(…) Se ripercorriamo la storia italiana negli ultimi sette decenni, incontriamo periodicamente momenti nei quali politici e intellettuali della sinistra, specialmente comunisti e socialisti, hanno denunciato il pericolo del fascismo, dove per fascismo essi non intendevano più soltanto il fascismo di Mussolini e neppure il neo fascismo dei suoi nostalgici seguaci ed eredi. Il fascismo di cui parlavano i comunisti e i socialisti era un nuovo fascismo, mascherato addirittura da antifascismo. Nel 1951 un autorevole esponente socialista, Lelio Basso, pubblicò un libro intitolato Due totalitarismi : Fascismo e Democrazia cristiana , per sostenere che " il vero pericolo di totalitarismo in Italia non è rappresentato dai nostalgici del neo fascismo, ma dalla Democrazia cristiana che allora presiedeva il governo del Paese con Alcide De Gasperi, un antifascista cattolico che si era opposto al regime fascista fino alla sua caduta. ( rammento che l'analisi risale al 1951 ed è ovviamente di parte, n.d.r. ). Certamente il giudizio di Basso fu condizionato dall'esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo dei democristiani dopo il 1947.Ma già all'indomani della liberazione, il 29 Aprile 1945, l'esponente socialista aveva denunciato l'esistenza di un nemico " più insidioso " del fascismo appena sconfitto, " cioè il fascismo camuffato e mimetizzato sotto spoglie anti fasciste e magari democratiche". Come si può vedere, furono soprattutto i comunisti a mettere in guardia contro la persistenza del fascismo nell' Italia governata dalla Democrazia cristiana. Palmiro Togliatti, segretario generale del partito comunista, sosteneva nel 1952 che " il fascismo, nel periodo attuale della nostra vita nazionale, è qualcosa di sempre presente, come pericolo e minaccia che incombe sopra di noi" perché " il proposito di tornare a una egemonia reazionaria del vecchio tipo, liquidando anche le forme della democrazia, è presente nel ceto dirigente capitalistico in misura più larga di quanto non si creda, nell'interesse della conservazione sociale in generale e dell'imperialismo americano in particolare. Per tutto questo il fascismo è tuttora presente come pericolo e minaccia seria, e bisognerà avere occhi aperti e animo vigilante per non essere travolti". (…) Emilio Gentile da Chi è fascista Nota :desidero precisare ai lettori che l'analisi di Gentile, pur essendo recente il testo ( pubblicazione dell ' Aprile 2019), non è applicabile alla politica dei giorni nostri, essendo troppo consistenti i mutamenti avvenuti in questi decenni e soprattutto nei tempi recenti. E che viene qui riportata solo come analisi storica, senza alcun riferimento ai Partiti politici sulla scena nazionale e internazionale ( alcuni dei quali sono scomparsi e molti altri sono di nuova costituzione, tali tuttavia da stravolgere il panorama socio- politico contemporaneo dove già diventa arduo definire i concetti classici di Destra e di Sinistra , le loro peculiarità e le relative appartenenze. ( f )
(... ) Se non vogliamo fare dell'astoriologia, non possiamo prescindere dal fascismo storico per definire chi è fascista, o usare il termine" fascista" per movimenti politici che non presentano affatto le caratteristiche peculiari,o hanno del tutto caratteristiche opposte del fascismo storico,cioè del fenomeno politico che ha impresso il suo marchio nella storia del Novecento, imponendosi in Italia negli anni fra le due guerre mondiali come partito- milizia, regime totalitario, religione politica, irregimentazione della popolazione, militarismo integrale, preparazione bellicosa all'espansione imperiale, e diventando un modello per altri partiti e regimi sorti nello stesso periodo in Europa, per finire poi travolto e distrutto dalla disfatta militare del 1945. Non possiamo accettare la formula astoriologica della " storia - che- mai- si ripete - ma sempre - ritorna- in altre forme. E neppure possiamo inventarci periodicamente una nuova definizione di fascismo, per denunciare chi è il fascista di turno. Se così facessimo, imiteremmo Karl Lueger,il popolare sindaco razzista e antisemita di Vienna dal 1897 al 1910,il quale affermava : " decido io chi è ebreo"; riformulando questa dichiarazione in modo diverso, allora si potrebbe dire : " decido io chi è fascista ". (...) Emilio Gentile da Chi è fascista
(…) L' onnipresenza della parola " fascista " e il suo costante ritorno, può apparire come la conferma dell'esistenza di un fascismo perenne, se non proprio eterno. Ma non si tratta di un effettivo ritorno del fascismo nella realtà storica, semmai principalmente e soprattutto di un uso sempre più elastico di questa parola. Lo notava già Benedetto Croce in un articolo pubblicato il 29 Ottobre 1944, intitolato " Chi è fascista? ", osservando che " nelle quotidiane polemiche, la qualificazione di " fascista " è lanciata e rilanciata assai spesso dall'un avversario all'altro.." Ma quella parola, nei modi in cui ora è adoperata, rischia di diventare un semplice e generico detto di contumelia, buono per ogni occorrenza, se non si determina e non si tien fermo il suo significato storico e logico". Croce citava ad esempio, come " da parte dei comunisti e socialisti italiani, il rifermento logico e storico della parola va - assai spesso - a liberali, cattolici- democratici o altrettali partiti non comunisti né socialisti rivoluzionari, ma professanti il metodo delle libere elezioni e delle legali votazioni e che perciò - come tali - vengono accusati, secondo che meglio piace, ora di " conservatori" ora di " fascisti "; e da parte di questi partiti la parola - per l'opposto - è rigettata in volto ai comunisti e socialisti rivoluzionari in quanto predicano il ricorso alla violenza e alla dittatura, sia pure sotto il nome del Proletariato invece che dello Stato e della Nazione. " (…) Emilio Gentile da Chi è fascista
(…) Dal tempo in cui Croce scriveva, l'uso della qualificazione di " fascista", nel linguaggio sia politico che accademico, è stato continuamente dilatato per abbracciare persone, movimenti e regimi a volte simili e affini tra di loro, altre volte differenti e persino opposti. Nel linguaggio politico corrente, il termine " fascismo" è universalmente adoperato sempre in senso spregiativo ( ad eccezione di chi fascista si dichiara ) come sinonimo di destra,controrivoluzione,reazione, conservatorismo, autoritarismo, corporativismo, nazionalismo, razzismo, imperialismo.Quanto alla parola " fascista", essa è onnipresente nel mondo in tutte le lingue come sinonimo di autoritario, violento, repressivo, razzista, maschilista: fascista è il padre che punisce, il professore che boccia, lo studente che bulleggia, il vigile che multa, l'arbitro che non è imparziale. Ma per restare nella dimensione politica, è da un secolo che il termine viene riferito a chiunque usi la violenza contro gli avversari politici, trattandoli come nemici irriducibili, con i quali nessun compromesso, tregua o pace è mai possibile, ma solo una lotta spietata fino al loro annientamento.In altre parole, è fascista chi concepisce la politica non come un confronto pacifico fra avversari, ma come un conflitto fondato sull'antitesi irriducibile amico - nemico. Ma allora dobbiamo chiamare fascisti tutti i rivoluzionari che tali sono perché concepivano la lotta politica come una guerra civile all'interno di uno Stato, per spodestare una classe dirigente, abbattere un regime e costruirne un altro con una nuova classe dirigente formata dagli stessi rivoluzionari. (…) Emilio Gentile da Chi è fascista
(...) Nel caso del fascismo è proprio la parola che rende complicato indagare la cosa, perché con la stessa parola sono state denominate cose diverse, come molto diverso è un movimento politico che propugna una democrazia libertaria antistatalista, da un partito armato che effettivamente conquista il potere e istituisce il totalitarismo di un regime a partito unico. Il fatto che il fascismo in Italia sia stato prima una cosa, e poi l'altra,rende necessario indagare l'origine storica della parola. Infatti, fu subito dopo l'ascesa del fascismo al potere che il sostantivo e l'aggettivo con cui si designa il partito e il regime che avevano a capo Mussolini ebbero una rapida diffusione fuori d' Italia e furono adottati in tutte le lingue, non traducendoli, ma adattandoli ai loro lessici. Ma perché questa parola è stata adottata in tutte le lingue? Le risposte possono essere tante quanti i paesi, le lingue, le storie, le circostanze e i contesti in cui la parola fascista è stata adoperata, al di là dell'insulto occasionale. Possiamo partire dalla singolarità di questo vocabolo politico " fascismo ", entrato per la prima volta in circolazione nel corso del 1919, rispetto agli altri principali termini usati per definire i militanti, gli aderenti, i simpatizzanti dei movimenti politici contemporanei. Se dico: sono democratico, liberale, nazionalista, socialista, comunista, anarchico, basta questo aggettivo per far capire quale sia la mia ideologia politica, perché questa è comprensibile fin dall'etimologia della parola: il democratico vuole il governo del popolo, il liberale la libertà individuale, il nazionalista la supremazia della nazione, il socialista l'eguaglianza sociale, il comunista la comunione dei beni, l'anarchico l'abolizione del potere. l vocabolo " fascismo" se non lo riferiamo esplicitamente e direttamente al fascismo italiano con a capo Benito Mussolini, non esprime di per sé alcuno scopo politico, salvo quello di unire in un fascio. (...) Emilio Gentile da Chi è fascista
(...) Secondo il significato etimologico, può essere chiamato " fascista "qualsiasi gruppo di persone che si associano formando un fascio ( fascio di verghe legato da corregge con una scure inserita sopra o di lato, che veniva portata dai littori che accompagnavano i magistrati della repubblica romana, n.d.r. ) per perseguire un qualsiasi scopo che sia sociale, politico e persino pedagogico. Fascista potrebbe allora essere chiamata anche la repubblica degli Stati Uniti, perché il simbolo del fascio littorio campeggia nell'aula del Congresso, affiancata da statue di George Washington come a sorreggerlo; si staglia su molti edifici federali ed è impresso sulla moneta di un quarto di dollaro dove il fascio è sormontato da un'aquila imperiale con le ali spiegate. E lo stesso si potrebbe dire di altri paesi occidentali,che hanno il fascio littorio fra i loro simboli. Se, al di là dell'uso del simbolo, la parola " fascista " evoca il richiamo alla romanità, potremmo egualmente attribuirla ai padri fondatori degli Stati Uniti come ai protagonisti della Rivoluzione Francese,che furono i primi - agli albori della storia contemporanea - ad ispirarsi politicamente alla romanità. Ma pare che nessuno di coloro che oggi parlano di fascisti, oppure vanno alla ricerca di chi è fascista,abbia indicato il fascio littorio e la romanità come caratteristiche peculiari,se escludiamo quelli che tali si definiscono richiamandosi direttamente al fascismo di Mussolini e al mito fascista della romanità. (...) Emilio Gentile da Chi è fascista
( da francesca a frida ) E lei mi disse : parlane. E io dirò di un buco nel petto e di un soffio basso a soffocare mentre fingo di dormire. Di un'ombra che vado cercando senza più quiete e di un suono che sento muto ora che non sei più e che mai vedrò ritorno. frida
Canzone che dice torna a chi è troppo lontano.. IL bosco dei capelli, il tuo capo posato sulla mia spalla - addormentata tra un paese e l'altro del Belice: attrice delle notti di vino e risate - le prove filate, la luce scura di Gibellina Nuova, correvi come un fiume nuovo nel secco quando l'estate cede il passo all'autunno. *** Non riesco a liberarmi del fantasma del tempo troppo lungo e del lampo di quel sorriso che quella sera mi chiamava da una casa a Letino : dopo - solo notti stoppose, veglie d'armi inutili, giornate di vento. *** Nella casa che fu nostra la tua tristezza pure danza: costa sempre tanto lasciarsi qualcosa alle spalle e non voltarsi- fare il verso alla morte che vola nell'aria a prima sera, chiudere la porta con la mano tenendo lo stipo, attendendo un minuto ancora. *** Era forse l'amore quel dio recato dal vento caldo dei campi, ci sfiorò nella notte, all'oblio d'entrambi ci condannava per anni, contrappasso crudele alla nostra cecità quel vedersi ogni sera e non sapersi amare se non a parole vaghe, gesti lontani - soffi di quella notte sul divano a Letino, che - ora so - fu d'amore. *** La rondine di ogni anno pizzica il cordino e fa vibrare una musica antica - una canzone che dice torna a chi è troppo lontano, a chi con la mano ha detto addio al paese, a chi ogni mese segna sul calendario un giorno d'oro. *** Abbi pietà del cuore, soccorso di cielo e terra, vento che ti desta alle sei del mattino, campanello della sveglia: misericordia è anche pugnale lungo che mette fine alla vita sofferente - abbi pietà del cuore della terra e del cielo che sono negli occhi del cane davanti alla chiesa. Nicola Grato da Inventario per il macellaio
" Una donna che si crede intelligente reclama gli stessi diritti dell'uomo. Una donna intelligente ci rinuncia " ( Colette ) (…) Mi piace come scrive questa donna: è un piacere immediato, senza " perché ", ma voglio comunque scommettere su una spiegazione. Colette ha trovato un linguaggio per esprimere una singolare osmosi tra le sue sensazioni, i suoi desideri, le sue angosce e l'infinito del mondo: sbocciare di fiori, palpiti di bestie, apparizioni sublimi, mostri contagiosi. Un linguaggio che trascende la sua esperienza di donna nel mondo, vagabonda o condizionata, libera, crudele o sensibile. Lo stile coniuga le sue radici rurali e il suo accento borgognone, alleggerendoli in un'alchimia che continua ad essere per noi misteriosa. Come accade spesso,Colette ci fornisce un racconto condensato al centro del quale - non sempre citata - c'è Sido, la madre e una sorta di amore come orizzonte. L'ultima lettera di Sido, ellittica e raggiante di gioia, si rivolge a Colette chiamandola " amore mio ". Ma la figlia, che si è appena liberata dalla pesantezza dell'amore per celebrarne solo la " leggerezza ", non è sciocca : " questa volta mi faccio scrupolo di rivendicare per me sola una parola così ardente. E' circondata da lineette, svolazzi di rondine, volute vegetali, dai messaggi di una mano che tentava di trasmettermi un alfabeto nuovo, o lo schizzo di un paesaggio intravisto all'aurora, sotto raggi che non avrebbero mai raggiunto lo squallido zenit " ( " La naissance du jour ", n. d. r. ). (…)
(..)Di fronte a questo alfabeto solare, un altro alfabeto - mostruoso questa volta - : una Colette notturna esplora gli abissi delle nostre identità, che definisce un " nauseabondo caos senza inizio né fine, ma di cui certi arabeschi si leggono come lettere dell'alfabeto ( "Prisons et paradis" , n.d.r. ). Parte integrante dell'impero dei sensi e di quella sensualità femminile da lei definita " più diffusa dello spasmo, e più di quello, calda, ( "Il puro e l'impuro," n.d.r. )la scrittura di Colette li formula con un'intensità e una misura che trasformano i suoi stessi testi in un" possente arabesco di carne,una cifra di membra mescolate, un monogramma simbolico dell' Inesorabile " A più riprese, nel corso dei suoi libri, Colette ritorna su un'idea che mi sembra centrale nella sua opera : la scrittura è una compenetrazione tra la lingua e il mondo, tra lo stile e la carne, che le rivela l'universo e i corpi come un arabesco. Il linguaggio è sentito come una " selvaggia melopea " che imprime la sua seduzione ai frutti, agli utensili e alle stoffe… In quest'esperienza sensuale, le metafore sono aromatizzate con sonorità venute da altri luoghi : " Quando le parole non sono abbastanza belle, la lingua d'oc le insaporisce " ( " Provence ", n.d.r. ). Per dare consistenza alle sue pietanze, Colette le insaporisce con molto aglio, il condimento apprezzato al sud. Il gusto delle parole e quello degli alimenti realizzano la stessa segreta alchimia: " Se lei non è in grado di fare qualche stregoneria, meglio che non si occupi di cucina". Strega, Colette ? O modesto giardiniere ( al maschile )dell' alfabeto del mondo ? Essere definita " scrittrice " le è sempre parso insufficiente. Falsa modestia? Orgoglio smisurato?. Né l'una cosa né l'altra: lei sa da subito che la sua lingua assapora l'universo per rifarlo. Lanciata in una lotta accanita per imporre la sua libertà di donna e la sua firma di scrittrice, e prima di essere premiata da un successo tra i più accademici che esistano, Colette impone nella letteratura francese una sensualità che sfida l'inibizione più o meno casta della gente per bene, senza rivendicare però un erotismo trionfale, nel quale si distingueranno le sue consorelle dette " liberate ", né - all'opposto - un pudore dolorista più convenzionale. Provocatoria, scandalosa per l' audacia dei suoi costumi e del suo itinerario, questa donna seducente rifiuta di rinchiudersi in qualsivoglia militantismo e non predica alcuna trasgressione. Arriva a dare alla sua esperienza di libertà senza complessi il linguaggio di una profusione governata da una retorica classica, che rimanda i lettori moderni alla serenità del miracolo greco. (…) Julia Kristeva da Colette ( Vita di una donna )
ARTE IN ESILIO - E' il dramma di un uomo diviso fra l'amore per la Poesia e per una beghina ( suora ) - (..) Giovanni allora si alzò e andò a guardare dalla finestra aperta: pensava a quella sua vita tetra, accanto alla vecchia mamma, in una città fiamminga abbandonata e deserta dove si ritrovava solo, a pensare e a scrivere, simile a una fioca lucerna vivente che non faccia luce e si consumi da sé; e con la sua sensibilità di poeta, provava l'impressione di essere fra stranieri, in terra d'esilio. Del resto, quella era l'ora perfetta, l'ora più bella del giorno, l' ora dell'agonia delle luci, quando la sera cade lentamente, il sole muta il sanguigno dei suoi raggi in un rosso rosato e lontano e a uno a uno si accendono i fanali - soli soli - come anime. Una pace mortuaria, una volontà di silenzio, una rinuncia alla vita pareva emanasse da quei tetti letargici o dall'agonia sonora di una campanella che, dall'alto della sua torre, abbandonava al vento i suoni, come una scia di fumo. (…) *** (…) L'enorme silenzio che ricadde sulla chiesa lo distolse da quel sogno, e bruscamente egli uscì, e rimase in attesa, fuori dalla porta, con la speranza di vedere quella beghina che gli aveva così toccato l'anima; infatti poco dopo, una forma nera, scivolando a passo di danza nell'ampia tonaca, apparve : era una donna giovanissima, una figurina esile e senza petto, col viso pallido e sofferente, d'un pallore di fiori bianchi che si sfanno. La sua cuffia rigida, inamidata, le sporgeva a tettuccio sulla fronte. Ma gli occhi,soprattutto gli occhi di quella vergine triste, turbavano: occhi larghi, grandi, del colore di un vecchio pastello, d'una tinta molle e delicata, eppure fissi e suggestivi come gli occhi delle lune d'inverno. (…) *** (…) Che ebrezza capire i capolavori,e quella prima comunione con i poeti che tramandano in eterno le divine menzogne del genio! Li conosceva tutti, li studiava, e voleva loro bene. E anch'gli, a quei ricordi, si sentiva animato da emulazione, sentendo in sé il tormento del genio e la volontà di creare il capolavoro. La gloria, ha i suoi aspetti di vanità e di puerilità, ma che importa?La gloria! Pensate: penetrare anime estranee, essere amato da amici sconosciuti, sapersi letto dalle donne e rivelarle a se stesse; sentire il proprio nome sussurrato quando si passa per la via;essere seguito per le strade- come accadeva a De Musset, nel tempo della giovinezza e gloria! Eppure, come avrebbe voluto amare! Trovare la sposa bianco vestita che egli aveva invocato nella sua prima giovinezza! In quell'abbandono, sarebbe stata una salvezza incontrare un' anima fine, sensibile, che avesse l'intuito di indovinare i suoi pensieri e le sue predilezioni, un'anima che egli avrebbe formata e portata all'unisono con la sua ! Ma presto si accorse che l' non avrebbe mai trovato quella che cercava, a cui tendeva le braccia nell'ignoto. (…) *** (…)Giovanni aveva voluto l'amore senza denaro,la fanciulla eletta, conquistata attraverso tanti ostacoli; e la piccola suor Maria, l'ex beghina della Casa dei Fiori era là,davanti a lui, viaggiava con lui, era sua moglie, tutta per lui! Giovanni adorava il mare, il mare del Nord - soprattutto - che non civetta sulla spiaggia in veste d'acqua azzurra con ricami di spuma; il mare del Nord, tragico e scontento, senza isolotti o scogli a fior d'acqua, il mare nudo e vergine, color dei cieli di novembre e delle pietre sepolcrali, di un grigio inalterabile e implacabile. Ma Maria stava ad ascoltare senza gusto e guardava appena l' immenso paesaggio liquido che le si agitava davanti: non c'era da dubitare che quell'infinito le sfuggiva mentre - curiosa - si chinava sulla sabbia a raccogliere le conchiglie e le foladi erbose di varech. Ogni volta che parlava, Giovanni provava la dolorosa impressione di dover spiegare le sue sensazioni, commentare il suo pensiero, abbassare di tono il suo sogno, attenuare i gorgheggi acuti dell'anima sua, perché Maria non lo seguiva nelle sue idee raffinate. Così, quando alla fine del mese lasciarono la cittadina marina, Giovanni avvertì un'inquietudine al pensare che nella vita di un artista la donna può non essere una voce che parli, ma dev' essere almeno un'eco che risponde. Trascorso qualche mese dal matrimonio, Giovanni cominciò a credere d'aver fatto male a sposare la piccola suor Maria : era come le altre. (…)
***
(…) Ogni sera Giovanni, dopo cena, le leggeva qualcosa, a voce bassa: per lo più versi di Hugo, e più spesso, di Baudelaire, ma ogni volta doveva accorgersi che ella non sentiva o ascoltava appena. Egli aveva sognato di vivere con lei come con una compagna più giovane da iniziare alla poesia,e invece se la ritrovava estranea ai bei versi, alle grandi musiche, senza il dono di impressionarsi e vibrare - in comunione con anime fraterne - di uno stesso brivido. Un giorno Giovanni le parlò persino di quello che aveva scritto: le disse come avrebbe finito quel suo poema tutto facciate nere e chiaro di luna,e quali erano le sue speranze per quando sarebbe stato pubblicato. Maria lo ascoltava tutta contenta, con l'aria di partecipare alle sue chimere; poi, ad un tratto - e senza malizia - ingenuamente gli chiese : " E quanto guadagnerai col tuo libro ?". Il poeta non rispose nulla, diventato di botto triste e silenzioso, sentendosi quella parola cieca e fredda nel cuore, come una coltellata. Non c'era dubbio: ella era come le altre, non sapeva immaginare una sublime abnegazione: ella che - pure - aveva capito la generosa follia del Crocifisso non sapeva comprendere la follia dell'Arte. A lei, come ad altri, quello sforzo disinteressato doveva sembrare una pazzia! Era forse colpa sua se l'arte,la sua arte di scrittore,non le dava nulla, in un paese dove non si legge? (…) da Arte in esilio *** DENTRO AL TUO AMORE ENTRO COME IN UNA CHIESA Dentro al tuo amore entro come in una chiesa : vi aleggia un velo azzurro di silenzio e d'incenso. Non so se gli occhi miei s'ingannano, ma sento celesti visioni che il cuore mi angelizzano. E' te che amo oppure amo l' Amore? E' la cattedrale o piuttosto la Madonna? Che importa! Se commosso il mio cuore s'abbandona e vibra al rintocco sulla cima della torre ! Che importano gli altari, che importano le vergini, se là dentro - scesa la pace della sera - sento un po' di te che all'organo dello jubé canta qualcosa di me che dentro ai ceri brucia. Georges Rodenbach
Malinconia d'ottobre per tutto quello che non ho... SOLE D' OTTOBRE Godi: non hai nella memoria un giorno più bello, un giorno senza nube come questo. E forse più mai ne sorgerà un altro così bello, pe' tuoi occhi. Se pur l'ultimo fosse di tua vita - l'ultimo, donna - siine contenta: rendine grazie al destino. E' così pura questa gioia fatta di luce e d'aria : questa serenità ch'è d'ogni cosa intorno a te, d'ogni pensiero entro di te: quest'armonia dell'anima col punto del tempo e con l'amor che il tempo guida. Non più grano né frutti ha ormai la terra da offrire. Sta limpido l' Autunno sul riposo dell'anno e sul riposo della tua vita. Il fisso azzurro,immemore di tuoni e lampi, stende il suo gran velo di pace sulle rosseggianti chiome delle foreste; e il sole il cuor t'accende come fa con le foglie che non sanno d'essere presso a morire. E tu -che sai - tu non temi la morte. Ora che il grembo non dà più figli, e quelli che ti nacquero a' tuoi begli anni già son fatti esperti del mondo e vanno per le loro audaci vie, che t'importa morir? Quand'è falciata la spiga, spoglia la pannocchia, rosso il vin nei tini, e le dorate noci chiaman l'abbacchio, e fuor del riccio scoppia la castagna, che importa la minaccia dell'inverno alla terra? O veramente tuo questo tempo, o donna : o tua compiuta ricchezza ! O, fra due vite, la caduca e l'eterna, per te libera sosta di grazia! Godi, fin che t'è concessa. Non sei più corpo, non sei più travaglio: solo sei luce: trasparente luce d' Ottobre, al cui tepor nulla matura perché già tutto maturò: chiarezza che della terra fa cosa di cielo. Ada Negri da Il dono