mercoledì 23 ottobre 2019

L'ALBATRO ( Diario di Tomasi di Lampedusa ) 4


Clinica Villa Angela
Lungotevere delle Armi 21, Roma
15 Giugno 1957

(…) E' la controra.La canicola balza feroce,svena le forze,s'abbatte
     - arraggiata - sulle poche teste ancora erette,non intorpidite dal
      sonno. Nessuno a quest'ora - a Palermo - e nel mezzo d'una
      estate così rapace, s'intestardirebbe a mettere il naso fuori di
      casa. Qui, invece, vedo persone passeggiare. Turisti indomiti
      che sfidano l'afa, studenti e militari in licenza che ignorano
      quanto male si nasconde nel caldo.
      Siamo a Roma, sbotto indifferente. La Sicilia è lontana.
      Io mi sono rinchiuso quasi al buio, fedele all'insegnamento di
      don Nofrio, che sfidava il caldo spegnendo tutte le lampade.
      Era così deciso a sconfiggere la calura che non concedeva
      tregua neanche alla luce. Continuo a scrivere con la città ai
      piedi, senza poter fumare neanche una sigaretta. E' un rituale
      lento. Procedo per gradi, lasciando che l'inchiostro affiori
      dalla punta della stilografica come una goccia di sangue.
      La clinica è silenziosa, gli infermieri hanno appena finito il
      loro giro, i pazienti si sono assopiti. Indosso la vestaglia rossa,
      mi metto un cuscino sulla testa e mi avventuro per i corridoi.
      Bisbiglio la frase capace di riesumare le ombre : " Vulissiru
      cunti di li barunie?. Vulissiru sogni de vossignorie?"
      Ma nessuno mi sente. Forse, nessuno vuole cunti.
      Eppure,il diario che mi ha regalato Licy mi chiama ogni giorno
      con una pietosa cerimonia. " Scrivi " , mi prega in silenzio, e
      quando le cose inscenano un appello così disperato, vuol dire
      una cosa soltanto.
      Che resta poco tempo.
      Sospiro.L'aria non riesce a spegnersi.La città annaspa, tremola
      dietro la minaccia del sole. Eppure è così bella.
      A Roma ho vissuto per la prima volta nel 1919. Venni per
      frequentare il liceo classico. Si trattò di una fuga. A Palermo
     imperversava il colera. Non restava che allontanarsi. La mia
     famiglia era terrorizzata dal colera: il bisnonno paterno, l'
     astronomo, era morto così. Era fuggito a Firenze troppo tardi,
    portando con sé la malattia in incubazione. Era talmente
    sorpreso di non aver ingannato l'epidemia, che chiese di essere
    sepolto con una tenaglia e un martello, per uscire in caso di
    morte apparente. Lo tumularono con la funcia ostinata, le mani
    contratte, in segno non di riposo, ma di imminente rivoluzione.
    Forse per questo in famiglia nessuno di noi ha mai pensato a lui
    come a un vero morto, bensì come a un trapassato provvisorio,
    sempre in procinto di svegliarsi e di tornare.  (…)


                                                                          ( continua )


                   Simona Lo Iacono   da    L' albatro


1 commento:

  1. Thank very much, my good friend, for your kind comment.
    In reality this topic is not concluded : there are still 3 diary posts and my book presentation.
    I therefore invite you to follow me in the coming days to see the conclusion : and I really hope you are happy!
    Greetings to you.
    Frida

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