MALATI SECONDO SONTAG ( Scrittrice americana nota per il suo impegno nella ricerca e a livello civile ).
(…)Alla fine degli anni Settanta, Susan Sontag scrisse un pamphlet
( Malattia come metafora. Cancro e Aids ) per ribellarsi all'idea
della malattia come metafora, affermando che " non c'è niente
di più primitivo che attribuire ad una malattia un significato",
poiché tale significato è inevitabilmente moralistico".
Un libro importante, che ha influenzato tutti i successivi studi
nel campo della medicina sociale e della psicologia medica.
Sontag ci mette in guardia dal pericolo di metaforizzare la
malattia ma,rivolgendo il suo pensiero tagliente a malattie molto
diverse tra loro, corre il rischio di generalizzare.
Ha però ragione quando afferma che " persino i nomi di queste
malattie sembrano avere un potere magico ".
Nel primo romanzo di Stendhal, Armance , la madre del
protagonista si rifiuta di pronunciare la parola " tubercolosi"
perché - pronunciandola - teme di affrettare il corso della
malattia del figlio. Questo romanzo è ambientato all'epoca della
Restaurazione, ma anche agli inizi degli anni Ottanta, quando
mia madre si ammalò di cancro, erano molti quelli che
preferivano dire che " aveva un brutto male".
Quindi,è anche grazie al libro di Sontag se il potere ingannatore
delle metafore applicate alle malattie è diminuito. Ma le
metafore, anche quelle che non ci piacciono, fanno parte di noi.
E' difficile pensare al " mal sottile" della Signora delle Camelie,
all' Aids di Foucault, all'epilessia di Dostoevskij, alla psicosi di
Van Gogh e al cancro di Terzani ( " Ormai mi incuriosisce di
più morire. Mi dispiace solo che non potrò scriverne "), senza
la scia di metafore che queste diagnosi portano con sé. E pur
prendendo le distanze dalle dimensioni collettive della metafora,
non possiamo ignorare che le malattie sono anche metafore e
rappresentazioni personali. Eppure Sontag è irremovibile:
nessuna metafora,nessuna mitologia,nessuna psicologia,nessuna
interpretazione. L'immaginario della malattia - dice - non fa che
peggiorare la vita del malato e spesso è più difficile da debellare
della malattia stessa:
" Si parla della malattia come di qualcosa che ti dona nuova
profondità. Io non mi sento più profonda, mi sento appiattita.
Sono diventata oscura a me stessa "
Vittorio Lingiardi da Diagnosi e destino
Condivido che bisogna dare il nome alle cose, anche quelle che ci fanno paura e ci mettono a confronto con realtà dolorose, sia se ci riguardano in prima persona sia se coinvolgono persone amate, anche se occorre distinguere, perché la malattia è personale, spesso le persone sane, familiari compresi, credono di capire, di sapere cosa è meglio, mentre non hanno la più vaga idea di cosa significa vedere il proprio corpo cambiare e non rispondere come si vorrebbe, di cosa significa convivere con il dolore h24... Capita che la gente incontra qualcuno che conosce che si è ammalato e chiede "come stai?" è, se il malato non ha voglia di liquidare subito l'altro con un formale "sto meglio o bene", non veritiero in molti casi, e risponde qualcosa di più vicino alla realtà, all'improvviso scatta nell'altro un meccanismo di difesa o egocentrismo che lo porta a parlare di sé, con frasi tipo "non me ne parlare, quando ho il mal di schiena/testa non riesco a fare nulla e vorrei sparisse all'istante!", cosc che il malato si arrende e lascia la scena all'altro, che evidentemente non vuole ascoltare la verità che lo spaventa... Non mi trovo d'accordo con Sontag quando afferma che la malattia non ha un significato, come fosse un incidente di percorso che non ci riguarda, perché noi siamo esseri umani con un corpo mortale che può, per le più svariate e più o meno conosciute cause, ammalarsi e morire. A nessuno piace ammalarsi, soffrire e morire, ne faremmo volentieri a meno, però prima o poi siamo chiamati ad affrontare anche la parte meno attraente della vita ed è un'esperienza che ci coinvolge a 360 gradi e il COME la viviamo fa davvero la differenza, quindi ha significato, diverso per ciascuno di noi, impossibile generalizzare, ma altroché se ha un significato...
RispondiEliminaMolto pertinente ed esaustiva la tua osservazione, ma non penso che la Sontag volesse escludere a priori e interamente la parte affettiva da in processo di malattia fisica.
RispondiEliminaE d'altronde, come si potrebbe ? Il binomio psiche- soma è inscindibile.
Credo volesse dire che non bisogna andare all'esasperata ricerca di " ragioni" che colpevolizzino in qualche molto il malato ( come se in qualche modo quella malattia se la fosse cercata o meritata. Del resto, quante volte abbiamo sentito persone dire-di fronte ad un dolore o ad una malattia - : " Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo? ".)
Inoltre, per quanto riguarda le malattie trattate dalla scrittrice ( che sono essenzialmente : tubercolosi, cancro e Aids ), mi sembra che si possa facilmente incorrere in questo equivoco. ( A parte l' Aids- che subisce ancora una sorta di criminalizzazione per l'aspetto sessuale che comporta ), sono ormai innumerevoli gli studi che assegnano una componente emotiva ( quindi psichica ) anche per quanto riguarda l'insorgenza del cancro ( il discorso è molto interessante e meriterebbe un dibattito a sé ), come sarebbe a dire: " Non ho esercitato un sufficiente controllo sulla mia mente" ( sono stato debole, mentre avrei potuto essere altrimenti )e quindi il male mi aggredisce attraverso il corpo ( e in quest'ambito non posso farci niente.
Insomma: niente atteggiamenti isterici che vadano a sovrapporsi a chi il dolore lo subisce già, aggravandolo.
Grazie per il tuo intervento
Concordo, colpevolizzare il malato è sbagliato, inutile e anche dannoso, tuttavia accade ancora che, quando non si comprendano le cause dei disturbi fisici di un paziente o se non risponde come ci si aspetta, si scarichi sui malati la responsabilità e si attribuisca le fin troppo "semplici" cause di ansia e depressione, smettendo di farsi domande e di cercare le risposte...
EliminaL' ansia e uno stato di depressione possono aggravare la sensazione di malattia, e qualche volta ne sono la causa . Parlo dei disturbi " psico- somatici veri,conclamati e diagnosticati dopo serie indagini , non quelle " diagnosi" sbrigative e superficiali che servono a colpevolizzare ( il più delle volte ) il malato e al medico a togliersi di torno pazienti scomodi.
RispondiEliminaGrazie perché mi dai modo di intervenire in prima persona su un aspetto fondamentale della nostra vita e che - poco o tanto - riguarda tutti.