L'OCCHIO CORTO
Eventi da poco. Notizie prossime, come cartoline di saluti, come telefonate frettolose. Spettacolini per gli intimi. Giostre casalinghe. A volte - in poche righe - appare l'allegria, passa velata la morte. Una folla, in cammino verso il giorno o la notte, verso il ricordo o la dimenticanza, sosta dentro il presente.
Che vale di queste storie mentre il pianeta ruzzola e ruota, avanzano ghiacciai, si consumano le stelle, il tempo cambia di numero, si perpetrano orrori, si assolvono speranze?
Vengono certo da umori segreti, da attenzioni a minimi segni: passi brevi, desideri inseguiti, attese bestemmiate, rabberciate bellezze. Lacerti di un mondo spiato, intravisto da un occhio corto.
***
Vanno: mani, piedi, volti,
- sterminata moltitudine di attese,
di speranze, di uguali
per fame, per morte,
l'uno l'altro cercando
che rassicuri, impedisca,
tutti compiendo destini
variamente intricati,
mai cessando dentro le arterie,
fin dentro il riso o il grido,
la paura di essere cacciati
da un recinto indifeso.
***
Felice. Ma è possibile che questa felicità
- così colma - comprenda
anche tutti i disagi, tutti gli assilli?
Il sole alto sulla piazza, la folla svagata, i cani,
la violinista con l'orchestra nel registratore,
la vecchia dei fiori puzzolenti di orina. Tutto visto, sentito,
e il pensiero dell'amore assente
e il pensiero di essere vivo e breve.
Felicità e disperazione.
***
Traversare il dolore
come una stanza scura,
contando i passi, i fiati.
Cercare nel chiuso
un buco, una crepa,
perché non sia memoria
ma presenza
in quell'assenza di luce.
All'uscita sapere
che toccherà tornare.
E l'allegrezza ancora
aspettando l'assalto.
***
Esistere
senza disperare della brevità,
conoscendola come spazio e confine.
Ma vale ogni giorno.
Dentro la contentezza sapere che finirà.
***
In ogni spigolo o lembo,
dentro le viscere e il cuore,
s'aprono spazi imprevisti
e ancora abissi e cunicoli.
***
DOPPIO MOVIMENTO
Un albero, per appoggiarvi la schiena.
Stare là, senza pensieri, senza possessi.
Il mondo davanti, dietro, intorno.
Uguale al ramo. Alla foglia. Che importa
la tegola rotta, la stanza stretta?
Restare fino a che è dato,
senza orologio e senza calendario.
Chi ha deciso questa inquietudine?
Partire, tornare, tenere, trattenere,
quando basta poggiarsi a un albero.
Invece, nella sazietà
temere la fame, sospirare nelle contentezza. Così, da per tutto.
Non un attimo di sosta, sempre una guerra,
un contrasto. Profumi che diventano fetori,
polpe che infradiciano,
parole come baccelli svuotati.
Una barca fragile su un mare senza fondo,
l'ansimo nella corsa dell'atleta,
l'urlo dopo il traguardo.
Non sapeva e gli è toccato imparare.
A che è valso?
Continua, come se non fosse avvertito.
Si sveglia da sogni confusi,
si dice che oggi capirà.
Un istante e tutto si ripresenta,
uguale a ieri e a ieri l'altro,
lo stesso disagio, la medesima angoscia.
Quando è cominciato tutto questo?
Elio Pecora da Simmetrie
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