sabato 7 marzo 2020

LE RAGIONI DELLA COLLERA DI JULIO 2




SE DEVO VIVERE

Se devo vivere senza di te, che sia duro e cruento,
la minestra fredda, le scarpe rotte, o che a metà dell'opulenza
si alzi il ramo secco della tosse, che latra
il tuo nome deformato, le vocali di spuma, e nelle dita
mi si incollino le lenzuola, e niente mi dia pace.
Non imparerò per questo a meglio amarti,
però sloggiato dalla felicità
saprò quanta me ne davi a volte soltanto standomi nei pressi.

Questo voglio capirlo, ma mi inganno:
sarà necessaria la brina dell'architrave
perchè colui che si ripara sotto il portale comprenda
la luce della sala da pranzo, le tovaglie di latte, e l'aroma
del pane che passa la sua mano bruna per la fessura.

Tanto lontano ormai da te
come un occhio dall'altro,
da questa avversità che assumo, nascerà adesso
lo sguardo che alla fine ti meriti.


                                       ***

GLI AMANTI

E chi li vede che se ne vanno per la città
se tutti sono ciechi?
Loro, si prendono per mano: qualcosa parla
fra le dita, dolci lingue lamiscono
l'umido palmo, corrono per le falangi,
e sopra sta la notte piena d'occhi.

Sono gli amanti, la loro isola fluttua alla deriva
verso morti di cespuglio, verso porti
che fra lenzuola si aprono.
Si disordina tutto attraverso gli amanti,
tutto trova la sua cifra giocata;
loro, però, neppure sanno che
mentre rotolano nell'amara arena
che è loro, c'è una pausa nell'opera del nulla,
e che il tigre è un giardiniere che gioca.

Albeggia nei carri dell'immondizia,
cominciano a uscire i ciechi,
il mistero apre i suoi portoni.
Gli amanti arresi si guardano e si toccano
una volta di più prima di fiutare il giorno.
E già sono vestiti, già se ne vanno per la strada.
Ed è solo allora
quando sono morti, quando sono vestiti,
che la città li recupera ipocrita
e gli impone i doveri quotidiani.


                                         *** 


L'AMANTE

Sei la benvenuta,
la pietra originale dell'allegria,
la danza assorta della statua
che gli uccelli sentono e disperdono.

Quando nella sua coscia rossa i denti si slacciano
al primo mezzogiorno della terra,
fare il tuo nome è il sapore della malagranata.

Il tuo cuore inventa le mappe colorate,
nei tuoi occhi si hamacano i globi della domenica,
e quando sei in me
la notte si apre il petto,
astrosangue cala fino ai tuoi capelli,
al tuo nome, alla tua violenza.

Questa infinita sete, berti, disseccarti,
cisterna di allegria, sperpero del grido
che le labbra annegano in delirio.

Chi inventò il futuro,
la sua macchina di sale, la sua rosa vuota.
Questa pelle delle palpebre mi separa dal mondo
però tu stai in lui, e più dentro vivi.


                                             ***


DON JUAN

Le dolci ricompense notturne,
il cieco incontro che dissangua le braccia, i gemiti
e il verde albeggiare della gioia, la caduta
nel clamore della corsa senza arrivo,
e l'estricarsi tiepido, il gesto
della carezza che prolunga nell'omero il suo piccolo leopardo.

Dò tutto questo in cambio del desiderio.


                                            ***

AFTERMATH

Dimmi perchè ancora ti desidero, perchè il tuo nome io ritorno
come l'ascia alla piaga in un'amara visione di mezzanotte,
accanto a un campo funerario dove le larve moltiplicano
umide bave, inventario interminabile di inettitudini;
dimmi da questo nulla dove adesso ti trinceri, dimmi
perchè mi basta comporre un meccanismo elementare di sillabe;
nel germoglio della nebbia fare il numero del tuo nome
perchè solitariamente
mi pieghi la speranza di una piccola migrazione di dita nei miei capelli,
di una fragranza dove abita il muschio.



                      Julio  Cortàzar   da    Le ragioni della collera

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