"Come non amarti - Francesca -" Per non morire - Francesca - avresti potuto concederti l'attenuante generica del livore di un dio perverso che godeva nell'infliggerti il suo stesso martirio o scagliarti contro tua madre che ti aveva partorito bestemmiandone il sorriso.
E invece no. Francesca non chiedeva sconti di pena al venditore di lucciole. Lei scagionava tutti, stringendo fra le sue braccia - come figlie malate - le loro colpe, cullandole mentre come demoni le divoravano il seno e il senno. Francesca si accartocciava nelle viscere sgranano rosari infiniti di meaculpa e andava alla guerra a piedi scalzi senza uccidere nessuno se non se stessa. Quando di lei restava solo il sangue tumefatto, la polvere d'ossa e la follìa liquida negli occhi, allora Francesca si chiamava fuori offrendo al cielo un seno imbottito di nuvole sfinite. A volte si nascondeva come un ragno nel cuore della terra e nel buio tesseva sulla pelle una rete oscura che le imprigionava le membra. Per non morire - Francesca - avresti potuto pareggiare il conto e barare anche tu alle carte, consumando sotto una pioggia di fiori finti una vendetta dal sapore dolceamaro come un farmaco salvavita. E invece no. Francesca si rifugiava tra le fronde di un acero e con le dita piagate intrecciava fango e miele di parole, sputi e saliva di baci per farne di nuovo una coppa aperta alle intemperie e ai sogni spezzati dagli assassini. E in quel nido di agonia si faceva rondine nuda, si colmava la gola delle sue stesse piume e serrava le labbra con l'avorio dei denti, soffocando e zittendo le voci di dentro come lupi affamati d'anima. E quando il suo dolore - ormai arreso - s'accucciava ai piedi di un gelsomino umido, allora Francesca tornava a respirare ancora amore nell'aria. Per non morire - Francesca - avresti potuto stringere tra le mani un'affilata scure o mostrare la ferita aperta come una rosa tatuata sulla schiena per poi liberare l'orgoglio dei fianchi. Per salvarti , lui avrebbe potuto dirti " Come non amarti Francesca ". E invece no. frida
Più dolce del vino e più vigoroso della morte… PIU' POTENTE DELLA MORTE Come albero di nuvole e manto di uccelli nell'aria arriva l'amore che tutto scombina con la sua musica breve. Più dolce del vino e più vigoroso della morte chiama con voce di seta tessuta da una freccia velenosa. E' volo di colibrì sospeso nell'aria e arriva così come se ne va: sfidando il silenzio. *** QUATTRO STAGIONI Quando arriva l'amore con le sue quattro stagioni gli uccelli cantano come un albero carico di mele. Il cielo si colora di parole rosse e il silenzio disegna bianche farfalle. In un istante Amore tutto confonde: le note nel pentagramma il volo degli angeli il petto aperto nei suoi punti vulnerabili il silenzio dei tuoi occhi. Chiama alla mia porta e come Venere in cerca di Adone mi avvicino al tuo corpo come all'orizzonte entro nel paradiso e svanisco in un assolo di musica. *** UCCELLO DELLA PIOGGIA T'inseguo e mi insegui come uccelli che volano per il mondo disegnando con pazienza la linea sottile tra il tuo corpo e la mia anima. Accendiamo la luce - lampo in mezzo alla notte - e gli dei sorridono come se vedessero l'alba. Cadiamo nella rete inventando parole e ascoltiamo cantare l'uccello della pioggia sulla neve mansueta. Sopra noi due canta l'acqua gocciolando cadenzata tra il tuo corpo e la mia anima. Luz Mary Giraldo da De artes y oficios
Il dolore entra nel mondo entra all'improvviso s'installa nel muscolo e tutta la vita gira intorno a quel punto minuscolo. Non appena si ammalò sono venuti a pulirle la casa aprire gli armadi cercare quel fagotto mezzo nascosto in un libro senza copertina dove possedeva la fatica di tutta la vita. Mai tornare mai mostrare che sono una fallita mai dare a vedere che il poco raccattato fu il tanto di una vita che il poco accumulato fu il tutto di una vita. La strada è un universo riduce il mondo a nostra misura riduce le miserie a ciascuno il suo vicolo a ogni ubriaco il suo fiasco a ogni cane il suo calcio a ogni angolo un padrone. Lavava i vestiti e i vestiti portavano via i filamenti del suo corpo un giorno diventerà così logora da scomparire attraverso il buco dello scarico. I frutti maturano e si sfanno nel caldo sono come noi, quando qualcuno viene e ci mangia e quando non lo fanno si mettono in testa che rovineremo tutta la fruttiera. Vera Lucia de Oliveira da Il muscolo amaro del mondo
Nel comune sentire, amore e violenza tendono idealmente a polarizzarsi: ma che cosa avrebbero da spartire lo slancio ardente verso l'oggetto del proprio desiderio e la brutale lacerazione dell'altro; la tenerezza e l'odio rabbioso; la passione vivificante e il gesto mortifero? In realtà il sentimento amoroso e l'atto violento si compenetrano da sempre, a partire dallo strappo che separa il maschio dal corpo di donna che lo ha generato. E sono intrecciati al punto da serrarsi in un nodo inestricabile che costituisce - sia per gli individui che per i gruppi umani - " Il fattore molesto della civiltà ".- Con l'acutezza di sguardo di chi sa mettere a nudo le ambivalenze e le contraddizioni del rapporto di potere tra i sessi, l'autrice esplora la violenza reale e simbolica annidata all'interno delle relazioni più intime, come la sessualità e la maternità: è su quel corpo con cui è stato tutt'uno e con cui torna a fondersi nell'amplesso, che l'uomo si accanisce. E questa fuga estrema dal femminile si perpetua - atavica - in ogni mano maschile levata - ancora oggi - sulle donne. Di ogni età, razza e cultura.
" Chi è nell'errore, compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza " ( W. Goethe )
(…) Il dominio dell'uomo sulla donna si distingue da tutti gli altri rapporti storici di potere per le sue implicazioni profonde e contraddittorie. Innanzitutto, la confusione fra amore e violenza: siamo di fronte a un dominio che nasce e si impone all'interno di relazioni intime, come la sessualità e la maternità. Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l'amore all'odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte.Si distrugge per conservare,si uccide per troppo amore, si idealizza per l'appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto come nemico. In uno dei suoi saggi più famosi - Il disagio della civiltà - Freud, dopo aver descritto Eros e Thanatos, amore e morte, come due pulsioni originarie, è costretto a riconoscere che sono meno polarizzate di quanto sembri.E dove l'intreccio diventa più sorprendente, è proprio nel rapporto con l'oggetto d'amore: " L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace - al massimo - di difendersi se viene attaccata, ma occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne consegue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo,ad abusarne sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, a umiliarlo,a farlo soffrire, a torturarlo e ad ucciderlo ". Lea Melandri da Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )
(…) Anziché limitarsi a deprecare la violenza, invocando pene più severe per gli aggressori e più tutela per le vittime, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo là dove non vorremmo vederla comparire,in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più familiare, ma non per questo più conosciuto.Gli omicidi, gli stupri,i maltrattamenti fisici e psicologici che hanno come oggetto le donne, sono oggi ampiamente documentati da allarmanti rapporti internazionali, riferiti dalle cronache dei quotidiani,gridati in prima pagina quando sono particolarment crudeli o spettacolari.A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli,padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili insospettate. Nessuno sembra trovare inquietante che il corpo su cui l'uomo si accanisce sia quello che gli ha dato la vita, le prime cure, le prime sollecitazioni sessuali,un corpo che l'uomo ritrova nella vita amorosa adulta e con cui sogna di rivivere l'originaria appartenenza intima ad un altro essere.Ma è anche il corpo che lo ha tenuto in sua balia nel momento della sua maggiore dipendenza e inermità, che poteva dargli la vita o la morte, accudimento o abbandono. Confinando la donna nel ruolo di madre,facendola custode della casa,dell'infanzia, della sessualità, l'uomo ha costretto anche se stesso a restare eterno bambino,a portare una maschera di virilità sempre minacciata. La fuga dal femminile, da cui si può pensare abbia tratto la sua spinta più profonda la comunità storica degli uomini, è anche la fuga dai bisogni infantili,che restano così fermi in una immobilità senza tempo. (…) Lea Melandri da Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )
(…) La famiglia prolunga l'infanzia ben oltre il bisogno del singolo individuo, costruisce legami di indispensabilità reciproca e arma silenziosamente la mano che tenterà di strapparli. Il luogo che tutti vorremmo al riparo da una società sempre più conflittuale, conserva il più lungo e il più enigmatico dei domini che la storia ha conosciuto: la guerra mai dichiarata che porta l'uomo - mosso da desideri e paure antiche - a celebrare i suoi trionfi sul corpo femminile con cui è stato tutt'uno e con cui torna a confondersi nell'abbraccio amoroso. Se l'uomo fosse solo il dominatore, il vincitore sicuro di sé, non avrebbe bisogno di umiliare e uccidere. Confinando la donna nel ruolo di madre, è come se le avesse permesso di protrarre ben oltre l'infanzia quel potere materiale e psicologico che ha esercitato su di lui bambino. Il potere che viene dal rendersi indispensabile all'altro è tuttora - per la donna - il più forte contrappeso alla sua mancata realizzazione come individuo, cittadina a tutti gli effetti. L'altra contraddizione, strettamente legata alla prima, è il fatto che a prendere il sopravvento, a porsi come padrone, è il sesso che si trova all'origine - e per certi aspetti essenziali alla sua sopravvivenza anche nella vita adulta - nella posizione di maggior debolezza. Prima che marito, padre possessivo, autoritario e violento, l'uomo è nato di donna, tenero figlio. La tentazione di attribuire alla società il passaggio del maschio dall'amore alla violenza - e cioè l'addestramento all'esercizio del potere da parte di una comunità di simili - è sicuramente più rassicurante che pensare ad una ambivalenza di sentimenti già presente nelle relazioni più intime. Nel saggio Le tre ghinee di Virginia Woolf, si legge: "Non possiamo non pensare che le società sono congiure che soffocano il fratello privato che molte di noi hanno motivo di rispettare,e generano al suo posto un maschio mostruoso,dalla voce prepotente, dal pugno duro, puerilmente intento a tracciare cerchi di gesso sulla superficie della terra entro i quali vengono ammassati gli esseri umani, separatamente, artificialmente; dove dipinto di rosso e di oro, adorno come un selvaggio di piume, nostro fratello consuma mistici riti e assapora il dubbio piacere del potere e del dominio, mentre noi, le " sue" donne, siamo chiuse a chiave tra le pareti domestiche, senza spazio alcuno nelle molte società di cui la società si compone ". Ma anche la Woolf poi conclude che il mondo pubblico e il mondo privato sono inseparabilmente collegati e che le tirannie e i servilismi dell'uno sono le tirannie e i servilismi dell'altro . (…) Lea Melandri da Amore e violenza ( Il fattore molesto della civiltà )
Il letto è disfatto dalla parte sinistra dei miei sogni…
LA TRACCIA Qualcuno cancella le impronte dei tuoi passi leggeri nella notte, ma al mio risveglio mi accorgo che sei tornata nel vuoto che hai lasciato - come un cane torna alla sua tana, come l'assassino sul luogo del delitto - perché il letto è disfatto dalla parte sinistra dei miei sogni. CRIMINE IMPERFETTO Di tutti i crimini che ho commesso, solo di uno mi pento: non aver sopraffatto del tutto il desiderio, questo avvoltoio abbietto e insaziabile che mi fa credere di essere ancora vivo. NON HAI LETTO LE FIABE E così te ne vai. Ormai è tardi per i lamenti: s'è fatto tardi e presto sarà buio. Vedi questa bocca, amore? E' fatta a misura dei tuoi sogni. Non c'è più tempo ormai: chiudi gli occhi. Non hai letto le fiabe e ora io - così racconta la storia - dovrò mangiarti. TRE DESIDERI Che tu non ascolti altra voce che la mia - dicesti soffiando sul primo fiammifero -. Che tu non dica nulla che mi ferisca, fu il tuo secondo desiderio - e l'oscurità ci avvolgeva un po' alla volta-. Che mai finisca questo sogno, - sussurrasti per l'ultima volta -. E tutto scomparve. E noi ci incontrammo all'improvviso in mezzo alla notte. Sordi, muti e ciechi. Alfonso Brezmes da Don de lenguas
Cerco allo specchio un riflesso le tracce sul viso di un passato percorso. Indago la mente cercando le stanze, le porte socchiuse in cui entrare ancora una volta per un ultimo saluto. Le porte chiuse - al contrario - restano tali, per scelta. Scelgo di andare oltre. *** Prendere o lasciare, tutto o niente. Solcare la traccia di quella che ero, della mia vita, degli altri, delle cose passate, di ieri e di oggi. Tutto dentro mille e una vita. Faccio fagotto di chi mi sta a fianco - o ci si ferma - anche solo per un po'. *** Ogni tanto mi giro a guardare le tracce, le orme passate, le cose lasciate cadere che all'anima sembrano leggere. Il vento della sera trascina la sabbia e le regala nuove forme che non sembrano più solchi trascinati a fatica. Ho comprato una borsa nuova, bianca e blu, senza fronzoli. Bella. La porto elegantemente a spalla e non pesa, per ora. Vi ho riposto quello che ho scelto tra indizi, tracce, prove raccolte di ciò che ero, che lascio ancora in me, per me. Ogni tanto mi fermo e ne tiro fuori quello che del mio mare porto dietro, per rimirarlo ancora, ma solo per un po'. Miriam Romano da Indizi del mare che mi porto dietro ( Inediti )
" Gli uomini sono benevoli verso coloro che si umiliano di fronte a loro e che non li contraddicono, perché sembrano ammettere la propria inferiorità. Il fatto che l'ira si calmi nei confronti di chi si umilia, lo dimostrano anche i cani, che non mordono chi si mette a sedere." Aristotele da Retorica
" Sposarsi o non sposarsi, non è importante. In ogni caso ti pentirai ". ( Socrate )
(…) Shlomo sostiene che innamorarci sia stata una disgrazia. La prima volta che l'ha detto mi ha ferita, poi ho capito che aveva ragione: insieme siamo infelici. Credo di soffrire più di lui per quest'amore disgraziato, ma chi lo sa cosa provano veramente gli altri, cosa prova persino tuo marito. Shlomo non parla delle sue sofferenze: pensa che farlo sia indecente, o ha imparato a fingere che non esistano. E' il suo modo di difendersi da loro e da me. Forse Shlomo non soffre, tranne che per me, anche se lo ammette solo quando gli dico che mi fa soffrire. Allora mi guarda stizzito, un lampo scurisce i suoi occhi gialli e sibila: " E io credi che non stia male? " Non spiega perché. Shlomo non si lamenta. Shlomo non chiede. Insieme stiamo male, ma non possiamo lasciarci. Dice che non mi lascerà mai, non so se per senso di responsabilità, pigrizia, o perché mi ama più di quanto sia disposto a riconoscere. Io non lo lascerò perché sono innamorata di lui, della sua grazia nascosta come un minerale, del suo odore,del suo modo di parlare coi bambini. Non lo sopporto ma lo amo. Shlomo è la mia croce. Deve essermi toccata per punirmi di qualcosa che ho fatto in una vita precedente, da ragazza, quando spezzavo cuori senza neanche accorgermene. Sono stata una figlia amata, anche se amata male, mentre non ho mai visto la madre di Sholom abbracciarlo: le rare volte che si incontravano, porgeva la guancia per farsela sfiorare con un bacio. Shlom sostiene che aver avuto una madre anaffettiva sia stato un vantaggio. Disprezza i sentimentalismi, i sentimenti lo annoiano. A volte penso che sia stato vaccinato dalla sua infanzia - della quale non mi ha mai parlato - di bambino grasso. A tredici anni ha scoperto la palestrae si è trasformato nell'uomo massiccio di oggi, ma è stato un bambino grasso, con una madre rigida e un padre assente, ed è cresciuto in una comunità ristretta e contadina: chissà se ha patito, se lo hanno preso in giro, se ha dovuto combattere e imparare a difendersi. Quello che impari da bambino non lo perdi più. Nelle poche foto d'infanzia che mi ha mostrato, era sempre accigliato. O forse - più che accigliato - il suo sguardo era concentrato, pronto, serio, come quello di oggi. Lo sguardo vigile di chi sta attento a non lasciarsi sottomettere. Shlomo non parla dei problemi di Israele, delle guerre, degli attentati, del genocidio che ha coinvolto i suoi nonni. A volte penso che si senta in colpa per essere andato via. Altre che mi abbia sposato per lasciarsi tutto alle spalle. (…) Daria Bignardi da Storia della mia ansia
(…) Shlomo non sopporta la mia ansia. La scambia per mancanza di fiducia in me stessa e per lui. Pensa che sia una debolezza. Lo so come funziona: anch'io odiavo l'ansia di mia madre, ma capivo che era una malattia. Odiavo la sua ansia, non lei. Shlomo non capisce le malattie perché non si è mai ammalato. A sentir lui, gli è capitata solo la disgrazia di innamorarsi di me, nella vita. Per questo a volte temo che al primo accidente rischi di spezzarsi in due, come un albero colpito dal fulmine. Ma Shlomo sa proteggersi. Io non ne avevo mai sentito il bisogno, prima. Ho vissuto godendo di tutte le emozioni fino in fondo: mi piace sentirmi esaltata e persino sconvolta, dalla vita. Shlomo invece è lineare, distaccato. Lo è sempre stato, ma un tempo sapevo che mi amava. Ora non più. L'ultima volta che gliel'ho chiesto, ha risposto: " Non lo so e non lo voglio sapere".Me lo ha scritto in un messaggio:quando l'ho letto, ho sentito un dolore acuto al petto,come se mi avesse sferrato una coltellata. La freddezza di Shlomo mi fa male in un punto preciso del corpo. La prima volta che abbiamo fatto l'amore, nella sua stanza bianca di Neve Tzedek, per me è stato bellissimo, non so se lo sia stato anche per lui. Shlomo non parla di queste cose. Shlomo non parla di sentimenti, sesso, salute. I primi anni che stavamo insieme, la sera - ogni tanto - mettevo un disco e ballavamo abbracciati. Quando facevamo l'amore mi diceva che mi amava. Ma abbiamo sempre litigato, anche allora: parole dure come pugni in testa. I silenzi con cui mi puniva per settimane - dopo ogni lite - erano ancora più crudeli: una morsa attorno al cuore, un' asfissia, una tortura. Ora litighiamo meno, ma i suoi silenzi durano mesi. E io ogni giorno devo inventarmi qualcosa per sfuggire al dolore della sua distanza: un viaggio, un lavoro, una nuova amicizia. Dieci gocce di Xanax. Un gin tonic. Eppure, non posso lasciarlo. (…) Daria Bignardi da Storia della mia ansia
LO SPARO Dispersa ti cerco. Sono uno scuro stormo che s'alza dal campo. Sii vero. Allarga le chiome ch'io possa riunire i miei nomi sostare. Ma è basso il raccolto e il tuo spazio una sfida. Con l'ombra dilati quel pezzo di terra che invita al furto. E' colpa o destino tornare insaziata tra l'erba sottile scacciata in eterno da uno spettro un fucile? *** WAR HORSE Terra brulla una volta campo di solchi e sementi vuoto di mezzo che fosti tempo di attesa leggera adesso ti apri alla tregua di un gesto. Tra le nostre opposte trincee impigliato nel filo spinato un cavallo senza padroni. La schiena madida il ricordo come indomito istinto. Le narici fiutano chi sembra scordare i confini. Dalle tue ombre spingine una al centro del fuoco sospeso io manderò la mia a liberare quel fascio di muscoli il grido la ferita che chiede alle mani di entrambi di riconoscersi uguali e cerca tra loro una fuga infinita. ***
LA VITA PARLA Amami adesso che ho frutti incerti in grembo, nella voce il tempo e tegole sconnesse tra questo letto e il cielo. Ogni notte ti asciugo la fronte e raccolgo di te quello che si era sparso. Ma tu non volermi diversa. Stringi forte il mio corpo di ore lucente e cupo recinto sotto l'edera e il mirto. (Su me spunta fedele anche colei che credi mi sia ostile ). Raffaela Fazio da Indizi - Un'ipotesi appena
" La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha " ( O. Wilde )
(…) In una sua celebre conferenza milanese gli inizi degli anni Settanta, di fronte a un pubblico spaesato, Jacques Lacan affermava che il discorso del capitalismo era fatalmente destinato a scoppiare. C'era- sosteneva con una specie di chiaroveggenza lui che era politicamente un liberale conservatore - qualcosa di " folle e di infernale", di " insostenibile"in quel discorso.Non stava ovviamente parlando da economista; non interveniva sul tema marxista del crollo del capitalismo e non stava nemmeno offrendo un'analisi sociale del fenomeno del capitalismo e delle sue differenti versioni storiche. Lacan era piuttosto interessato a cogliere la dimensione pulsionale di quell'economia che individuava nell'affermazione di un godimento cinico, individualista, centrato sulla fede feticistica nei confronti dell'oggetto e, soprattutto sulle sue false promesse di redenzione. Il discorso del capitalismo ha tradotto la parola del desiderio nel culto frivolo dell' homo felix - decisamente lontano dalle vecchie nostalgie metafisiche -, impegnato nella ricerca della propria felicità individuale su questa terra e al servizio del culto dell' Io autonomo che pretende di diventare il padrone assoluto di se stesso. Il discorso del capitalista ha voluto fondare il suo trionfo sul narcisismo cinico, sulla "gadgetizzazione" perpetua della vita, che ha come sfondo sociale il naufragio dei grandi ideali collettivi della modernità occidentale ( comunismo, socialismo, cristianesimo) (…) Massimo Recalcati da Ritratti del desiderio
(…) Oggi in molti ci chiediamo se questo potrà durare ancora a lungo; se questo iperattivismo forsennato che anima questo discorso non abbia segnato il passo; se la lezione di questa grande crisi dell'economia capitalista - che non è solo finanziaria , ma innanzitutto etica - non ci avverta sull' insostenibilità del discorso che la sostiene. Oggi in molti ci chiediamo dove porterà quella corsa senza principio né Legge - se non quella del godimento avido - della seggiola hitchcockiana ( una sedia a rotelle fatta viaggiare a una velocità ingovernabile...Lacan ha proposto un'immagine alla Hitchcock per raffigurare un'economia che già negli anni '70 considerava destinata fatalmente a scoppiare . n,d.r.) descritta da Lacan .Non siamo forse nel mezzo di un passaggio storico epocale che sancirà l'esplosione fallimentare di questa folle macchina di godimento? L'osservatorio della psicoanalisi ci può offrire un quadro preciso dl nostro disagio. Nella precarizzazione della vita, la fede nell'oggetto- feticcio, dell'oggetto- marca, dell'oggetto - idolo,dell'oggetto che promette la guarigione dal dolore di esistere, vacilla drammaticamente sotto i colpi sordi di un immiserimento e di una spogliazione mentale e sociale dell' esistenza. Quello che non possiamo non vedere è che, anziché liberare il desiderio dai suoi vincoli materiali , morali e dalle sue inibizioni sociali -insomma dalla sua nevrosi - il discorso del capitalista lo ha piuttosto ucciso, lo ha spianato sotto il rullo di una rincorsa disperata verso un godimento tanto necessario quanto privo di soddisfazione. E' il paradosso dell' iperedonismo del nostro tempo: la pulsione appare dotata di una potenzialità infinita, si afferma come finalmente libera, svincolata dai limiti della Legge, ma questa libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione. E' una libertà vuota, triste, infelice, apaticamente frivola . (…) Massimo Recalcati da Ritratti del desiderio
(…)Lo vediamo nella nostra pratica clinica,lo vediamo nella nostra comune esperienza del mondo. Nella promessa di liberare il desiderio dai lacci di una morale civile repressiva e antiquata, il discorso del capitalista finisce per sancire la sua mortificazione, perché il desiderio - per essere fecondo - per essere generativo, per alimentare altro desiderio, per animare l'orizzonte positivo dell' Altrove, necessita di una Legge. Per questa ragione il desiderio non andrebbe mai confuso con l'arbitrio, il capriccio, la volubilità, con l'assenza di Legge. Se questo avviene - come accade nell'universo iperedonista della nostra civiltà - finisce fatalmente per sostenere una versione radicalmente perversa del desiderio, smarrendone la dimensione propriamente creativa. (…) Massimo Recalcati da Ritratti del desiderio
(…) La parola " desiderio" non definisce un godimento illimitato, senza Legge, erratico, privo di responsabilità, ferocemente compulsivo e sregolato, quanto piuttosto la capacità di lavoro, di impresa, di progetto, di slancio, di creatività, di invenzione, di amore, di scambio, di apertura, di generazione. Desiderio non è solo consumazione dell'oggetto e di se stessi, ma anche - come direbbe Lacan - ciò che resiste a qualunque sogno totalitario e a qualunque impresa di omologazione. In questo senso " il desiderio di avere un proprio desiderio" resta il fattore di resistenza a tutte quelle sirene suggestive che offrono la promessa di un'assimilazione dell'umano in una Comunità di monadi libere di godere senza limiti, in una Comunità iperedonista, dunque senza soggetto e fondata sul godimento seriale dell' Uno, come quello che la follia del discorso capitalista ha provato a realizzare. Non dobbiamo dimenticare che la parola " desiderio" non rinvia solo allo scandalo di una insoddisfazione che si rinnova perennemente, ma anche alla fertilità della generazione, alla soddisfazione del riconoscimento,all'esistenza di un orizzonte che è speranza, avvenire, frutto, realizzazione, visione, sogno, comunione senza promessa di liberazione, singolarità, dono, possibilità. La parola " desiderio" porta già nel suo etimo la dimensione della veglia e dell'attesa, dell'orizzonte aperto e stellare, dell' avvertimento positivo di una mancanza che sospinge alla ricerca. Il desiderio non può essere confuso col godimento autistico, non è volontà di godere, non è appropriazione delle risorse, accaparramento della terra, dominio, sopraffazione, sfruttamento. Il desiderio porta sempre con sé una povertà - una lontananza - che è un tesoro. Alcuni hanno ironizzato su questa versione del desiderio, vedendovi l'apologia di una teologia negativa. Ma gli psicoanalisti sanno che non c'è desiderio capace di generatività che non includa la castrazione: non si può avere tutto, godere di tutto, sapere tutto, essere tutto. (…) Massimo Recalcati da Ritratti del desiderio
L' amore era silenzioso come una congiura nessuno sapeva se la vita era immensa oppure niente, se il tempo dilagava oltre le colline oppure un dio venerando impediva al gesto la sua crescita o impediva alle more di restare sulle labbra. *** A volte, sull'orlo della notte, si rimane sospesi e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro, - a lungo - nel giorno mai compiuto, si vede la porta spalancata da un grido. La mano feriva con precisione vicino alla dolcezza. Così si trascorre ignoti dal primo sangue fino a qui, fino agli attimi che tornano a capire e restano imperfetti e interrogati. Milo De Angelis da Quell'andarsene nel buio dei cortili
" Amore è donare all'Altro quello che non si ha" Jacques Lacan
( Il dono d'amore è dono della propria mancanza, è dono all'amato della mancanza che l'amato sa aprire nell'amante. E' dono del segno che l' Altro mi manca, che la sua esistenza sa scavare in me la mancanza ).
L'uomo è l'unico tra i viventi ad avere la peculiarità di " guardarsi dentro". E in questa sua capacità di introspezione giunge alla consapevolezza di essere lo straordinario frammento di una gigantesca realtà che sconfina nell'infinito. Si rende conto non solo di essere fragile, ma di essere un " frammento di polvere fragile". In tempi di ipertrofia dell'informazione e di spreco delle parole, il silenzio " parla" proprio perché non dice, e se in esso non si conosce tutta la verità, tuttavia si giunge alla certezza che la verità esiste. Solitudine e silenzio sono dunque necessari per un'igiene della psiche, per un'ecologia dello spirito, per nutrire una relazione feconda con noi stessi, ritrovando così - nel rapporto con gli altri - quell'armonia spesso compromessa da aggressività e violenza, abusi e nevrosi. L'autore - Vittorino Andreoli - denuncia in questo testo ( e non solo ! ) il delirio delle metropoli contemporanee, mettendo in guardia dai danni dell'eccessiva mondanità, dell'ipocrisia delle relazioni, dell' iper- connessione virtuale. Ecco allora l'assoluta necessità di ritrovare una dimensione contemplativa della vita per riappropriarci del senso delle nostre esistenze e per dare spazio a " quel monaco che si nasconde nel profondo di ciascuno di noi, al suo bisogno di solitudine e di mistero, perché una vita pienamente umana non può fare a meno dell'invisibile". frida
" Osserviamo tutti le nazioni così barbare come umane, quantunque per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane e diversamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti " . ( Giambattista Vico )
LA CONDIZIONE UMANA
(…) Nel percorso dell'antropologia fino alla nascita della Civiltà Occidentale, il problema dell'esistenza di Dio è presente in maniera fortemente significativa e condizionante. Se si fa nascere la civiltà con il funerale : la cerimonia che si occupa di un defunto che - benché morto - si crede mantenga una presenza nel villaggio e continui a vivere, sia pure in forma diversa. Il funerale è il rito con cui si accompagna il defunto nel luogo in cui continuerà a vivere: ad esempio, la montagna, luogo inadatto all'uomo e - proprio per questo - possibile dimora dei morti. La scelta dell'ultima dimora è in parte condizionata dal luogo geografico. Presso le popolazioni Inuit ( leggi " Il Paese dalle lunghe ombre " , n.d.r. ), il viaggio è all'interno del mondo ghiacciato e la meta viene raggiunta navigando su un iceberg, su una lastra di ghiaccio. Presso queste popolazioni il funerale si compie prima della morte e il vecchio si allontana dall'igloo, come se il trapassato non dovesse nemmeno incontrare la morte, ma semplicemente raggiungere un luogo diverso e più adatto a continuare a vivere. La morte forse è la circostanza " naturale" per immaginare un altro luogo, che nelle sue espressioni giunge alla trascendenza, generata appunto dalla fantasia. Il funerale come viaggio, è certamente uno stimolo al pensiero, una spinta al grande salto dal visibile all'invisibile, dal sensoriale all'immaginario. E sarebbe incompleta questa " causa" se al pensiero non si legasse l'affettività, il legame con chi muore, che è ancora forte perché essenziale alla propria vita. Il funerale- in questo caso - è la dimostrazione della presenza del defunto che continua ad esserci sulla montagna o nella profondità del mare, e il legame è ancora più forte perché egli ha raggiunto un luogo da dove esercita con più forza le sue funzioni. L' identificazione del luogo, con il tempo, si fa sentire più netta e via via, una dimora vaga diventa sempre più precisa, fino a giungere alla tomba, che è il luogo di quel defunto e che deve essere esattamente individuato. La percezione della morte come perdita ha avuto, nel passaggio da antropologia a storia una forza sconvolgente e ha creato un ambito del pensiero e dell'affettività, che è il primum movens per riuscire a legare l'uomo a ciò che non c'è più, e dunque a pensare a una vita che è quella del post mortem , necessaria per rispondere al bisogno di capire ( pensiero ), ma anche di vivere ( sentimento ). E' una grande mutazione dell'uomo perché segna anche la scoperta di un mondo interiore che nella sua definizione più semplice e primitiva permette di distinguere gli " imperativi della sopravvivenza" dai bisogni che - invece - nascono dal mondo dentro di noi e che formano il primo nucleo della costruzione della personalità. Non è esagerato - per analogia - chiamare questo evento il Big Bang dell' " universo interiore " e anche del pensiero trascendente. (…) Vittorino Andreoli da Beata solitudine ( il potere del silenzio )