mercoledì 16 novembre 2022

I FUOCHI COMPLICI DI ERCOLANI



                                                            Una lieve follia entrava in te...



" Alcuni giovani poeti hanno interrotto volontariamente la loro vita e quella fine è sempre presente nei pensieri dei sopravvissuti. Morire - naturalmente - non è meglio di vivere. Ma chi interrompe la sua vita e ha a che fare con la poesia, deve vivere una doppia incandescenza : quella del suo dolore personale e quella della vocazione poetica. La poesia, come la vita, non immunizza, non protegge : espone. Ci consente di usare il linguaggio come una bomba innescata e non come un abito da cerimonia. Questo ci insegnano quei poeti disperati e imperfetti ( di cui di seguito sono trascritte poesie ). Non si tratta di un cimitero di lapidi spente, ma di un semicerchio di fuochi sempre accesi. E' ancora possibile che chi soffre troppo insegni qualcosa a chi soffre poco, e gli suggerisca che l'assenza di dolore non è un'insperata fortuna ma, talvolta, un'assenza di passione vitale. Se questo è un tempo difficile per la poesia, lo è per viltà e miseria morale : la maggioranza dei poeti non custodisce nulla al di fuori dei prossimi libri da offrire ai recensori. Le lettere di Marina Cvetaeva, gli appunti di Paul Celan, le prose di Amelia Rosselli non erano l'elenco dei prossimi libri da stampare, ma il segno, ardente ed esatto, che a loro, poeti del loro tempo, toccava un compito, che è identico nei secoli : custodire la poesia come cosa urticante, aspra, inattuale. Le vite interrotte dei giovani poeti lo testimoniano ancora, benché sia forte il rimpianto per le loro opere future, rese impossibili dalla morte fisica. Ma questo conta meno. Pur non promuovendosi più sul mercato letterario, questi poeti tengono acceso il fuoco che serve a noi per vivere ancora la poesia come stupore per la parola. Né loro né noi siamo diventati classici da antologia, licheni da museo, argomenti per tesi di laurea. Ma di quella dolorosa energia e di quel tragico destino, che in certi casi ha i tratti della follìa, non dobbiamo e non possiamo fare a meno."  ( M. Ercolani  )





MARCO AMENDOLARA  ( La passione prima del gelo. Poesie 1985-2008 )


Con un ghigno soave e sinistro

i cadaveri precipitano nel vortice

indicando in lingua sconosciuta

ai vivi la terra destinata.

Era tutto orto, lo spazio

che ti abitava:

le radici, le piante, le acque

che sgorgavano piano e formavano

piccole pozze; i vari volatili;

gli alberi, più lontano: nespoli, fichi

e oltre, la vigna.

Una lieve follia entrava in te,

corpo di molte presenze.



                                                    ***


NADIA CAMPANA  ( Verso la mente )


Ho fatto un grande sogno ma non ne ricordo

niente babbo amiamo le teste bruciate

dell'amore ma non la misericordia e

i chiodi come coltelli di gelosia

tra poco cadrà la strada su di te

spergiuro sulla mia infanzia scrivo

lettere, se non mi dai da mangiare

i capelli mi diventano come crine

e come un fucile. Notte di lupi

sprangare l'angelo del vento

qui è la piega

dove non sarà nuovo morire.



                                            ***


SIMONE CATTANEO  ( Nome e soprannome )


Se appoggio le mani al viso

gli occhi non seguono la mia ombra,

e le soglie di spiagge e di pelle

che leggero attraverso

indicano i confini di vento di mio padre,

nemmeno i polmoni sembrano ricordarsi di te

e mi mordo le gambe e ho voglia di urlare,

di schiarire almeno le spine del mio nome

di sentire il sole bruciare

sulle costole delle mie parole.

Non luogo a procedere.

Guardo dalla finestra di casa lo scheletro di una lavatrice

partorire sotto i platani del viale una nidiata di conigli elettrici,

alzo la testa e vedo un soffitto di stagno rosso arancio

sbilanciarsi in avanti con rumori assordanti, cammino rasente i muri

con la  paura di inciampare nel materasso di lana arrotolato e

fracassarmi di nuovo la clavicola.



                                            ***


LORENZO PITTALUGA  ( Sono la foce e la sorgente )


Le scritture, le mie, naturalmente

nate postume, celano la forma

del riposo, del denso incantamento.

Versi da gogna nati per non restare,

per morire embrioni innalzati

dal mio cestinato orgoglio.

Leggimi di notte come io scrivo,

fallo pietosamente, con indulgenza,

perché, lo sai, sono nato sfinito.

Diritta non è la mia strada,

confuse le orme. Sulla selce,

calciato, il mio volto incancrenito.



                                       ***


CLAUDIA RUGGERI  ( Inferno minore )


questa che ora interroga, t'arrovescia

l'inizio : t'avviva a questo Inverso

cui un dio non corrispose ; tu sei

l'oggetto in ritardo, l'infanzia persa

su tutte le piste, l'incrocio rinviato; sei l'amnistia

dell'idioma viaggiato

volli

la fine dell'era delle streghe volli

il chiarore di chi ha gettato gli arnesi

di memoria di chi sfilò il suo manto

poggiò per sempre il libro.





                  Marco Ercolani  da    Fuochi complici


                   

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