La gioia è una fioritura della carne, il maggio delle ossa...
Si sta vicini per fare miracoli non per ripetere il mondo che già c'è, che già siamo. ( F. A. )
Passo le mie mani sul tuo corpo come un archeologo. L'amore è leggere il sacro seppellito nei corpi, è quella cosa che si sgretola, fa cadere le vernici, rivela il fondo d'oro, l'archivio di luce da cui veniamo. *** Mai vista una primavera così bella: la luce sembra impazzita, è un diamante la testa del serpente, il silenzio concima le ginestre, sono quieti i paesi da lontano. Non insistere a dolerti. Ogni albero è tranquillo e felice di vederti. *** Non pensare la gioia, séntila: è una fioritura nella carne, è il maggio delle ossa, l'aprile degli occhi. La gioia non è un fatto, una cosa, un luogo. La gioia crea spazio, scioglie, fa il vuoto. *** La serena democrazia delle foglie, la gentilezza, la clemenza, la cura di uscire e guardare il paesaggio. Questo è il nuovo umanesimo: qualcosa che assomiglia a un ciliegio nel cielo di maggio. *** Datti alla vita intensa, cercala, non fare altri errori, resta sulla tua strada, cammina senza muoverti, resta fermo nei tuoi passi: il mondo sarà buono se resti fedele a ciò che stai cercando. *** Che sia un amore dolce e lieve, un amore che può stare su una ragnatela senza paura di cadere. *** Il piacere è simile al naufragio. Tu sei l'isola corallina e io l'anfora inclinata sul fondale. Franco Arminio da Resteranno i canti
L'amore che conosco è un volo che si dona al suo sole senza armatura; non sceglie l'incolumità della fuga né il rifugio nascosto della rinuncia, ma sfiora l'estremo limite della sua stessa utopia. Servono ferite per riconoscersi nel colore denso del proprio sangue; serve consumarsi le mani per capire se le parole possono farsi carne. Se esiste il coraggio d'essere, che si mostri nell'unica tangibilità possibile. frida
" Pro veritate adversa diligere " ( gioire della contraddizione ) (…) In questo mondo che passa, e passando consuma ogni cosa; in questo mondo che ora fa gioire per il semplice fatto di esserci, ora gemere di rabbia e di dolore come schiavi alla catena; in questo mondo teatro dell'essere e del nulla,libera scelta e cieco destino, allegria della mente e disperazione dell'anima; in questo mondo di fantasmi e di poesia, io non conosco nulla più grande del bene. Se c'è una dimensione nella quale è possibile non dico superare, dico per lo meno sopportare, il flusso inesorabile di esseri viventi che nascono e muoiono, tutti necessariamente incatenati alla brama di cibo e di orgasmo e di un posto sul palcoscenico per poter Essere qualcuno e ricevere così la propria dose di applausi e di denaro, questa dimensione, sola possibile liberazione dai morsi della triplice catena, è il bene. Chi fa il bene si libera - almeno per un po' - dalla catena alimentare, sessuale e sociale; chi no, no. Rimane servo. Volendo sintetizzare in una formula l'unica possibile liberazione, parlo di Bontà dell'intelligenza. Raramente le due cose si ritrovano insieme: spesso si hanno uomini buoni ma poco intelligenti, per cui non sai mai se la loro bontà non sia altro che debolezza, come pensava Nietzsche; oppure uomini dotati di intelligenza, ma senza il minimo scrupolo di farne uso per asservire e talora umiliare e che rabbrividiscono alla sola idea di passare per Buoni. Di contro, io ritengo che la bontà che desidera la luce dell' intelligenza e l'intelligenza che desidera il calore del bene, l'unione di queste due dimensioni in ciò che chiamo Bontà dell'intelligenza , sia il vertice sommo a cui la vita di un essere umano possa arrivare. Ho incontrato uomini e donne così, ne parlo per esperienza personale, ho potuto toccare con mano la grazia che li pervadeva, mentre sentivo risuonare dentro di me il versetto del salmo : " Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore" ( Salmo 16, 3 ). Anime grandi, larghe, vaste come questo cielo che non mi stancherò mai di guardare e che manda la sua luce e la sua pioggia su tutti, buoni e cattivi, su coloro che lo ringraziano e e su coloro che lo maledicono e anche su coloro che semplicemente non se ne curano. Uomini dotati di un'anima grande, mahatma, anima capiente, nel duplice senso che contiene, e che quindi capisce, in grado di accogliere tutte le contraddizioni che la ragione - osservando il mondo - non può fare a meno di riscontare. Ecco gli uomini spirituali. (…) Vito Mancuso da Obbedienza e libertà ( Critica e rinnovamento della coscienza cristiana )
Un volto bello ha l'ombra accanto; sol si dia vanto d'aver pietà...
A PIEDI ATTRAVERSAI IL SISTEMA SOLARE A piedi attraversai il sistema solare, prima che trovassi il filo iniziale del mio vestito rosso. Intuisco già me stessa. Da qualche parte nello spazio pende il mio cuore, da cui grondano faville, scuotendo l'aria, ad altri cuori smisurati.
L'ANIMA IN ATTESA Sono sola tra gli alberi al lago, vivo in amicizia con i vecchi abeti a riva e in segreta intesa con tutti i giovani sorbi. Sola, sto distesa ad aspettare: non ho visto passare nessuno. Grandi fiori mi guardano dall'alto di lunghi steli, pungenti rampicanti mi strisciano sul grembo. Ho un solo nome per tutto, ed è amore. LE FIACCOLE Voglio accendere le mie fiaccole sulla terra. La mia fiaccola starà in ogni cortile notturno sulle Alpi, dove il cielo è malinconia. O mia fiaccola, illumina il volto di chi è impaurito, di chi ha pianto, di chi è turbato, di chi si è lordato! Un dio dolce vi porge la mano: senza bellezza l'uomo non vive un attimo. LE STELLE Quando viene la notte, io sto sulla scala e ascolto: le stelle sciamano in giardino e io sto nel buio. Senti, una stella è caduta risuonando! Non andare a piedi nudi sull'erba: il mio giardino è pieno di schegge. NOI DONNE Noi donne non siamo così vicine alla terra bruna. Chiediamo al cùculo che cosa aspetta dalla primavera, gettiamo le braccia intorno al pino spoglio, cerchiamo nel tramonto segno e consiglio. Amai un uomo una volta: non credeva a niente… Venne un giorno freddo con sguardo vuoto, se ne andò un giorno triste con oblio sulla fronte. Se il mio bambino non vive è suo. Edith Sodergran da Poeti con voce di donna
(…) Jet lag è il termine comunemente usato per indicare il malessere fisico e psicologico conseguente ai viaggi trans- oceanici o transcontinentali, con attraversamento veloce di molti meridiani. Giunti a destinazione, se si sono attraversati più di 3 o 4 fusi orari in maniera più o meno intensa, tutti soffrono di jet lag. Ci si risveglia nel cuore della notte e si ha difficoltà a mantenere alti i livelli di attenzione e vigilanza durante il giorno. Il jet lag persiste due o tre giorni se si viaggia verso Ovest ( dall' Europa agli Stati Uniti ) e può durare anche più di una settimana se si viaggia verso Est ( dall' Europa al Giappone ). Il disturbo è legato al fatto che, allungando o accorciando la giornata biologica, si crea un dissincronismo tra il ritmo sonno- veglia e l'oscillazione circadiana della temperatura corporea, la quale continua ad oscillare ogni 24 ore esatte. Come conseguenza di questo dissincronismo, la temperatura corporea può aumentare, anziché diminuire, nel cuore della notte, favorendo l' interruzione precoce del sonno,o diminuire, anziché aumentare nel corso del mattino, favorendo stanchezza e sonnolenza mattutina. Il malessere fisico e psicologico provocato dal jet lag persiste fino a quando ritmo sonno- veglia non tornano ad allinearsi in modo fisiologico. I viaggi intercontinentali sono sopportati meglio dai nottambuli e dalle persone giovani; creano maggiori difficoltà alle persone anziane e mattiniere. ( A proposito …) Henry Kissinger - nelle sue memorie - racconta una storia divertente:dovendo incontrare Breznev e Gromyko al Cremlino, si spostò in aereo da Washington a Mosca la notte precedente l'incontro. Il colloquio con i suoi astuti interlocutori avvenne il mattino seguente, nel momento peggiore della sua giornata biologica. La sua performance diplomatica fu catastrofica, la peggiore della sua brillante carriera. Capiva in ritardo il significato delle proposte dei suoi interlocutori e rispondeva in modo confuso e impreciso. Frustrato dalla sua pessima prestazione, giurò a se stesso che non avrebbe più commesso l'errore di trasferirsi in un luogo distante molti meridiani dalla sua capitale alla vigilia di un incontro diplomatico importante. (…) Elio Lugaresi da Il sonno e i suoi disturbi
" I ' ho tanti vocavoli nella mia lingua materna, ch'io m'ho più tosto da dolere del bene intendere delle cose, che del mancamento delle parole, colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia " . ( Leonardo Da Vinci )
(…) Questo libro racconta una storia di maternità per il piacere di narrare e la speranza di aiutare le giovani donne a decidere se e quando diventare madri, considerando la gravidanza non un pegno da pagare, ma una tappa fondamentale della vita. Poiché condividere i propri ricordi induce gli altri a fare altrettanto, confido che il filo della memoria, che prima di interrompersi ha collegato per secoli generazioni di donne, possa riprendere a fluire. Dagli anni Settanta abbiamo spronato figlie e nipoti a rendersi autonome e a realizzarsi studiando, lavorando, facendo carriera. Ma , giunte ai trent'anni, si trovano di fronte a conflitti che - da sole - non riescono a risolvere. Desiderano armonizzare lavoro e maternità, ma non sanno prevedere un percorso di cui hanno ben poche immagini e testimonianze. Benché sorretta da disposizioni mentali e affettiva plasmate attraverso secoli di cultura e di storia, la maternità è un' opportunità, non un destino. E come tale costituisce il risultato di un processo di autoaffermazione che si avvale tanto della riflessione solitaria quanto della comunicazione, secondo l' affermazione di Christa Wolf : " Io comprendo solo ciò che condivido ". Poiché la gestazione segue percorsi individuali mentre i sentimenti che l'accompagnano sono in gran parte universali, ho utilizzato la formula della testimonianza per esprimere - ancora una volta - la differenza che ci separa e la somiglianza che ci unisce. Alla protagonista - Lena - che vive alla fine degli anni Settanta, spetta il compito di raccontare, intercalata da una sorta di controcanto riflessivo, un'attesa che, non senza difficoltà, sembra realizzare segrete potenzialità, rimarginare antiche ferite, schiudere nuove prospettive, delineare " un futuro interiore ". (…) Silvia Vegetti Finzi da L'ospite più atteso ( Vivere e rivivere le emozioni della maternità )
(…) In quel decennio non avevano ancora fatto irruzione le tecnologie che si interpongono fin dall'inizio nel rapporto madre - figlio.Il dialogo tra la gestante e il feto scorreva lungo un cordone ombelicale - fisico e psichico, che non subiva interferenze. Ora, senza rimpiangere " il buon tempo antico", è giunto il momento di recuperare il sapere che possediamo, almeno potenzialmente, in quanto esseri femminili che perseguono finalità vitali. Smarrire quel patrimonio impoverisce la nostra esperienza e ci rende - senza che ce ne avvediamo - soggetti passivi della nostra vita. Il contrario di quanto si proponeva un progetto storico di libertà e auto - determinazione troppo presto interrotto.Vivere l'attesa in modo partecipe, trascriverla nella memoria, evocarla, rievocarla e condividerla, configura la possibilità di una parola femminile non basata sulle mimesi o la contrapposizione con l'altro sesso ma sulla specificità del nostro essere nel mondo. Su questo sfondo si colloca il segmento di autobiografia che, seppure in terza persona, porgo a chi legge, senza alcuna pretesa di proporre un modello di riferimento o un manuale di comportamento. E' piuttosto un tentativo di sensibilizzare madri e figli sulla nostra originaria, costitutiva relazione e di valorizzarla sottraendola all'indifferenza e alla dimenticanza. Certo ogni storia è unica, diversa dalle altre e non duplicabile, tuttavia, come suggerisce Winnicott: " Non dobbiamo pensare che la natura umana sia cambiata. Dobbiamo piuttosto cercare l'eterno nell'effimero ". ( D.W. Winnicott - Dal luogo delle origini ) Esiste infatti una persistenza di valori, affetti ed emozioni che, se evocata e condivisa, può motivare e sostenere la giusta esigenza di una vita piena, completa, realizzata e felice. Purchè le donne riprendano a parlare tra loro, come saggiamente suggerisce José Saramago : " E' la lunga, interminabile conversazione delle donne, sembra una cosa da niente, questo pensano gli uomini; neanche loro immaginano che è questa conversazione che trattiene il mondo nella sua orbita.Se non ci fossero le donne che parlano tra loro, gli uomini avrebbero già perso il senso della casa e del pianeta . " ( J. Saramago - Memoriale del convento ) Silvia Vegetti Finzi da L'ospite più atteso ( Vivere e rivivere le emozioni della maternità )
Per i sacerdoti fu colpa la tua verginità che si tingeva di rosso...
NEL SEGNO DELL'ANTICA MADRE MEDITERRANEA (...)L'immagine della Vergine si incontrò con le madri della fertilità sostituendosi e compenetrandosi con il complesso patrimonio rituale del popolo. Antiche divinità protettrici furono assorbite da Maria che - dunque - diventò custode del mistero della procreazione, depositaria delle chiavi di lettura per comprendere la vita stessa e, per questo, vicina alle donne- fonti della vita -. Su di lei si riversarono le funzioni e i titoli riservati alle dee presenti nel pantheon mediterraneo : Ishtar, ( dispensatrice di vita ), Iside ( madre del dio Horus ), Cibele ( la grande madre )la Regina del cielo alla quale le stesse donne ebree avevano tributato onori idolatrici. L'incontro tra la religiosità pagana e il Cristianesimo portò all'affermarsi del culto della Vergine nel mondo mediterraneo attraverso un lungo processo fatto di continuità e discontinuità che,ben collegandosi alle istanze dei tempi, mantenne la sua immagine però sempre attuale. Maria non era solo Madre di Dio, ma anche madre dell' intera comunità, e la percezione della sua maternità si collegava bene con i residui culturali relativi alla fertilità. Sostanzialmente, le problematiche di carattere dogmatico non furono determinanti nella vita dei fedeli, che crearono un vero e proprio codice non scritto di tradizioni e devozioni , recuperando gli aspetti più teneri e compassionevoli della Vergine. La figura caritatevole, umana, serena e accogliente di Maria poteva rassicurare il popolo piegato da dolori, fatiche, tribolazioni, epidemie, e dal terrore della stessa morte. Nella religiosità popolare, la Madre di Gesù, che incarnava il dolore umano, rappresentò il luogo che accoglie tutte le sofferenze, mediatrice per una umanità bisognosa di protezione. (...) Adriana Valerio da Maria di Nazaret ( Storia, tradizioni, dogmi )
-Lo chiameranno Figlio di Dio - parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno, ma impresse nel ventre ...
ANTICHI E NUOVI SIMBOLI (...) La maternità è una delle immagini più profonde e radicate nell' esperienza umana, simbolo archetipo della fecondità e del grembo che genera vita. Maria è l'archetipo della Grande Madre,la matrice ricettiva che, nel profondo della coscienza umana,completa l'immagine divina del Padre.Questa maternità ha spesso innalzato Maria al limite estremo dell'umanità e l'ha avvicinata alla sfera divina. Molti degli appellativi che la devozione mariana ha creato, richiamano antichi culti di divinità della terra e del cielo: Maria viene chiamata " Regina del cielo" o " Stella del mare " come Iside; " Salute degli infermi" come Giunone; " Patrona" di una città come Atena. Non è un caso che tante chiese a lei dedicate sono o trasformazioni di antichi templi o fondazioni sorte in prossimità di luoghi di culto di divinità femminili pre - cristiane. La sua maternità va intesa a differenti livelli che richiamano valori e significati diversi.Se la madre di Gesù - infatti - ha una sua identità storica e possiamo indicarne le caratteristiche, l' espressione " Madre di Dio " rimanda ad un significato traslato che può risultare ambiguo e paradossale. Dio ( il Verbo ) ha una madre e questa madre gli è subordinata come Figlio ( che si è incarnato in un maschio ). Pensiamo al Canto di Dante : " Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile ed alta più che creatura " ( Paradiso, 33, 1-2 ). Maria manifesta - comunque - l'esigenza insopprimibile di un volto materno.In lei l'archetipo materno, esiliato dall'immagine di Dio presentato con i caratteri maschili austeri e giudicanti, è recuperato ed espresso nella maniera più alta, costituendo un orizzonte di significati che entra nel profondo della coscienza umana. E' lei la madre che protegge al di là del merito, vicina all'umanità bisognosa di accoglienza, di conforto, di cura e di misericordia; è lei che risponde alle necessità affettive di chi è fragile e oppresso dal dolore della vita che lei assume e trasforma. E' lei la madre compassionevole che suscita vita nuova, generando figli chiamati ad essere come lei, fecondi; è lei - come ogni madre - a svolgere la funzione di mediatrice tra i credenti e Dio : a dispensare grazie . (...) Adriana Valerio da Maria di Nazaret ( Storia, tradizioni, dogmi)
Che allegria, vivere e sentirsi vissuto. Arrendersi alla grande certezza, oscuramente, che un altro essere -fuori di me molto lontano - mi sta vivendo. E quando mi parlerà di un cielo scuro, di un paesaggio bianco, ricorderò stelle che non ho visto, che lei guardava e neve che nevicava nel suo cielo. Il sonno è un lungo commiato da te. Ma ormai ti ho salutato: sto per lasciarti. Ti abbraccio per l'ultima volta: che è come aprire gli occhi. Ecco. Il mondo funzionerà bene oggi: ha già ucciso il mio sogno. Ti sento fuggire, veloce, dall'aurora, esattissima, verso l'alto, cercando la stella che non si vede. Il disordine celeste, tua sola dimora. Non ti ritrovo più laggiù nella distanza: invano potrei cercarti là dove il mio pensiero tante volte andò a sorprendere il tuo sonno, o il tuo riso, o il tuo gioco. Non sono più lì, ché con te li hai portati. Tieni la mia anima sospesa sopra il gran vuoto. E io - smarrito, cieco - non so come raggiungerti là dove sei, se aprendo semplicemente la porta o gridando; o se solo mi potrai sentire, ti giungerà la mia ansia nell'assoluta attesa immobile dell'amore. Pedro Salinas da La voce a te dovuta
frida(Del metallo e della pietra ).Parco Vigeland a Oslo
Non mi somiglia il calpestìo sommesso né la voce in sussurro né il teatro che rende il vuoto assimilabile al resto. Voglio vivermi adesso energia pura in libera gestione meteorite indomita e luce viva in flagranza d'esplosione. frida
Dici - Charles - che " il tempo è l'intervallo tra la percezione e il riconoscimento ( la coscienza di quella percezione )." Basterebbe questo a renderti indispensabile alla Storia - anzi, alla cronaca del mondo - come le perle infilate una ad una in una collana che sembra avvolgere l'intero dell'uomo , a farne rilucere la pelle quanto ad intrappolarne le giunture impedendo il movimento, come se conoscere fosse l'acqua nella quale affogare il Mistero e il suo riflesso. Altro di te, nascosto - partendo dalla Vita delle immagini - affiora oltre la membrana delle citazioni, quasi che il traslucido che di norma lascia intravedere fosse invece un motivo per celare, un alabastro di vetrata gotica a salvare il sacro della luce, a separare l'opera dalla sua creazione, a ingigantire l'eco come se la parola restituita cantasse in tante voci sovrapposte. Perché è verità - Charles - quando intuisci che " la fantasia ha dei momenti in cui conosce il significato della parola infinito ." Augusto Pivanti da Ex Libris ( Le posizioni della lettura )
LETTERA AL MIO CUORE Voglio imparare con te a collezionare varchi, squarci, catenacci spezzati. Credo di esserne certa: non siamo qui per essere felici, ma per lasciarci spalancare. I lacci, i vincoli, i preziosi ricami, le maglie salde e ben dorate ci tengono, custodiscono, ritraggono e sono le nostre catene, la nostra staffetta da saltimbanchi: quanto è inutile preservarci? Il tempo ci ha consumato e ci consuma, la miccia è accesa dal primo giorno. Forse è una cometa, forse solo oltre il salto e tu lo sai bene. Me lo hai sempre sussurrato. AMICO MIO, SPOGLIATI Amico mio spogliati e nudo vieni da me perché solo il tuo cuore nudo sarà capace di accogliere ciò che non so dire. Non è più tempo di tergiversare, non resta tempo per ritrovare ciò che siamo. Non resta - amico mio - altro oltre questa attesa titubante, oltre il miraggio temerario: non resta qualcosa che non sia tempo e sai, il tempo non esiste. Spogliati - amico mio - ora e nudo corri. Nessuna vergogna e nessuna paura sono radici: ciò che sei è al fondo della tua nudità ed è la superficie ardente, la pianta dei piedi del tuo essere. Amico mio, corri a perdifiato per la mia strada buia, vienimi a scovare alla tana negletta, insidiosa; ricordami i tuoi occhi su cui riflettere quel dolore nostro quel dolore antico che noi ben sentiamo in un solo petto e non sappiamo dire. Ti prego, ridimi, di quel tuo riso strano che a me pareva eletto; fingi ancora la tua presenza solo per me. Ti prego: portami in salvo. Spogliati e corri - amico mio - verso di me. Non resta tempo per ritrovare ciò che siamo. Non resta - amico mio - altro. Paola Tricomi da La voce a te donata
Si ritrovavano perduti nell'infinito della perdita...
Lasciami, non trattenermi nella tua memoria era scritto nel testamento ed era un golfo di beatitudine nel nulla o un paradiso di luce e vita aperta senza croce di esistenza che sorgeva dalle carte ammuffite nello scrigno. E lei non ne fu offesa, le nascevano - ne sentì prima rimorso poi letizia - impensate latitudini nelle profondità del desiderio; ecco, la trascinava una celestiale oltremisura fuori di quella ministoria, oh grazia. Si scioglievano l'uno dall'altro i due e ogni altro compresente, si perdevano sì, però si ritrovavano perduti nell'infinito della perdita - era quello il sogno umano della pura assolutezza. Mario Luzi da Lasciami, non trattenermi ( Poesie ultime)
...ya es ora de partir, mas pronto volveré a donde fui feliz...
Improvvidi nell'avida stagione dei primi inganni ci fingemmo eterno il miraggio della condivisione del paradiso. Ed ecco - ora - l'inferno. Silvio Raffo da Corpo segreto
Torno ogni tanto sui miei passi, anniversario senza data precisa perché niente è avvenuto prima della nostra insolita partenza quando - dal sereno - è travasata all'improvviso la paura d'aver chiesto troppo al futuro. Sulla soglia di casa abbiamo lasciato un amore di paglia, una volta leggero e trasparente, dopo appesantito dalle troppe parole e lacrime. Torno ogni tanto sui miei passi perché il senso di un ritorno tardivo è freddo come il pallore mortale del mio viso ostinato a ricordare. Ma il futuro è appena passato e il ricordo giace ingessato. Tra i rami del gelsomino il tempo lascerà una traccia che non sarà solo ombra. Potrei cercarti in strade polverose, nei percorsi ordinari del quotidiano, ma il futuro è appena passato e il ricordo una lama nel fianco. frida
" Il sogno è una seconda vita. Non ho mai varcato senza tremare le porte d'avorio o di corno che ci separano dal mondo invisibile. i primi istanti del sonno sono l'immagine della morte: un nebuloso torpore si impossessa del nostro pensiero e non riusciamo a determinare l'istante preciso in cui l' Io, sotto altra forma, continua l'opera dell'esistenza " ( G . de Nerval ) " Chi di notte - dormendo - sogna, conosce un genere di felicità ignota nel mondo della veglia:una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita... Il sognatore è un essere privilegiato, un uomo che non ha obblighi, l'uomo per la cui ricchezza e il cui piacere sono chiamate a raccolta tutte le cose " ( K. Blixen )
(...) Tra l'angoscia estrema della morte e la gioia suprema della libertà, il maestoso grembo del sogno racchiude ogni emozione dell'uomo. Nel provvisorio oltremondo che ospita colui che sogna, prende corpo il paradosso di un'esperienza che si oppone alla realtà - e che è essa stessa una realtà. All'arco sincronico, " orizzontale " di questo immenso serbatoio interiore, corrisponde il tracciato diacronico, " verticale" della storia del sogno. Una lunga serie di secoli è trascorsa da quando il poeta dell' Iliade concentrò lo spasimo della corsa di Achille ed Ettore intorno alle mura di Troia nella figura onirica di un inseguimento senza fine - ma l'incubo di un traguardo tanto inevitabile quanto irraggiungibile segna il destino di morte che attende l'eroe troiano. D' altra parte, alla fine della civiltà greca, Sinesio sapeva che " nessun tiranno può evitare ai suoi sudditi di sognare ", poiché nella mente di chi sogna perdura la traccia di una libertà insopprimibile, primordiale come l'aspirazione di ogni uomo alla felicità. Lungo le vie del sogno, dove si intrecciano le infinite variazioni di un sistema di costanti che congiunge Omero e Nerval e Sinesio alla Blixen, corre una delle storie possibili della mente umana. E' forse la storia più fedele e veritiera dell'individuo, che disvela la condizione umana fuori dalle barriere del vivere sociale: come afferma Eraclito :" Ai desti appartiene un mondo unico e comune; ma chiunque dorme si ritira in un mondo proprio". Alla natura del sogno appartiene un'impronta genetica e storica: ma esso è anche soprattutto la memoria dell'individuo, che permane oltre le cancellazioni imposte dalla necessità di selezionare le esperienze per sopravvivere agli ingorghi della realtà.L' energia della personalità scavalca nella drammaturgia onirica le funzioni della prassi, con una sorta di tracotanza benefica. Dagli antri più remoti dell'anima, dove si forma la percezione dell'esistere individuale, si dirama un apparato di segni che configurano questo suono archetipo ad immagine delle strutture dell'universo fisico e della società umana - e mettono in scena il teatro del sogno, all'incrocio fra allegoria e realismo. (...) Prefazione di Dario Del Corno a Breve storia del sogno