(...) Per dedicarci all'amore e viverlo appieno, è necessario non avere troppa paura del dolore. Dovremmo cioè imparare a conoscere la solitudine e l'abbandono, ma anche a provare sulla nostra pelle il senso di vuoto e la noia. Saper bastare a se stessi significa non avere paura di stare soli e non aver sempre bisogno dell'approvazione altrui. Vuol dire non chiedere sempre conferme, non entrare in una lotta di potere; significa fare il primo passo e cedere, scusarsi, chiedere e fare presenti al partner i propri bisogni. Saper bastare a se stessi è fondamentale in una relazione, tanto che non l'ho elencato tra i rimedi da adottare per risollevare un rapporto. E' infatti una variabile che ciascuna persona deve necessariamente imparare nel corso della propria esistenza. Saper bastare a se stessi significa la capacità di stare soli senza venir presi dal panico, senza affidarsi alla prima persona che passa pur di stare in compagnia; vuol dire saper organizzare una giornata, una settimana o un viaggio anche quando non si è in coppia. Sembra la cosa più ovvia del mondo, ma molte persone si scelgono più sulla base della paura che su quella del piacere e della curiosità. " Il vostro cattivo amore per voi stessi fa della vostra solitudine una prigione", scriveva il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Saper bastare a se stessi significa- in conclusione - saper gestire la paura della solitudine. Potremmo sintonizzarci e sentirci parte del tutto, essere congiunti col resto del mondo ( il collegamento cosmico di cui parla la spiritualità, per cui niente esiste indipendentemente dalla totalità ). Poi ci siamo noi e potremmo essere una buona compagnia se avessimo la capacità di ritrovarci, senza annoiarci o darci per scontati. Imparare a non sentirsi soli significa superare l'estraneità per rintracciare una dimensione propria e riconciliarci con se stessi. La solitudine poi non è solo isolamento e desertificazione, è anche ascolto, possibilità di comprendere ciò che accade dentro di noi e attorno a noi. Ma per conoscersi, per essere se stessi, è necessario fermarsi e iniziare ad usare non solo la testa, ma anche il cuore, per raggiungere una coscienza più profonda, un nuovo modo di considerare il proprio stare al mondo, i rapporti con gli altri e con la realtà. Mi vengono in mente i monaci, che identificano la pace interiore con la solitudine, l'armonia con la possibilità di vivere in un eremo, la lontananza dal mondo come possibilità di equilibrio. (...) Umberta Telfener da Le forme dell'addio
(...) E l'uso costante del telefonino?Aumenta o diminuisce la solitudine? Si tratta di uno strumento per acquisire autonomia o ci insegna ancora di più la dipendenza dal suo squillo, il bisogno di essere necessariamente collegati e in tanti? Qualcuno ha probabilmente visto il film Hello Denise, in cui si spiava la vita dei primi utilizzatori delle chat. La protagonista è una ragazza che trovava ogni genere di scusa per non uscire di casa. Tutta la sua giornata si svolge attraverso telefonate e incontri via Internet, come se la vita virtuale le rendesse possibile fare ciò che teme nella vita reale Nel film c'è anche un'erotica scena di sesso - inesorabilmente per telefonino- perché tutto viene fatto senza che l'altro sia fisicamente presente, ma non per questo da soli. All'epoca mi era sembrato un film sulla solitudine e sul tentativo di superarla, esorcizzandola nello stare comunque soli. Oggi appare piuttosto come una modalità di relazione scelta da molti giovanissimi. Un altro film sull'uso della realtà virtuale è Thomas in Love, in cui un ragazzo agarofobico, chiuso in casa e timoroso dell'esterno, appassionato frequentatore di Internet e molto interessato al sesso ( virtuale ), si innamora e cambia totalmente il proprio modo di comportarsi. Le riviste sono piene di riflessioni sul senso di solitudine imperante in questo secolo. La percezione di spaesamento e di isolamento ha probabilmente a che vedere con la perdita dell' illusione del futuro, e nasce dalla confusione tra distanza ( modalità della presenza ) e solitudine ( stato d'animo dovuto alla mancanza ). Robert Thurman, professore di religioni antiche, ha dichiarato in una conferenza:" L' Occidente è - al momento - il miglior punto di partenza per raggiungere l'illuminazione. Mai, in nessuna parte del mondo, l'uomo è stato così vicino al Nirvana come lo è oggi in America. Qui si capisce bene il senso del vuoto, del nulla perché qui noi viviamo già nel nulla. Siamo nulla, le nostre relazioni umane sono nulla e prendiamo chiunque altro per nulla. " Hello, Gim, hello Jhon ! ". Certo, siamo calorosissimi nel salutarci, ma in verità non ci importa assolutamente nulla dell'altro: è come se ci vedessimo questa sola volta e poi mai più. Ma se solo sapessimo che siamo sempre stati assieme e che siamo destinati a stare insieme per l'eternità! Ogni vita - la mia e quella di un albero - è parte di un tutto dalle mille forme che è la vita". (...) Umberta Telfener da Le forme dell'addio
(...) C'è infine una differenza fondamentale tra il sentirsi soli e il sentirsi rifiutati, ricordiamocelo sempre. Saper bastare a se stessi implica un viaggio alla ricerca della propria anima, in modo che nel cercarla si assuma lo stato di interlocutori della nostra vita, e che sia meno necessario perdersi e possibile ritrovarsi. Diventare gli interlocutori mentali di noi stessi è un passaggio fondamentale e variegato, come il viaggio di Ulisse. Al ritorno dalla guerra di Troia, come racconta l' Odissea, l'eroe ha fatto ogni genere di incontri, ha superato molte prove, ma sempre con una meta fissa davanti a sé: Itaca. Non è un caso che sia dovuto scendere prima negli Inferi a incontrare sua madre, e solo dopo sia potuto tornare al mondo dei vivi. Il legame con la morte è forse l'elemento più identificante dell'eroe, ma è anche il tema centrale per chi si sente solo. Il tema della paura della morte e conseguentemente dell'estraneità si ripresenta come una spirale nell'esistenza di ognuno di noi: le emozioni tornano e ritornano e vengono accompagnate da una comprensione sempre diversa, maggiore. Saper bastare a se stessi comporta il recupero della propria autonomia e dello spazio per i propri bisogni, per i propri desideri, e per le proprie esigenze ( senza per questo calpestare l'altro ). Vuol dire essere autorevoli e assertivi. E in questo percorso il lavoro ci può aiutare in quanto ci dà un obiettivo, oltre che diventare uno strumento necessario per il nostro sostentamento. Saper bastare a se stessi significa anche imparare a liberarsi dagli attaccamenti troppo rigidi a luoghi, modi di fare, pensieri, teorie, persone, situazioni sociali. A volte aver operato un processo di separazione è una necessità : se non lo facessimo rischieremmo di cadere in una nostalgia depressiva che ci porterà ad essere estranei in qualunque luogo, costantemente alla ricerca di una patria e di una sicurezza. E' come se l'attaccamento patologico ci impedisse di raggiungere una creatività libera. (...) Umberta Telfener da Le forme dell'addio
Ci sono gocce che dissetano, sorgenti di un miracolo improvviso e quelle che cercano pendenze scivolando nella via breve della fuga. Altre mai nate, imprigionate fra un tempo passato e uno futuro nell'attesa perenne dell'istante. Ci si può annegare - in una goccia - e con l'ultima, traboccare. frida
(...) Nel tempo delle estasi non ci sono più passato né futuro, ma solo un presente che si trasforma in un istante senza fine, e che non ha analogie con il tempo della vita quotidiana: normale e patologico. Nel suo bellissimo libro della vita, Teresa d' Avila così parla del tempo nel corso dell'estasi : " Ricevetti la comunione, assistetti alla Messa e non so come feci. Il tempo trascorso mi parve brevissimo. Mi stupii quando suonò l' orologio e mi accorsi che avevo trascorso due ore in preda a quel rapimento e gloria "; e ancora : " Come l'araba fenice - ho letto - dopo essere bruciata rinasce dalle sue ceneri, così è trasformata l'anima e si ritrova con differenti desideri e gran coraggio". (...)
MUOIO SE NON MUOIO Vivo ma non vivo in me e attendo una tal vita da morirne se non muoio. Vivo fuori di me e muoio d'amore perché vivo nel Signore che mi volle tutta sua. Quando gli donai il cuore lui incise la frase muoio se non muoio. Questa prigione divina, l'amore in cui vivo, ha reso Dio mia preda e libero il mio cuore. Fa nascere in me un tale anelito scoprire Dio mio prigioniero da morirne se non muoio. E' lunga questa vita, e lunghi i deserti, il carcere, i ceppi in cui l'anima si trova. Il solo attenderne la dipartita provoca un dolore tanto acuto da morirne se non muoio. Questa vita è amara se il Signore non vi trova motivo di gioia. Se dolce è l'amore non lo è la lunga attesa. Spicca da me - Dio - questo carico più pesante dell'acciaio: muoio se non muoio. Vivo solo nell'attesa di morire, perché venendo meno il vivere, è certezza la speranza. Morte, guadagno di vita, non tardare: io ti attendo e muoio se non muoio. Teresa D' Avila da Vivo ma non sono in me
O Sacrum convivium, in quo Christus sumitur.. ( S. Tommaso D' Aquino ) (...) Nella straordinaria esperienza mistica di San Giovanni della Croce risplende l'immagina affascinante ed emblematica della notte oscura dell'anima: non solo metafora della condizione umana, ma anche un cammino, un itinerario verso l'infinito di Dio. La notte oscura dell'anima allude al carattere opaco e negativo dell'esperienza mistica, e le parole di San Giovanni della Croce sono queste : " L' anima, allora, non soffre solo per il vuoto e la mancanza di appoggi naturali e di conoscenze - il che è già una sofferenza piena d'angoscia, come se uno fosse tenuto sospeso in aria senza che possa respirare - ma soffre altresì perché Dio la pietrifica, come fa il fuoco con la ruggine sul metallo"; e ancora : " Oltre alle sofferenze che le vengono dalla solitudine e dell'abbandono che prova in questa oscura notte, l'anima soffre anche per il fatto di non trovare consolazione in solide letture né sostegno in maestri spirituali. Per quanto le si faccia notare i motivi di consolazione che le vengono dai beni racchiusi in simili sofferenze, essa non può credervi". L'anima è lacerata dalla impossibilità di pregare e di elevarsi fino a Dio. " Come accadde a Geremia, le sembra che Dio si sia avvolto in una nube che impedisce alla supplica di giungere fino a lui". Sono parole, sono esperienze che ci dicono come l'angoscia e lo smarrimento dell'anima fanno parte della condizione umana anche quando sia segnata dalla grazia della trascendenza mistica; e questa constatazione non può non essere portatrice di aiuto e di speranza, quando le ombre della tristezza dell' anima scendono in noi. Ma la notte oscura dell'anima si scioglie a mano a mano nella luce della speranza e della fede che la sottraggono all'angoscia, e al silenzio di Dio. Il pensiero teologico di Giovanni della Croce sgorga in particolare dalle bellissime poesie che rappresentano il vertice della sua spiritualità e che testimoniano di un inesauribile anelito all'infinito, al mistero dell'infinito di Dio.(...)
MODO PER ARRIVARE AL TUTTO Per arrivare a quello che non sai devi andare per dove non sai. Per arrivare a quello che ora non ti piace devi andare per dove non ti piace. Per arrivare a quel che non possiedi devi andare per dove non ti piace. Per arrivare a quello che non sai devi andare per dove non sei. *** MODO PER NON OSTACOLARE IL TUTTO Quando ripari in qualcosa tu cessi di tendere al tutto, poiché per giungere del tutto al tutto devi lasciare del tutto il tutto. E quando tu giunga tutto ad avere tu devi averlo senza nulla volere. Poiché se in tutto vuoi aver qualcosa non hai puro in Dio il tuo tesoro. Traduzione di Cristina Campo
...anche il farsi compianto è bello in bocca all'amato...
Anche il bello deve morire, che dèi ed umani soggioga, ma non tocca il cuore di bronzo di Zeus Stigio. Una volta soltanto l'amore commosse il re delle ombre, e ancora sulla soglia - severo - rivolle il suo dono. Non sana Afrodite al leggiadro fanciullo la piaga, che nel corpo sottile orrida il cinghiale incise. Non salva il divino eroe la sua madre immortale, quando cade alla Porta Scea e il destino si compie. Ma ella si leva dal mare con tutte le figlie di Nereo ed eleva il suo lamento sul figlio glorificato. Guarda! Là piangon gli dei e le dee piangono tutte, poiché il bello tramonta e muore la perfezione. Anche il farsi compianto è bello in bocca all'amato, mentre il banale sprofonda nell' Orco e più non risuona. Friedrich Schiller da Poesie filosofiche
(...) Disse: " Inseguiva il re Apollo Dafne lungh'esso il fiume, come si racconta. La figlia di Penèo correva ansante chiamando il padre suo dall'erma sponda. Correva, e ad ora ad or le snelle gambe le s'intricavan nella chioma bionda. Ben così la poledra di Tessaglia galoppa nella sua criniera falba che fino a terra la corsa le ingombra. Rapido il re Apollo più l'incalza - infiammato desio - per lei predare. All'alito del dio doventa fiamma la chioma della ninfa fluviale. " O padre, o padre " grida, " tu mi scampa! " Chiama ella il padre suo con grida vane. " Padre, un veloce fuoco mi ghermisce! " E corre, ed ansa, e le sue gambe lisce crescon la furia del dio predace.
" O gran padre Penèo, perduta sono, ché mi si rompono i ginocchi. Ed ecco ella s'arresta, chiude gli occhi e trema e dice : " Or ecco m'abbandono".
Una gioia s'aggiunge al suo terrore ignota che il divin periglio affretta. Tremante e nuda dentro la chioma ode la vergine il tinnir della faretra, sente la forza del perseguitore, vede l'ardor pe' chiusi cigli e aspetta d'esser ghermita, e più non chiama il padre. Ma il dio la chiama: " Dafne, Dafne, Dafne! ". Ed ella non udì voce più bella.
Il dio la chiama: " Dafne, Dafne! ". Ed osa ella aprir gli occhi: la rutila faccia vede da presso e la bocca bramosa mentre il dio con le due braccia l'allaccia. Rapita dalla forza luminosa gitta ella un grido che per la selvaggia sponda ultimo risuona. E l'ode il padre. Avido il dio districa la soave nudità dalla chioma che la fascia. Bianca midolla in cortice lucente, in folti pampini uva delicata! Tenera e nuda il dio la piega, e sente ch'ella resiste come se combatta. Tenera cede il seno; ma dal ventre in giuso, quasi fosse radicata, ella sta rigida ed immota in terra. Attonito, l'amante la disserra. " Ahi lassa, Dafne, ch'arbore sei fatta! " Subitamente Dafne s'impaura: le copre il volto e il seno un pallor verde. Ella sembra cader, ma la giuntura dei ginocchi riman dura e inerte. S' agita invano. L'atto della fuga invan le torce il fiato. Si disperde il senso di sua vita nella terra. E l'amante deluso ancor la serra. " Ahi lassa, Dafne, chi ti trasfigura?" Ma non il suo melodioso duolo giova a trarre colei dalla sua sorte. Nell'umidore del selvaggio suolo i piedi farsi radiche contorte ella sente e da lor sorgere un tronco che le gambe su fino alle cosce include e della pelle scorza fa e dov'è il fiore di verginità un nodo inviolabile compone. " O Apollo" geme tal novo dolore. " Prendimi", dov'è dunque il tuo desio? O Febo, non sei tu figlio di Giove? Arco- d' Argento non sei dunque un dio? Prendimi, strappami alla terra atroce che mi prende e beve il sangue mio! Tutto furente m'hai perseguitata ed or più non mi vuoi? Me sciagurata! Salva il mio grembo per lo tuo desio!
Salvami, Cintio, per la tua pietà! Se i miei capelli, che t'avvinsero, ami, de' miei capelli corda all'arco fa! Prendimi, Apollo!". E tendegli le mani, che son fogliute, e il verde sale; e già le braccia sino ai cubiti son rami; e il verde e il bruno salgon per la pelle; e su per l'ombelico alle mammelle già il duro tronco arriva; e i lai son vani.
" Aita, aita! Il cuore mi si serra. Vedi altra scorza che il petto m'opprime! O Febo Apollo, strappami da terra! Tanto furente, non sia più ghermire? Nuda mi prenderai su la dolce erba, su la dolce erba e su 'l mio dolce crine. Ardo di te come tu di me ardi. O Apollo, o re Apollo, perché tardi? Già tutta quanta sentomi inverdire".
Il dolce crine è già novella fronda intorno al viso che si trascolora. La figlia di Penèo non è più bionda; non è più ninfa e non è lauro ancora. Sola è rossa la bocca gemebonda che del novello aroma s'insapora. Escon parole e lacrime odorate dall'ultima doglianza. O fior d'estate, prima rosa del lauro che s'infiora!
Tutto è già verde linfa, e sola è sangue la bocca che querelasi interrottamente. In pallide fibre il cor si sface ma il suo rossore è in sommo della bocca. Desioso dolor preme l'amante. Guarda ei l'arbore sua ma non la tocca; l'ode implorare, ma non ha virtù. E chiama: " Dafne, Dafne!". Ella non più implora, non più geme. " Dafne, Dafne! "
Ella non più risponde: è senza voce. Pur la gola sonora è fatta legno. Le palpebre son due tremule foglie; li occhi gocciole son d'umor silvestro; bruni margini inasprano le gote; delle tenue nari è appena il segno. Ma nell'ombra la bocca è ancora sangue, sola nel lauro la bocca di Dafne arde e al dio s'offre: virginal mistero.
Curvasi Apollo verso quella ardente, la bacia con impetuosa brama. Ne freme tutta l'arbore, s'accende l'ombra intorno alla fronte sovrana; ogni ramo in corona si protende e la fronte d' Apollo è laureata. Pean! O gloria! ma sotto i suoi baci or più non sente che foglie vivaci, amare bacche. E Dafne, Dafne chiama.
" Ahi, lassa, Dafne, ch'arbore sei tutta! Ahi, chi ti fece al mio desio diversa ? In durissimo tronco e in froda cupa la dolce carne tua or s'è conversa. La tua bocca vermiglia s'è distrutta, che pareva di fiamma ardere eterna. Come leggeri i piedi tuoi su l'erba, or radicati nella negra terra! M'odi tu? M'odi tu? Dafne, sei muta?
Rispondi! ". Abbrividiscono le frondi sino alla vetta. Nel silenzio un breve murmure spira. " M'odi tu? Rispondi!" Move la vetta un fremito più lieve. Poi tutto tace e sta. Sotto i profondi cieli, le rive alto silenzio tiene. Il bellissimo lauro è senza pianto; il dolore del dio s'inalza in canto. Odono i monti e le valli serene. (...) Gabriele D' Annunzio da Alcyone - libro III
Questo mondo che appartiene all'uomo non vale niente senza una donna a cui dare attenzioni...
So che stai leggendo questa poesia tardi, prima di lasciare il tuo ufficio con l'unico lampione giallo e una finestra che rabbuia nella spossatezza di un edificio dissolto nella quiete quando l'ora di punta è da molto passata. So che stai leggendo questa poesia in piedi, in una libreria lontano dall'oceano in un giorno grigio agli inizi della primavera, deboli fiocchi sospinti attraverso gli immensi spazi delle pianure intorno a te. So che stai leggendo questa poesia in una stanza in cui è accaduto troppo per poterlo sopportare, spirali di lenzuola ristagnano sul letto e la valigia aperta parla di fuga ma non puoi andartene ora. So che stai leggendo questa poesia mentre il metrò rallenta la corsa, prima di lanciarti su per le scale verso un amore diverso che la vita non ti ha mai concesso. So che stai leggendo questa poesia alla luce della televisione, dove scorrono sussulti di immagini mute, mentre aspetti le ultime notizie sull'intifada. So che stai leggendo questa poesia in una sala d'aspetto di occhi incontrati che non si incontrano, di identità con estranei. So che stai leggendo questa poesia sotto il neon nella noia stanca dei giovani che sono esclusi, che si escludono, troppo presto. So che stai leggendo questa poesia con la tua vista indebolita: le tue lenti spesse dilatano le lettere oltre ogni significato e tuttavia continui a leggere perché l'alfabeto è prezioso. So che stai leggendo questa poesia in cucina mentre riscaldi il latte, con un bambino che ti piange sulla spalla e un libro in mano, perché la vita è breve e anche tu hai sete. So che stai leggendo questa poesia che non è nella tua lingua: di alcune parole non conosci il significato, mentre altre ti fanno continuare a leggere e io voglio sapere quali sono. So che stai leggendo questa poesia in attesa di udire qualcosa, divisa tra amarezza e speranza, per poi ritornare ai compiti che non puoi rifiutare. So che stai leggendo questa poesia perché non c'è altro da leggere lì dove sei approdata, nuda come sei. Adrienne Rich da Cartografie del silenzio
Ti ho preso sotto la mia pelle, quindi nel profondo del mio cuore...
Le frasi non compiute restano ruderi. C'è un intero paese in pericolo di crollo che stai sostenendo in te. Sai il dolore di ogni tegola, di ogni mattone che cade. Un tonfo sordo nella radura del petto. Ci vorrebbe l'amore costante di qualcuno, il suo lavorare quieto che risuona nelle profondità del bosco. Tu che finalmente ritorni. Disfi la valigia, ti scordi di partire.