venerdì 18 settembre 2020

LE TERRE APERTE DI EMANUELE


 


      Ci rimane sulla pelle l'infinita grazia di cercare...



VORREI DIRTI L'IMBARAZZO


Vorrei dirti l'imbarazzo di una povertà

che non immaginavo.

Vincere l'omertà del nascondimento,

dimenticare il copione di sempre.

Non resta che aspettare il dormiveglia,

per ritornare agli odori perduti. Da lì

rieccoci al crepuscolo: c'è tempo - ancora -

per vincere il deserto inconsistente

dell'estate, godere a tutti i costi

senza saperlo. Non credere alla morte

che in un'ora occasionale. Ora invece i morti li contiamo,

immaginiamo gli anni al loro doppio:

è muta la parola del cemento,

ogni creatura chiede un'attenzione nuova.

Ci rimane appena sulla pelle l'infinita

grazia di cercare.


                                                 ***


VORREI ESSERE L'INTRUSO


Vorrei essere l'intruso del mio tempo.

Scorgermi inatteso, ritrovarmi

dentro i giorni, i volti, i nomi.

( C'è - in ogni memoria - una donna. L'universo

ristretto nella carne, la maternità del mondo ).

Quest'aria intorno brucia nel tramonto:

dicembre sa sciogliere il cammino della neve, sa

attardarsi

in uno spazio di silenzi rarefatti. Qui

è ancora giorno. Lo colgo nel suo transito,

nell'annuncio, nei linguaggi del ricordo,

tra le permutazioni e le scomparse.

( Ci sono ore buone per i vocativi,

per le correspondances ).

Se la parola è nuda, luminosa,

sa spingersi oltre il chiuso della storia

e aprirsi al suo gorgo, riaffacciarsi :

la voce è il solo scarto, la rivalsa

- allude al vento, al canto delle cose

che non frena la luce, la contiene.


                                                       ***

LA SOMMITA' DEL DOLORE


Sono per te la sommità del dolore.

Il tradimento del sangue,

il gelo dell'attesa.

Sono la consuetudine dannata

che non si abbandona,

l'umido del pianto,

la morsa che stanca la carne.


( C'era  come una santità,

ed era tutta nelle stanze, nelle cose,

nell'ora tarda dove l'amore

pretende veglie pazienti, nel morire

poco a poco).


Ora ti rivedo impallidire,

riordinarti a fatica. Ora mi ferisce

il biancore, il tuo esitare, la tenacia quotidiana.

Chissà che suono avrebbe riesumarci,

osservare il passato dei frammenti,

riconciliarci nelle fibre

della vita che ci ha sperso.


                                                                ***

MI ARRENDO A QUESTA GRAZIA


Mi arrendo a questa grazia che non basta.

E' l'ombra paziente dei ricongiungimenti,

il graffio di luce inferto alla pellicola.

Disturbo il foglio, confido di trovarvi altro:

il canto di una casa che mi accoglie,

il racconto trafugato della nostra vita feroce

che ricordo, sempre.

Penso al prossimo tempo dei congedi,

mi costringo a una serenità ( che non so ),

mi proteggo.

Mi arrendo a questa grazia ( di dire ) che non passa,

la benedico.

Spero ancora nell'altra vocazione.

Vi aspetto dovunque abitammo

i nostri riti felici, e nel dirvelo

vi stringo.

Come posso.


                                                ***

ORA LO SO FEROCE...


 Ora lo so feroce questo scavo

dentro il legno, sopra una venatura

messa a nudo.

Ricordami però quant'è felice

la lingua che ritorna alla sua terra

per poi tradirsi sempre alla radice;

e quant'è necessario quell'abbrivo

se ancora - nel profondo - ci conforta.

( Lo sai già dall'inizio che ho da dirti

una pagina nuova, un altro chorus ).




                       Emanuele  Franceschetti   da  Le terre aperte



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