TRA LIBERTA' E PRIGIONE
(...) Una normale recettività alle sensazioni e alle emozioni scorticherebbe vivi. Una certa ottusità protegge, e consente la crescita dell'illusione. La necessità dell'illusione e del gioco combatte la " vera follia " stemperandone la tragedia. Il matto non gioca mai, ma edifica monumenti capovolti. L' artista gioca sempre, edificando gli stessi monumenti. Nessun folle inventa dal nulla il suo delirio, ma lo assembla pezzo per pezzo con i propri fantasmi misti agli eventi e alle cose della realtà, per riparare quella che resta la sua frattura insanabile : la vita come lutto della vita. Alcuni scrittori - il primo Buchner, con il suo racconto Lenz - hanno cercato di rappresentare la figura del folle come se questa potesse, per le sue caratteristiche di esclusione dal mondo e di veggenza interiore, ricordare la figura dell'artista. In parte è vero. Georges Braque osserva che l'artista, nell'attimo in cui rischia la malattia psichica, prova assurde esperienze, interne ed esterne, ma poi, nel momento successivo, un'ossessione gli si radica nelle dita, gli si imprime nella mente. E allora il pittore deve fare il quadro e liberarsene, oppure muore. Insomma, l'arte non può sottrarsi ai suoi incubi mentali, ma da questi deve estrarre il suo quadro - il suo limite. Liberarsene. Poi, a opera finita, ricominciare a farsi possedere dall'incubo successivo. Nessuna arte ha una fine reale, ma solo una serie di piccole vertigini, di catastrofi e approdi, utili solo per ripartire ancora, riprendere fiato, rinnovare il rito. Interminabilmente. Solo quando si sa che ( la scrittura nasce quando non si sta né troppo bene né troppo male- Lorenzo Pittaluga ), solo allora è possibile dire la sofferenza con parole che la evocano ma non la mostrano, la nascondono e la rivelano . (...)
Marco Ercolani da Galassie parallele
Nessun commento:
Posta un commento