Siamo pochi però ci chiamano Armeni…
(…)" Via dalla montagna sacra: l' Ararat ora sarà per noi un paese
straniero": così piansero gli armeni, in tutti i luoghi del vasto
mondo dove la diaspora successiva al genocidio del 1915 li
aveva portati, quando dall'ottobre 1921 - col trattato di Kars -
la grande montagna, simbolo fortissimo della loro unità di
popolo, venne ceduta da Stalin a quella Assemblea Nazionale
che ben presto sarebbe diventata la Repubblica di Turchia.
Ma l' Ararat ( che gli armeni chiamano " Massis" ), è oggi più
che mai presente nell'immaginario del popolo armeno.
La sua vista incombe sulla capitale Yerevan,ma le sue due cime
perennemente innevate sono drammaticamente lontane, al di là
della chiusa frontiera con la Turchia, oltre il famoso ponte
spezzato sul fiume Akhurian che univa le due parti del regno
d' Armenia. Oggi, dal monastero di Khor Virab, vedi solo
qualche sparso gregge che si aggira nella terra di nessuno che
divide i due paesi; e, lontana, una baracca di soldati.
Nessuno che porti un nome armeno ha il permesso di salire
lassù. Eppure non è sempre stato così. Ben diversi sono i fatti
che la Storia ci racconta. Come un celebre quadro di
Ayvazovsky ci racconta ( La discesa di Noè dal monte Ararat )
dispiega ai nostri occhi con suadente fascino ottocentesco, gli
armeni si sentono legati al monte dove si arenò l' Arca di Noè
da un fortissimo legame spirituale - ma anche carnale. Il vino
fu inventato nella pianura che si stende ai piedi del monte; i
figli di Noè là coprirono i padre ubriaco, là nacque il
cristianesimo armeno con le sue " chiese di cristallo ", le croci
di pietra, i monasteri splendidi annidati in valli romite, dove
schiere di monaci diedero vita a un fiorire di codici miniati di
straordinaria bellezza. (…)
Antonia Arslan da La bellezza sia con te
Monte Ararat visto da un monastero ( frida )
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