu, che giorno
dopo giorno cerchi in te stesso, vivi
con lievi pensieri, e ricorda solo
che di paglia sei fatto.


                                                  ***

Chi sei? Di chi sono le ossa
che affiorano dalla cassa socchiusa,
scoperte, sulla via? Contro la lapide,
sulla fossa strisciano di continuo
e pietosamente l'asse e la ruota
del carro dei viandanti.
O infelice, i carri hanno stritolato
ormai pure i tuoi fianchi.
Nessuno verserà per te una lacrima.


                                                 ***

Le mie ossa sono state messe a nudo,
calpestate, o viandante.
La pietra mi è caduta
sulle giunture e già i vermi spiano
da sotto la mia tomba.
 A  che serve ora essere sotterrato?
Eppure per camminare sul mio
cranio avete segnato qui un passaggio
che non c'era. Per gli dei dell'inferno,
per Ade, Ermes, la Notte,
 allontanatevi da questa strada!


                                                         ***


Come la vite al palo,
m'appoggio al mio bastone. Ecco, mi chiama
nell' Ade la morte. Non fare il sordo,
Gorgo! Perché tu avresti caro ancora
di stare al sole per tre o quattro estati?
E detto ciò, semplicemente, il vecchio
gettò via la vita e se ne andò verso
la dimora dei più.


                                                      ***


Qui sta la vecchia ubriacona Maronide,
rovina delle bottiglie di vino.
Sulla sua tomba c'è un calice attico,
simbolo noto a tutti. Si lamenta
anche sottoterra : non per i figli
o il marito lasciato senza nulla.
Piange solo il calice vuoto.


                                              ***

Guarda come barcolla per il vino
il vecchio Anacreonte, piegato sopra
una pietra liscia. Guarda gli occhi avidi,
languidi, mentre tira il mantello
sulle ginocchia. Ubriaco
ha perso un sandalo e nell'altro infila
il piede destro
pieno di rughe. E canta per l'amato
Batillo o per Megisteo
suonando mollemente la sua cetra.
Padre Dionisio, attento
a lui: non mi sembra giusto che un servo
di Bacco cada per colpa di Bacco.




         Leonida di Taranto (   Trad. di S. Quasimodo )



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