" Fu data a tutti l'opportunità di morire perché a tutti suonasse più gradevole il vivere " . ( Claudio Mario Vittore, poeta cristiano del V sec. )
(…) Riguardo agli Stati che ammettono l'eutanasia e il suicidio
assistito, scelsi la Svizzera d'istinto, senza pensarci, me ne
appropriai quasi con foga e se guardassi bene dentro di me,
forse di motivi ne troverei di sfuggenti, ineffabili, legati al fatto
che in qualche modo oscuro è tutta la vita che danzo con la
morte: sui fronti di guerra, negli obitori, negli ospedali, nei
paesi flagellati dalle epidemie, nei campi profughi, su certi
tratti di mare,insomma in luoghi dove la morte è molto presente
e molto affamata. Qualcuno mi ha detto che lei continua a
chiamarmi con un'insistenza che dovrebbe farmi preoccupare,
qualcun altro che sono io a cercarla, spinto da una strana
ossessione, o per meglio dire a cercarne le manifestazioni, a
volerne vedere i mille volti, come per conoscerla in anticipo e
accoglierla come si deve quando verrà per me.
Forse tutto questo sottende qualcosa di patologico, eppure in
un certo senso vivere non è altro che morire un giorno alla volta
e tutti noi - credo -ci portiamo la morte dentro, o perlomeno io
sono convinto di avercela : è sempre lì, una specie di cellula
dormiente, un cromosoma spento, una presenza congenita nel
subconscio come l'omosessualità latente. Cercarla, volerla
vedere, esserne al cospetto forse è un atto liberatorio,catartico,
una variante dell'outing.
Sento anche di dover confessare - soprattutto a me stesso - che
forse , " forse" volevo essere testimone di una modalità di
rapportarsi alla morte anomala, e per me in un certo senso
inedita: coloro che avevo visto morire combattenti e i civili sui
campi di battaglia in Afghanistan, in Iraq, in Somalia, in Libia
e in così tanti altri posti da averne perso il conto, la ragazza
madre stroncata dalla malaria in Sudan meridionale perché il
chinino non era arrivato in tempo, i malati di ebola che per le
strade di Monrovia affogavano nel loro vomito sanguinolento,
quelli che nelle periferie dimenticate del pianeta soccombevano
a malattie che altrove si sarebbero potute curare in pochi giorni,
il tossicodipendente di Kabul che negli ultimi istanti di vita
aveva lasciato i segni delle unghie nel mio avanbraccio, il
giovane fuori Bagdad, poco più che un ragazzo,col basso ventre
maciullato da una mina antiuomo che gemeva e mentre la vita
lo abbandonava continuava a ripetere " non ho mai scopato",
tutti, mentre morivano erano terrorizzati e disperatamente
aggrappati alla vita, con lo sgomento negli occhi increduli che
fosse giunto il momento di doverla lasciare . (…)
Sergio Ramazzotti da Su questa pietra ( Storia di un uomo che andava a morire )
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