domenica 21 maggio 2017

LA CONQUISTA DELLA FELICITA'



(...) Io non sono nato felice. Da bambino il mio salmo preferito era:
     " Stanco della terra e carico dei miei peccati". A cinque anni, mi
       dissi che, se dovevo vivere fino ai settanta, avevo sopportato
       soltanto - fino a quel momento - la quattordicesima parte di
       tutta la mia vita e intravvedendo davanti a me il tedio che mi
       attendeva su un cammino così lungo, lo giudicai
       insopportabile. Durante l'adolescenza, la vita mi era odiosa e
       pensavo continuamente al suicidio; ma questo mio proposito
       era tenuto a freno dal desiderio di approfondire la mia
       conoscenza della matematica. Ora, al contrario, godo la vita;
       posso quasi dire che ogni anno la godo di più. Ciò è dovuto in
       parte all'aver scoperto quali fossero le cose che maggiormente
       desideravo e all'averne acquisito gradatamente molte; in parte
       all'essere riuscito a rinunciare a determinate aspirazioni, quali
       l'acquisizione di una conoscenza assoluta in questa o quella
       cosa, perché essenzialmente irraggiungibile. Ma soprattutto
       ciò è dovuto al fatto che mi sono abituato a preoccuparmi
       sempre meno del mio Io. Come molti di coloro che hanno
       ricevuto un'educazione puritana, io avevo l'abitudine di
       meditare sui miei peccati, le mie follie, le mie manchevolezze.
       Apparivo a me stesso - senza dubbio giustamente - un misero
       esemplare d'uomo. Gradatamente imparai a non badare a me
       stesso e alle mie deficienze; giunsi a concentrare sempre più
       la mia attenzione su oggetti esteriori: le condizioni del mondo,
       varie branche del sapere, individui ai quali ero affezionato.
       Gli interessi esterni - è vero - possono essere ognuno causa
       di sofferenza, il mondo può precipitare nella guerra, la
       conoscenza di questa o di quella branca del sapere può essere
       difficile da acquisire, gli amici possono morire. Ma questi
       dolori non distruggono la qualità essenziale della vita, come
       fanno quelli che hanno origine dal disgusto di noi stessi.
       Ed ogni interessamento esterno spinge a qualche attività la
       quale, fintanto che l'interesse si conserva vivo, è un sicuro
       preventivo contro l' ennui . L'interesse per il proprio Io,
       al contrario, non spinge ad alcuna attività di carattere
       costruttivo. Può indurre a tenere un diario, a sottoporsi ad un
       esame psicoanalitico, o forse a farsi monaco. Ma il monaco
       non sarà felice fino a quando le occupazioni quotidiane del
       monastero non l'avranno reso dimentico della sua anima.
       Quella felicità che egli attribuisce alla religione, avrebbe
       potuto raggiungerla anche diventando spazzino, purchè fosse
       stato costretto a rimanere tale. La disciplina esteriore è la
       sola via che conduca alla felicità per quegli infelici, troppo
       dediti all'introspezione per poter essere curati in altro modo.
       (...)


              Bertrand  Russell    da    La conquista della felicità

2 commenti:

  1. Mi lascia perplessa questo brano, e non solo perchè, al contrario dell'autore, ho passato un'adolescenza felice.
    "Stanco della terra..."??? No, grazie al cielo non lo sono neppure oggi.
    Certo, sono convinta che diventare adulti e poi anziani debba comportare una sempre maggiore consapevolezza che può anche aiutare ad apprezzare e godere la vita più di quando si è giovani.
    Ma non riesco a condividere il pensiero di Russell quando dice "L'interesse per il proprio io....non spinge ad alcuna attività di carattere costruttivo".
    E perchè mai poi dovremmo essere dimentichi della nostra anima???
    E' proprio lavorando su di essa, invece, che comprendiamo chi siamo, chi vogliamo essere ed è lì che dovrebbero maturare le nostre scelte, l'orientamento dei vari aspetti della nostra vita esteriore. In armonia con la nostra identità più profonda.
    Ma probabilmente questa visuale di Russell si radica in un'esperienza di particolare sofferenza infantile.

    Scusa la lunghezza, Frida, e grazie di questi spunti di riflessione sempre stimolanti.

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  2. Io, di questo brano di Russell, tengo buono solo il titolo, nel senso che molto spesso la felicità è una conquista. Neppur io - però- mi trovo d'accordo sulle modalità per raggiungerla, ponendoci cioè una disciplina delle cose esterne più che interiore, fuori di noi piuttosto che nei meandri della nostra anima ( o della nostra psiche ).
    Se così fosse, potrei anche alzare bandiera bianca, considerando il mio lavoro e le mie passioni!
    Ma allora, perché l'ho postato?
    Per quel che riguarda le modalità di scelta che adotto su questo blog,
    chiarisco che non pubblico solo post sul cui contenuto sono sempre e inequivocabilmente d'accordo.
    Come hai ben compreso anche tu, mi piace stimolare la riflessione su un problema, anche partendo dal punto di vista opposto: è' sempre un bell'esercizio mentale e un confronto piacevole, oltre che costruttivo .( E ammetterai che Russell era una tentazione forte!). Molte grazie a te per aver raccolto l'" invito" ( o la provocazione? )

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