Non si smette mai di desiderare, si rinuncia semplicemente a volere. S'inizia con il bulinare sulla parte più dura di sé, l'epitaffio prescelto a murare vivo il fragore della luce in viaggio, il gradino che avrebbe atteso la stanchezza di un sorriso nuovo. E' sempre basso lo sguardo dell'abbandono. Si ferma a terra. O poco più. frida
"Nel cuore dell'uomo la speranza è come una fiammella: e uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l'uomo e non quello che lo azzanna ". E' questo l'augurio di Antonia Arslan : che la fiammella della speranza non si spenga mai. In tempi troppo spesso bui, la segreta bellezza dell'altro è la sola forma di salvezza, l'unica luce che possa liberarci dalle tenebre dell'intolleranza. E così non esiste crescita interiore senza condivisione; non c'è cammino senza incontro; non c'è amore per il Paese senza memoria delle origini. Lo sa bene la testimone diretta dello scambio tra popoli, lei che attendeva nella sua casa di Padova i parenti sparsi e divisi dalla diaspora, davanti ai quali spalancava gli occhi incuriosita dai racconti dei cibi armeni o dei colori vivaci delle miniature. O sempre lei, che scopriva che il nonno Yerwant aveva dato ai suoi figli quattro nomi armeni ciascuno, nonostante avesse compreso che l'antica patria era perduta per sempre e avesse deciso di dedicarsi a quella nuova con inesauribile energia. Dopo esili e diaspore, partenze e abbandoni che hanno segnato indelebilmente il destino di Oriente e Occidente, navigare verso la tregua pare l'unica direzione accettabile, e proprio attraverso queste pagine l'autrice ci conduce - così come si orienta un'imbarcazione che deve essere guidata - verso l'intimo equilibrio degli affetti e la scoperta dell'altro. ( f )
(…)" Via dalla montagna sacra: l' Ararat ora sarà per noi un paese straniero": così piansero gli armeni, in tutti i luoghi del vasto mondo dove la diaspora successiva al genocidio del 1915 li aveva portati, quando dall'ottobre 1921 - col trattato di Kars - la grande montagna, simbolo fortissimo della loro unità di popolo, venne ceduta da Stalin a quella Assemblea Nazionale che ben presto sarebbe diventata la Repubblica di Turchia. Ma l' Ararat ( che gli armeni chiamano " Massis" ), è oggi più che mai presente nell'immaginario del popolo armeno. La sua vista incombe sulla capitale Yerevan,ma le sue due cime perennemente innevate sono drammaticamente lontane, al di là della chiusa frontiera con la Turchia, oltre il famoso ponte spezzato sul fiume Akhurian che univa le due parti del regno d' Armenia. Oggi, dal monastero di Khor Virab, vedi solo qualche sparso gregge che si aggira nella terra di nessuno che divide i due paesi; e, lontana, una baracca di soldati. Nessuno che porti un nome armeno ha il permesso di salire lassù. Eppure non è sempre stato così. Ben diversi sono i fatti che la Storia ci racconta. Come un celebre quadro di Ayvazovsky ci racconta ( La discesa di Noè dal monte Ararat ) dispiega ai nostri occhi con suadente fascino ottocentesco, gli armeni si sentono legati al monte dove si arenò l' Arca di Noè da un fortissimo legame spirituale - ma anche carnale. Il vino fu inventato nella pianura che si stende ai piedi del monte; i figli di Noè là coprirono i padre ubriaco, là nacque il cristianesimo armeno con le sue " chiese di cristallo ", le croci di pietra, i monasteri splendidi annidati in valli romite, dove schiere di monaci diedero vita a un fiorire di codici miniati di straordinaria bellezza. (…) Antonia Arslan da La bellezza sia con te
(…) Fino a quel tempo non troppo lontano, la sacra montagna era abitata, addomesticata da legioni di operose formichine umane che si erano arrampicate sulle sue coste brulle, spazzate da venti terribili e da bufere improvvise, fino ai ghiacciai solcati da crepacci profondissimi. Erano gli armeni di montagna, alti, massicci e robusti. Andavano in processione dal Caucaso e dagli altopiani in alcuni giorni solenni, salendo verso un ghiacciaio che era chiamato il " Luogo dell' Arca ", come ricordano numerose testimonianze,sino alla fine dell' Ottocento. Devoti, industriosi, parsimoniosi, essi si erano insediati in ogni angolo vivibile del monte, fondando numerosi villaggi situati nelle zone più riparate, anche a quote molto alte: vivevano di pastorizia e avevano selezionato una razza resistente di pecore con la coda grassa,capaci di trovare dovunque di che nutrirsi. I pascoli estivi arrivavano a più di tremila metri di altezza, e una razza di cani da pastore altrettanto robusti ed estremamente aggressivi badava alle greggi. I resti di quei villaggi sono oggi deserti, e i pastori curdi - che hanno ancora le pecore e i cani,e cent'anni fa spesso accolsero qualche bambino armeno- li considerano luoghi maledetti. Parlano le croci sui muri in rovina, resti crollati delle antiche chiese,le croci di pietra rovesciate,e se qualcuno ti accompagna a cercarle, le fosse comuni dove si possono ancora contare le ossa: perché gli armeni dell' Ararat non sono mai stati deportati, ma eliminati sulla loro stessa montagna. Sono tutti lì: si tengono compagnia e aspettano la resurrezione. (…) Antonia Arslan da La bellezza sia con te
LA GRANDE PARTENZA (…) Non mi ero mai fermata su quel versetto, alla fine del Vangelo di Luca, che dice mane nobiscum Domine, quoniam advesperascit, le parole dette dai discepoli a Cristo risorto che li ha accompagnati lungo la strada che stavano percorrendo, ma loro non l'hanno riconosciuto: credono che sia un erudito compagno di viaggio. Si accorgono che è lui quando spezza il pane: " Lo riconobbero, ma egli divenne loro invisibile ". Adesso li lascia, e loro sentono che è l'addio definitivo; da quel momento in poi dovranno diventare adulti,cavarsela da soli per le strade del mondo, annunciando la Parola. E' frequente - mi pare - in tutti i Vangeli l'idea, l'immagine del camminare in gruppo e del parlare camminando, seguendo e ascoltando il maestro, quasi a ricordare il peripatòs dei filosofi ateniesi;e anche senza condividere del tutto le fin troppe conosciute - e spesso usate a sproposito - sentenze oggi tanto di moda sul fatto che non è la meta che conta, ma il semplice fatto di essere in cammino, credo che quell'ultima passeggiata di Cristo coi suoi contenga uno straziante memento per ciascuno di noi. Chi non è mai stato lacerato dalla malinconia nel sentire che il cammino condiviso con una persona amata sta arrivando alla fine? Che quello era l'ultimo incontro, l'ultimo saluto? Che da quel momento in poi " quella " presenza non ci sarebbe più stata?. Chi non conosce la sensazione che ne segue, di spazio vuoto, di solitudine agghiacciante ? . (…) Antonia Arslan da La bellezza sia con te
(…) Così cominciai a ripetermi quella frase come una canzone, seguendo il ritmo che mi veniva in mente, ossessivo ma pieno di speranza . " Mane nobiscum Domine, quoniam advesperascit " ( Rimani con noi, Signore, perché si fa sera ): la sera del giorno, la sera della vita. E' in quei momenti che desideriamo le presenze amate, che ne sentiamo acutamente la mancanza.Ci danno sicurezza, ci danno sostegno. Poi mi accadde di ammalarmi, e nella solitudine delle lunghe ore del reparto di rianimazione che mi ospitava, quella frase mi tornò in mente con una forza inaspettata; e non solo le parole, anche il motivo musicale monotono e intenso che nella mia mente le accompagnava,dandomi una serenità strana,una gioia sottile e misteriosa. E allora fu come se improvvisamente riuscissi a capire che a quella invocazione, l'invocato aveva in realtà risposto, ma educando i discepoli alla Presenza invisibile. Non era più necessario vederlo - il Maestro - perché lui era sempre con loro, sino alla fine dei tempi. E capii che anche le persone che abbiamo amato sono sempre con noi, sia che crediamo che la loro essenza vitale resista - anche se sotto forma diversa - sia che crediamo che la morte le porti via con sé per sempre. Restano attraverso la dolce forza della memoria, dei loro gesti e dei loro atti " camminare con noi", anche se per tutti - prima o poi - " si fa sera…". (…)
Mi rendo conto che postare questa immagine e il post che la segue potrà non piacere a molti: anzi, potrebbe risultare decisamente spiacevole. Certo, muove le nostre coscienze. Ma il mio intento non è quello moralistico di fare " la predica " a chichessia. L'ho postato prima di tutto per me, per non dimenticare. Si fa presto a rimovere dalla mente immagini o scritti che mettono in discussione le nostre coscienze e le nostre scelte di vita. Ma è solo per rammentare che - al di là dell'orrore momentaneo e della pietà che ne consegue, cè un dovere - per chi si senta e voglia vivere da " umano " che è semplicemente di giustizia. Nulla di più.
( frida )
(…) Due giorni prima di Natale una notizia ha fatto - per qualche ora - il giro del mondo: Sam, un bambino nato tre giorni prima sulla costa libica dopo l'attraversamento del Sahara da parte della madre e salito con lei su un barcone, è stato salvato dalla nave di una ONG. Di lì, per le sue precarie condizioni di salute è stato prelevato con un elicottero insieme alla madre e trasferito a Malta. Ma gli altri 309 migranti che erano con lui hanno continuato la loro odissea i mare per una settimana e duemila chilometri, senza un posto disposto ad accoglierli. Due mesi prima, il 2 Novembre, Amal è morta di fame a sette anni.Come centinaia di altri bambini yemeniti travolti da una guerra combattuta con armi costruite nel nostro Paese. La sua fotografia, il viso reclinato con gli occhi persi, le ossa a malapena ricoperte di pelle,le mosche sulle mani, ha provocato l'indignazione di un giorno. Quelle immagini sono rapidamente scomparse d quotidiani e telegiornali, lasciando il posto alla retorica sgangherata dei porti chiusi e agli insulti, crudeli e volgari, nei confronti dei migranti. Eppure Sam , Amal e altre centinaia di migliaia come loro non sono dei numeri, ma delle persone come me, come te che stai leggendo. E' questa situazione che mi ha spinto a scrivere. Non sono abituato a farlo. Preferisco i fatti con il loro linguaggio, silenzioso ma vero. Eppure di fronte all'ingiustizia che monta intorno a noi n si può più stare zitti. Ce lo ha ricordato, con la solita forza e chiarezza, il papa che, il 26 Marzo scorso, in Piazza San Pietro, si è rivolto ai giovani con queste parole : "Sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili, tante volte corrotti, stiamo zitti,se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete? Per favore, per favore, decidetevi prima che gridino le pietre ". Per questo ho deciso di scrivere. Proprio a te, coinvolto nell' ubriacatura razzista che attraversa il Paese. Una ubriacatura a cui partecipi forse per convinzione o forse per l'influenza di un contesto in cui prevalgono le parole di troppi cattivi maestri predicatori di odio, che tentano così di coprire l'incapacità di chi governa ( o ci ha governati ) di assicurare a tutti, compresi i più poveri, condizioni di vita accettabili. Secondo te, le difficoltà in cui viviamo e le incertezze sul presente e sul futuro sono colpa dei migrantii che ci portano via il lavoro, che sporcano, che rubano, che hanno aggiunto nuovi problemi a quelli che già avevamo. E che - dunque - devono starsene a casa loro. Io non credo che le cose stiano così. Le migrazioni non vanno sottovalutate, ma governate in un modo intelligente ed è necessario parlarne senza rimozioni. Ma se non si arresta il modo di pensare oggi prevalente,gli effetti saranno devastanti. Ancora piùdevastanti di quelli che già vediamo intorno a noi. Non mi sento, comodamente e presuntuosamente, dalla parte giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare, è, piuttosto, un orizzonte da raggiungere. Insieme. Ma nella chiarezza e nel rispetto delle persone. Non mostrando i muscoli e accanendosi contro la fragilitàdegli altri. Luigi Ciotti da Lettera ad un razzista del terzo millennio
(…) In queste pagine,troppo a lungo rimaste inedite per distrazione editoriale dell'autrice, è scritta la storia morale parallela, a rovescio, che ha accompagnato per decenni l'opera di uno dei maggiori poeti contemporanei. Non propriamente narrativa né saggistica - o le due cose insieme - la genialità analitica e visionaria, percettiva e sintattica che qui sorprende il lettore, non ha precedenti nella letteratura italiana del Novecento, se non forse nella prosa di Elsa Morante o di Goffredo Parise. Si tratta comunque più di parziali affinità che di derivazione: perché in ogni suo capitolo - ognuno a modo suo e con stile diverso - in frammenti auto biografici, parabole aneddotiche, ritratti e microfilosofie dell' amore,dell'invidia o dell'estasi sensoriale,questo testo ubbidisce a un solo comandamento : " Devo capire ". Se la poesia -come ha detto qualcuno -è la sola scienza possibile in quanto nella vita non si dà altra scienza,queste prose di poeta rivelano capacità figurative, speculative e satiriche che nei libri di versi erano comunque comparse solo occasionalmente. Fin dal primo testo che dà il titolo al volume, chi legge si trova a contemplare un mondo comico- tragico, labirintico fino alla vertigine,in cui entrano in scena passioni senza esito e disperati, coattivi manierismi sociali in cui la vita si dissangua fingendo se stessa. (…) Alfonso Berardinelli ( prefazione a ) Con passi giapponesi
Signore, dammi castità e continenza. Ma non subito… ( Sant' Agostino )
(…) Com'è semplice la verità ! E quanto semplicemente si rivela! E io che credevo di essere intelligente,consapevole e coraggiosa: per tutti questi anni e per quasi tutta la mia vita ho vissuto all' ombra di un malinteso, anzi di un conformismo,la cui elementare evidenza- ora che mi si svela,-mi fa quasi arrossire di vergogna, ma anche mi apre un'inattesa, se pur tardiva, inesplorata letizia. E pensare che stavo per cadere nell'abiezione estrema, vale a dire che ero sul punto rivolgermi ad un analista, rimettermi cioè alla noia illusa, all'interpretazione clandestina, a quel procedere mortale verso la falsa libertà del paziente analizzato, a quella opaca rinascita grazie alla quale ci sentiamo ben fatti, ben messi, ben chiari, ben sistemati alla morte. Aver avuto questa tentazione vuol dire che non sapevo più cosa fare. La verità, improvvisa e chiara, mi si è mostrata in un giorno di mal di testa. E sebbene io non creda alla virtù della malattia e del dolore, devo però riconoscere che c'è in loro una segreta utilità. Non sempre però. Quel giorno di mal di testa aveva così svuotato i miei nervi e la mia volontà, che il mio corpo e i miei pensieri erano diventati un opaco nulla, dove mi era impossibile non solo immaginare una qualche guarigione, ma persino desiderarla. E così, ripetendomi le litanie dell'inedia e della fiacchezza, una sola parte del mio corpo era protervamente accesa, una solitaria appunto e distante dal resto, quasi un automatismo primordiale e cieco. Era il mio sesso, la fisica e solitaria pulsione del mio sesso. Che in quel deserto assoluto si faceva ancora sentire, mi procurava non una consolazione, ma ma una stizza oltraggiata. Ma da lì, proprio da lì, venne la mia salvezza. E che fosse la mia salvezza fu proprio il mal di testa a decretarlo: questo infatti sparì, sparì insieme alla comparsa del seguente pensiero. Io desideravo in realtà fare l'amore con gli uomini, mentre per tutta la vita l'avevo fatto solo con donne, credendo che questa fosse la mia sola e definitiva ambizione, e realtà e scelta. Dunque, io mi ero tenuta lontana dalla sola cosa che mi piacesse davvero e l'avevo fatto per viltà. E che cosa una siffatta viltà possa produrre e inventare, questa è la sostanza della mia vita stessa. (…) Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…) Non sono nata per essere ragionevole. Sono nata per amare, per essere felice,per odiare,per immaginare, per inventare, per capire e anche - di tanto in tanto - per essere ragionevole, ma non devo essere ragionevole. Essere ragionevole vuol dire adattare i propri pensieri a quel che gli è contrario, modificare e distorcere la propria intelligenza per assecondare i desideri altrui. La mia ragionevolezza è diversa da quella di un altro. La ragione pretende la felicità. La ragionevolezza tende al possibile. La felicità non può essere catturata dal possibile. La felicità è l'avvento del miracolo. Il miracolo produce la virtù e la grazia, non viceversa. (…) Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…)Ma a chi parlo quando parlo da sola ? Parlo a qualcuno che non sono io. In verità non si parla mai da soli. Sì, parlo a qualcuno che non sono io. E' un'immagine interiore nella quale convergono velocemente e in modo frammentario tutti. E' una figura volatile fatta di volti in mutazione.Visti di sbieco, ognuno di essi raccoglie una parola, e ogni parola si intona a loro. E' l'interlocutore ideale:passivo, attento,benevolo e disponibile. Sono in compagnia di tutti e difatti sono allegra quando parlo da sola.Non vengo contraddetta, non chiedo risposte o commenti.E' la parola che ridonda,entusiasta del proprio suono, che saluta tutti e il mattino. (…) Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
(…)Ecco, se adesso o tra breve o anche domani,ma meglio sarebbe adesso, io potessi vederti che avanzi da dietro l'angolo, con la tua borsa in mano, lo sguardo austero, i piedi divaricati, con l' andatura lenta, considerata, assorta, fingendo di non vedere nulla di quel che ti circonda, ma in realtà con occhi precisi già padrona delle strade, già pronta al momento nel quale sollevando lo sguardo mostrerai la sorpresa cui ti eri già preparata e che, per pudore, per paura, per orgoglio, vuoi dissimulare, come se negligentemente, quasi per caso, fossi comparsa lì, pur sapendo dell'appuntamento, con il cuore precipitoso; se io non fossi lì in quel momento ad aspettarti, io stessa muovendoti incontro, fingendomi anch'io distratta per contenere l'emozione, per non darmi intera alla gioia, sapendo che la gioia mi prenderà intera, io subito guarirei d'ogni male. Il mio sangue rapido percorrerebbe le sue strade, senza languori e ristagni, e come nel miracolo infantile del perdono o dei terrori simulati per gioco, il mio corpo inavvertito si aprirebbe lievissimo alla luce. (…) Patrizia Cavalli da Con passi giapponesi
Le cronachette pensierose e spensierate di una famiglia allargata, messa in scena seguendo il copione di uno svagato cabaret intellettuale e morale; una saga che si dipana in una serie di sketch irriverenti. Il tutto espresso da un lessico familiare di ebrei fanatici, cattolici convertiti, atei cinici. La matriarca ultranovantenne è nonna Sara, un'ansiosa guerrafondaia che vive in Israele e telefona in continuazione. La sua interlocutrice preferita è Saretta, la più piccola dei nipoti, sagace e sfrontata, dolcissima e imprevedibile. Poi ci sono i fratelli di lei: il maggiore, Isaac, genio della matematica e parimenti totalmente fuori dalla logica del mondo; Davide , maniaco sessuale e juventino compulsivo; lo zio narratore ( Paolo ) e il gatto Ettore. Totalmente assente è la figura del padre, avendo egli abbandonato Ester ( cugina di Paolo ) quando Saretta aveva due anni. E lo zio è obbligato - suo malgrado - a farne le veci, per lo più al telefono. Da lì cerca di educare i ragazzi, fornisce consigli, risponde a domande surreali. A volte scappa. E' nevrotico, ipocondriaco e immaturo come loro, un adolescente vegliardo, un " puer aeternus " anchilosato che i nipoti hanno eletto a guida sciamanica, salvo prenderne poi in giro l'immaturità. E' l'idiota sapiente, impaurito e tentato dal ruolo di " pater familias ". Sullo sfondo di una romanità contemporanea, e deridendo il proprio immaginario psicoanalitico, l'autore scrive il suo originalissimo romanzo familiare: l' incontro e lo scontro tra generazioni, l'assenza e l'ignavia dei padri, l'intelligenza dei figli. Una sit- com in cui si incontrano il ghigno cattivo della migliore commedia all'italiana e l'umorismo yiddish, per una piacevolissima lettura che non manca di offrire spunti per una riflessione che ci tocca tutti da vicino. ( f )
Io ( lo zietto ) e l'ipotetica madre… Mia madre mi ha insegnato la paura. E a rispettare l'angoscia. Era burbera, fragile e solare. Trepidante. Una volta mi ha svegliato alle sei - la faccia terrea - per dirmi :" Se n'è andato". Io pensavo fosse appena morto mio padre. Invece era suo il padre che era morto. Quando lei aveva sedici anni. Se lo era sognato. Era così. Lei non si era mai separata del tutto da lui. Io non mi sono separato del tutto da lei. *** (…) Mia madre, ebrea marrana, aveva una predilezione per Isaac. Lui aveva tredici anni quando lei è morta. Una volta li ho visti insieme in cucina.Isaac, giù muto, immerso in qualche fantasia numerica, guardava mia madre davanti ai fornelli. Lei detestava cucinare, si limitava a riscaldare i piatti finchè la temperatura non arrivava a trasformarli in qualcosa chimicamente alieno dal cibo. Poi proseguiva lo sterminio con grandi quantità di aceto " Per disinfettare " diceva. Rivedo Isaac guardare mia madre con uno sguardo perplesso, di pura estraneità alla vita come la conosciamo. E mia madre, davanti a lui, guardava le pietanze con la stessa espressione. Come se davanti a lei si fosse manifestata una trasformazione alchemica che rendeva il cibo - finalmente - una cosa inerte, pronta per la tavola. La tavola di un obitorio. (…) *** (…) Oggi è l'anniversario della morte di mia madre. Saretta non era nata. Davide aveva dieci anni e Isaac tredici. Intorno al suo corpo minuto, un gracile, delicato sparviero denutrito, c'erano almeno tre generazioni e un miscuglio di religioni che neanche a Belfast. Dietro l'esibita diplomazia reciproca, si avvertiva una tensione spessa, come se quella pace fasulla avesse potuto trasformarsi in un attimo in una dichiarazione di guerra. Zia Sara, la sorella che non aveva mai digerito la conversione di mia madre, andava in giro mormorando sprezzante : " Guarda come l'avete ridotta", e si rivolgeva alla parte cattolica. I cattolici - più numerosi - difendevano il corpo di mia madre in cerchio senza dire una parola. Gli atei, cioè io, piangevano. Il silenzio angusto fu squarciato un attimo da una garrula, stravagante dichiarazione di Isaac, che iniziava in tal modo la sua carriera di ragazzo difficile. Disse : " Sapete che ci vogliono almeno quattordici ore prima che il corpo di zia scenda a temperatura ambiente ? ". (…) Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
(…) Isaac, sei bianco da far spavento. E poi alla tua età bisogna viaggiare, conoscere le genti, i posti… - Zio, io conosco a perfezione l' Olanda del Seicento. Quella di Spinoza e di Palamedes Palamedesz II. - Io il Nou Camp e l' Old Trafford - aggiunge Davide. - Ma perché tu, zio, alla nostra età dov'eri stato? - Beh, insomma… Mia cugina - A Capri e Santa Marinella. Ah, una volta a Cagliari per un funerale. - Ammazza aò, un esploratore! - fa Davide. - Vabbè, ma che c'entra: io alla loro età c'avevo i sintomi fobici. - E che so' ? Ester - Praticamente vomitava ogni volta che si allontanava da sua madre. - Sì, però sono stato a New York quando sono guarito ! Saretta - Guarito ??? Clic (…) *** (…) Ester - Vado via per tre giorni. Ti lascio i nipoti tutti per te. - Oddio, ma che devo fare? - Nulla. Devi solo controllare che non muoiano. - Eh dai. Ma in concreto? - Ho lasciato il cibo nel freezer. Basta che Isaac mangi l'orzo almeno una volta al giorno. E che Davide non si ingozzi tutto in una volta. - E Saretta ? - Saretta si occupa di te. Clic. (… )
***
(…) - Zietto? Quando Saretta dice " zietto ", io mi metto subito sulle difensive, disposto anche a rinnegare la parentela. - Che c'è ? - In questi tre giorni in cui siamo soli, io mi devo prendere cura di te e tu devi fare tutto quello che dico io. - Ma certo, tesoro, le dico con tono infingardo e mellifluo. - Per prima cosa domani pomeriggio porti me e tre mie amichette a fare compere da Cos. - Ok. Ma c'avete le carte di credito ? Clic. (…)
Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
(…) Questa storia che Dio ha creato Adamo dall'argilla e poi la donna da una costola di Adamo, non va proprio giù a Saretta. Davide - Tanto o l'una o l'altra. O discendi da una scimmia pelosa o dalla costola di un uomo. L'espressione " scimmia pelosa "risveglia Isaac dal suo letargo algebrico. - Stai parlando degli ominidi estinti circa due milioni di anni fa, Davide? Linee evolutive intrecciate di cui ancora non si è riusciti a dipanare il filo che risale all' Homo sapiens. Posso farti l'albero genealogico. - No, ti scongiuro, me l'hai disegnato cento volte ! Saretta - E comunque voi siete fatti di argilla e noi di ossa. Prova a pensare a chi è più resistente. Prrrr ! Clic (…) *** (…) Come da tradizione, pranzo domenicale con i nipoti, ma oggi senza la madre. Io sono impettito nel ruolo di " pater familias" che dispensa saggezza e consigli. Saretta racconta che la sua chat con le amiche sul suicidio procede bene e sono già arrivate a più di venti metodi. - Saretta, ma non è un po' lugubre tutto questo? - Ma zio, noi siamo un gruppo di post punk: adoriamo parlare della morte! - Avrei preferito magari una cosa sul sesso, ma questa no. E' di una cupezza… - Ma zio, del sesso abbiamo già discusso l'altr' anno… è roba vecchia. - Davide, che ne dici? - Mah, io non so' contrario, a me ' ste ragazzine mortifere un po' mi eccitano, zio ! - No, ma voi state male! Isaac al confronto è un esempio di salute mentale. A proposito - scusate - ma dov'è Isaac? - Zio, se entri nella sua stanza non ti devi spaventare. E' a testa in giù da due ore. Dice che sta provando a separare definitivamente il cervello dal corpo. - Ah, ok. Ma mamma quando torna? (…) *** ( … ) Mia cugina Ester è tornata a casa. - Beh, direi che a parte la libidine di Saretta per l'auto soppressione e la voracità di Davide, ce la siamo cavata ! Lei - Ti ricordi quando in vacanza dormivamo insieme e tu la sera non mangiavi per paura di vomitare? - Sì, ma è passato tanto tempo. Perché me lo chiedi? - Era tipo anoressia ? - Poteva esserlo. Perché era direttamente collegata alla mia lontananza da mamma. - Sono preoccupata per Isaac. - E te credo ! - Cioè? - No, scusa, volevo chiederti il motivo. - Sai che passa molto tempo a digiunare appeso a testa in giù ? - Lo so. Ieri me ne sono risparmiato la visione. - Secondo me anche lui soffre di una forma di anoressia. - Sei gentile ad aver pensato subito a me!Ma io non me ne stavo come un pipistrello nella semioscurità. Lui è molto più grave. - Quando si mette il dito su una piaga,hai la sensibilità psicologica di un ramarro. - Ester, Isaac è un concentrato di genialità e di follia astrale. E' tutto.La nostra ombra deforme,la purezza di un intelletto senza gravità, è l'antilope immaginaria, è il deserto e il fiore. Può diventare tutto. Ma adesso è incurabile, fidati. - Scusa, hai detto l'antilope immaginaria… sarebbe ? - Vabbè, me so' fatto prendere la mano… Clic (…) Paolo Repetti da Esercizi di sepoltura di una madre
Frank Dicksee ( Romeo and Juliet ) (…) E' un bel silenzio quello detto dai baci, talmente bello che certi poeti non direbbero altro. Non ci basterebbero tutte le labbra del mondo per contare i baci di Neruda o quelli di Prévert, e sono letteralmente incalcolabili quelli di Catullo.Forse Dante ne ha cantati meno, ma gli sono bastate tre terzine per dirli in maniera definitiva e chiarire in modo decisivo il loro aspetto più importante:leggere di baci è pericoloso. E' più pericoloso che scriverne. In certi casi ne va della vita, spalanca le porte dell'inferno,apre la via del tradimento o della dannazione ( vedi Paolo e Francesca ); in tutti gli altri casi è pura estasi. un pericolo anch'essa, a guardar bene. Ecco allora il pericolo che vi attende : leggere di cento e mille e " millinfiniti " baci vestiti a festa dalle migliori parole dei poeti. E quando avrete finito, vi accorgerete che i baci di cui avrete letto, altro non sono che una piccola onda se confrontata allo tsunami di baci che squassa e sommerge la poesia amorosa di ogni tempo. Insomma, preparate guance e labbra: sarà una lettura a schiocco, morbida, calda e mordicchiata; ci sarà da frullare, picchiettare,stampare, arrossire e impallidire e talvolta fuggire, ma solo per ritardare ancora di un istante l'estasi del bacio inevitabile. Aggiungo che, fare una selezione di baci in poesia, è come chiedere ad un bimbo di entrare in un gigantesco negozio di giocattoli per sceglierne uno solo: per quanto si possa tentare di fare le cose bene, molto resterà fuori, e non è detto che quel che si è scelto di inserire in questa antologia sia il meglio in assoluto: è solo una scelta. E le scelte sono scommesse, proprio come i baci. (…) Alessandro Barbaglia da Che cos'è mai un bacio?
Per un bacio mai dato… per un amore nuovo… LASCIA COLARE IL TUO BACIO Lascia colare il tuo bacio come una fonte - filo fresco nella tazza del mio cuore! Il mio cuore - poi - sognando, ti restituirà - doppia - l'acqua del tuo bacio, dal canale del sogno, da sotto la vita. E l'acqua del tuo bacio - oh nuova aurora della fonte ! - sarà eterna, perché il mio cuore sarà la sua sorgente. Juan Ramon Jimenez *** IL BACIO CON IL VENTO Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai, ti volterai senza vedermi, ma io sarò lì. Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Vorrei essere una nuvola bianca in un cielo infinito per seguirti ovunque e amarti ogni istante. Se sei un sogno non svegliarmi. Vorrei vivere nel tuo respiro. ( Mentre ti guardo muoio per te. Il tuo sogno sarà di sognare me. Ti amo perché ti vedo riflessa in tutto quello che c'è di bello ). Dimmi dove sei stanotte, ancora nei miei sogni? Ho sentito una carezza sul viso arrivare fino al cuore. Vorrei arrivare fino al cielo e con i raggi del sole scrivere ti amo. Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno tra i tuoi capelli, per poter sentire anche da lontano il tuo profumo. ( Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi ). Pablo Neruda *** SE ORA TU BUSSASSI ALLA MIA PORTA Se ora tu bussassi alla mia porta e ti togliessi gli occhiali e io togliessi i miei che sono uguali e poi tu entrassi dentro la mia bocca senza temere baci diseguali e mi dicessi : " Amore mio, ma che è successo? " sarebbe un pezzo di teatro di successo. Patrizia Cavalli *** POESIA D'AMORE Le grandi notte d'estate che nulla muove oltre il chiaro filtro dei baci, il tuo volto un sogno nelle mie mani. Lontana come i tuoi occhi tu sei venuta dal mare dal vento che pare l'anima. E baci perdutamente sino a che l'arida bocca come la notte è dischiusa, portata via dal suo soffio. Tu vivi allora, tu vivi: il sogno ch'esisti è vero. Da quanto t'ho cercata! Ti stringo per dirti che i sogni sono belli come il tuo volto, lontani come i tuoi occhi. E il bacio che cerco è l'anima. Alfonso Gatto *** POI LEI SI RIGIRO' SU UN FIANCO Poi lei si rigirò su un fianco, posò il capo sul mio braccio. La guardai. Tutto il cielo e la terra si specchiavano nei suoi occhi. Seguitammo a guardarci. Mi pareva che avrei potuto annegarci nei suoi occhi. Poi l'accarezzai sul viso, ci baciammo, la trassi a me. La strinsi. Con l'altra mano le frugavo fra i capelli. Fu un bacio d'amore, un lungo bacio di puro amore. Charles Bukovski *** ( A cura di Alessandro Barbaglia ) Che cos'è mai un bacio?
FARO' DELLA MIA ANIMA Farò della mia anima uno scrigno per la tua anima del mio cuore una dimora per la tua bellezza del mio petto un sepolcro per le tue pene. Ti amerò come le praterie amano la primavera e vivrò in te la vita di un fiore sotto i raggi del sole. Canterò il tuo nome come la valle canta l'eco delle campane; ascolterò il linguaggio della tua anima come la spiaggia ascoltala storia delle onde. Kahlil Gibran *** L'AMORE FA L'UOMO RE Ma allor che avvinti da due bianche braccia nella festa dei sensi appare il vero e ne sembra si fonda ogni mistero nel mistero d'un bacio, sentiam che vasto più del vasto cielo e più forte del fato Amore impera, che l'uomo è il re per cui vediam - la sera - steso il sidereo velo. Luigi Gualdo *** SI SONO SCAMBIATI UN BACIO NON NOSTRO Il mio non arrivo alla città di N. è avvenuto puntualmente. Sei stato avvertito con una lettera non spedita. Hai fatto in tempo a non venire all'ora prevista. Il treno è arrivato sul terzo binario. E' scesa molta gente. La mia persona assente, si è avviata all'uscita tra la folla. Alcune donne mi hanno sostituito frettolosamente in quella fretta. A una è corso incontro qualcuno che non conoscevo, ma lei lo ha riconosciuto immediatamente. Si sono scambiati un bacio non nostro e intanto si è perduta una valigia non mia. La stazione della città di N. a superato bene la prova di esistenza oggettiva. L' insieme restava al suo posto. I particolari si muovevano sui binari designati. E' avvenuto perfino l'incontro fissato. Fuori dalla portata della nostra presenza. Nel paradiso perduto della probabilità. Altrove. Altrove. Come risuona questa parolina. Wislaswa Szymborska *** COME SE OGNI BACIO Come se ogni bacio fosse d'addio, mia Cloe, baciamoci amando. Che forse già si posa sulla nostra spalla lamano che chiama alla barca che non viene se non vuota; e che in un solo fascio lega ciò che l'uno per l'altra fummo all'altrui somma universale della vita. Fernando Pessoa *** QUANDO TI BACIO Quando ti bacio non è solo la tua bocca non è solo il tuo ombelico non è solo il tuo grembo che bacio. Io bacio anche le tue domande e i tuoi desideri bacio il tuo riflettere i tuoi dubbi e il tuo coraggio il tuo amore per me e la tua libertà da me il tuo piede è giunto qui e che di nuovo se ne va io bacio te così come sei e come sarai ai e oltre e quando il mio tempo sarà trascorso. Erich Fried *** ( A cura di Alessandro Barbaglia ) Che cos'è mai un bacio ?