La cura di Montieri non è consolatoria e non è una panacea. La medicina poetica ma non sentimentale è il disincanto etico di chi può comprendere il dolore degli altri a partire dal proprio. E' la consapevolezza terminale che tutti i dolori sono uguali per chi li soffre, quelli grandi e quelli piccoli; quelli storici e quelli privati.
Le vecchie sedute fuori dai cortili
sulle spalle scialli fatti a mano
il pettegolezzo mischiato alla preghiera
assolvere o benedire ogni passante
tessevano ricami delicati, uncinetti
uccidevano una donna in tre parole.
***
Ai funerali di mio nonno non ho pianto
e tutti a chiedersi : ma come lui non soffre?
Domanda lecita, pare fossi il nipote preferito
da noi se non piangi, non urli, non ostenti
vuol dire che non ti importa
ora vivo al nord, il dolore qui è privato
la sua mancanza che non racconto
che non dichiaro.
***
O tutte le volte che hanno ammazzato
( chi sorridendo, che tradendo ) mio padre
non capivano un mondo che veniva giù
sabbia sotto l'onda
smettevano di parlare per rispetto:
paura che una parola detta male
ferisse chi moriva. Rinunciavamo.
***
La morte a noi ci è sempre stata intorno
sepolta a tradimento sotto casa
aggiunta lentamente al nostro cibo
sui nostri pochi alberi, le panchine
le vecchie linee dei tram interrotte
binari arrugginiti, treni troppo lenti.
***
Non pensare che fosse indifferenza
la nostra piuttosto un modo di vivere
le cose così come si vivono :
tutte insieme, una per volta.
La sparatoria dietro l'angolo
la partita di calcetto i compiti da fare,
poi uscire la sera, il bar, la storia di tutti
tutti tornavano a casa per cena.
Gianni Montieri da Avremo cura
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