Rimani, nascosto in una piega di orizzonte, appiattito sul bordo frastagliato di un'idea. Danzami, in un'ora di silenzio confuso; fatti nota soffusa a definire la mia notte. Restami, sconfinato oltre il confine oscuro di paura. Ché vivo di ombre e troppa luce. Mi abbaglia gli occhi e mi devasta il cuore. frida
IL VUOTO NON DICHIARA SE STESSO (…) Si è detto che tutti siamo d'accordo nel bollare questa società come società delle divisione. Ma l'accordo è un'istintiva reazione di solidarietà a una parola - divisione - che si afferma confusamente come percorsa da una critica. E l'accordo è piuttosto sull'aspetto più generico di tale critica. L' accordo è insomma sul "troppe cose non vanno ", sull' "andiamo a rotoli", sul " siamo alla deriva ". Mentre dire :" questa società è una società della divisione", significa mettersi dalla parte di una unità, e non semplicemente di una unità per lottare, ma di una unità per vivere, che vuol dire al caso anche lottare. E non per sopravvivere, ma proprio per vivere. L'ultima grande illusione che ci si può trovare addosso in questo momento è quella di dover abbattere tutto per poter poi ricostruire. Se qualche energia è rimasta a qualcuno - nel declino organizzato di ogni risorsa umana - si può solo sperare che diventi chiara la stolidità di quest'ultima illusione. Questo può proprio essere il tempo delle risorse umane che scarseggiano, in tutti i sensi. Usarle unicamente per abbattere, per criticare, per corrodere, può voler dire trovarsi presto senza fiato e senza nemmeno aver scalfito un sistema che ha usato secoli per diventare quello che è. Qualcuno allora forse potrebbe ripetere la terribile frase del protagonista del Gattopardo : " Doveva pur cambiare qualcosa, perché tutto restasse come prima ". Sarebbe dunque bene che chi in Italia oggi desidera un cambiamento, si domandasse se gli conviene fare la parte del qualcosa che cambia in funzione del fatto che tutto possa tranquillamente restare come prima. Per questo sarebbe importante che l'essere d'accordo non fosse sul generico " tutto va male", ma sulla società della divisione, alla quale si può solo opporre un'unità di vita; e sulla società del vuoto, alla quale si può opporre solo una pienezza di significato nell'esistenza di individui e di popoli. (…) Lion Vela & Dora Demàs da Mezzogiorno di vuoto
(…) Il vuoto di questa società è un vero vuoto culturale, cioè di significato. Lo svuotamento operato è sul perché delle cose e delle azioni, o meglio, è una tale polverizzazione dei motivi che il singolo individuo spesso preferisce non parlarne più piuttosto che rischiare il marchio infamante dell'arretratezza. Per chi invece non fosse disposto ad accettare di non parlarne più, la soluzione c'è. Il vuoto si riempie di fantasmi. Fantasmi di lotte per una giustizia, per una umanità, per una convivenza libera, per una democrazia, per la conquista di un determinato tipo di vita. Ombre di significato che nell'esperienza dei singoli e dei gruppi non reggono al minimo urto, ma nell' immagine che la società dà di se stessa, vengono ricostruite e alimentate. Il vuoto non potrebbe sussistere se si definisse come vuoto. Nessuno lavorerebbe, lotterebbe, se domani tutti i giornali di tutto il mondo stampassero la notizia che i Capi di Stato, i grandi industriali, i militari,le centrali del potere dell'intero avessero dichiarato che dietro la facciata della loro burocrazia e degli incentivi ideologici non c'è nulla. Nessun motivo, nessuna spinta di quelle che nella Storia hanno mobilitato le masse, o forse solo una spinta molto circoscritta e brutale: la sopraffazione. Ma questo non è un motivo di vita, bensì solo una legge elementare di selezione della vita che non è più umana. E' comunque un vuoto di significato, è comunque un'assenza di cultura. Ma se questa pazzesca dichiarazione venisse fatta, la reazione sarebbe di un cinismo dilagante, di una ribellione totale: " Abbiamo aderito a un vuoto, ci hanno fatto lottare inutilmente, ci hanno fatto morire per niente ". E così tutti coloro che avessero fatto quella dichiarazione avrebbero vinto . (…) Lion Vela & Dora Demàs da Mezzogiorno di vuoto
(…) E così tutti coloro che avrebbero fatto quella dichiarazione, o avrebbero potuto farla, avrebbero vinto. Avrebbero ragione di dire che il vuoto è comunque da tutte le parti e che valeva la pena che qualcuno lo riempisse di ombre per trarne partito. Ma è stato possibile popolare il vuoto e trarne partito, perché l'uomo non è fatto per il vuoto: l'uomo lavora, produce,crea,ama. La differenza è che se non ha radici di vita vera e sperimentabile come vera, lavora, produce, crea e ama a profitto di chi vuol trarne profitto; al contrario, se ha una vita piena e posseduta, lavora, produce, crea e ama per sé e per il mondo. Se invece a quella pazzesca dichiarazione, un insieme di persone, gruppi e interi popoli potessero rispondere: a quel nulla dietro la facciata non abbiamo mai aderito;al miserevole spirito della sopraffazione non abbiamo mai dato da vivere , abbiamo invece alimentato le radici della nostra cultura, della nostra fede nonostante tutto ciò che ci circondava, nonostante gli errori, nonostante noi stessi. Abbiamo lavorato e costruito delle identità di popoli, delle realtà con un volto, con una parola da dire che non era nel vocabolario delle gigantesche macchine di parole che si trovano agli angoli delle strade; con una vita da vivere che ci ha fatto gustare la possibilità di essere uomini. Se ci fosse questa risposta, allora i grandi profittatori del vuoto avrebbero fatto male i loro conti e si troverebbero di fronte a qualcosa di cui non saprebbero cosa fare, tranne che creare nuove fonti di divisioni e ricominciare da capo. Ma dopo essersi così smascherati, forse non sarebbe altrettanto facile. Questa pazzesca ipotesi non sarà mai. Il vuoto non si dichiara vuoto, perché in quel caso gli uomini si accorgerebbero di troppe cose; perché in realtà gli uomini non reggono il vuoto. Hanno bisogno di fingere almeno brandelli di pienezza. Anche se sono solo brandelli e non riempiono nulla. Ecco perché si è più facilmente d'accordo sul generico" contro il sistema " che sul capire che cosa significhi " società della divisione " o " società del vuoto ". Perché in questo secondo caso si tratterebbe appunto di essere d'accordo su una posizione che è critica solo in diretta funzione di una costruttività che non è un modello futuro, ma una sperimentabilità ancora raggiungibile. Per il momento. (…) Lion Vela & Dora Demàs da Mezzogiorno di vuoto
Sopra un fosso di stelle dove ti ho perso… AI MONTI, A TE Per passare dal mio ventre al tuo c'è solo una galleria e - lontano - un coro di monti sopra un fossato di stelle dove ti ho perso. Ma tu rinasci ogni volta dalle orme della terra che sotto me sprofonda. A vita ti guarderò crescere nella roccia nel punto intenso d'acqua dove una radice - ancora - ci ritrova. frida
S'E' VISTO Non bruciare il bordo della lettera, e non parlare d'amore per pagine e pagine. Soltanto, mentre chiudi la busta, calca molto bene quelle tue labbra schive. *** AMARE Saper vedere che cade tra i fiocchi della neve la piuma bianca dell'uccello migratore riparato sotto la grondaia. Ecco amare. Sunay Akin da Canti dal Bosforo
Quanto poco fu il tempo che serviva a viverti… Che pece tenera l'inesperienza tua e mia dell'umano; che amore l'amore catafratto d'ironia, questo illudersi a ore alterne d'una maturità che non esiste, o almeno non esiste nel nostro destino. Quanto poco fu il tempo per descriverti e meno ancora quello che serviva a viverti. Illeso amore, accento di sorriso sulla mia prima costola fratturata, questo scherzo sottile di primavera, e al suo velo invisibile io e te - ringiovaniti - nella spera del vaniloquio: la chiave è sul banco che ti apre e mi vuota come l'uno in euforia dopo l'altro i bicchieri. *** L'universo in quattro battute, è questo che mi domandi, non più di una per elemento ( e credi sia troppo ). Così barcamenandomi tra aria e cibo, fuoco e sonno, fo torto a tutte le altre pietre, te ne stacco quattro appena per dedica: il tempo di Venezia senza spigoli, il riso di un vassoio senza smalto, noi due nature vive nel giardino dei morti, le arance tutta buccia di Rialto. Silvio Ramat da L'arte del primo sonno
SE NOI Mi chiedevo se tu fossi a toccarmi lieve se tu visibilmente stanco piovessi neve se tu inchiostro rosso sopra il nero fossi sposo promesso prima adesso se tu fossi una leva per sollevare il mondo fulcro d'equilibrio instabile in bilico sul terrapieno mobile. Mi chiedevo se io fossi la sposa alta promessa di poeta se noi grandi di cose anime persone noi così cerchi retti solidali veti bavagli d'animali noi unitamente stretti avremmo mai potuto coniugare il verbo in qualche modo approfittare. *** QUADRO PIOVE Ora piove dici piove perché l'aria si rinfresca e le nuvole coprono l'estate. Una donna sull'uscio rammenda cose fosche di tempesta a punti fitti fitti gettati su calzini come rete di pesca pesca buchi mi memoria o di un lungo camminare. Improvviso picchiettare allegro sulle fronde distratte dal rumore cadono gocce. Sono tondi d'antracite disegnati sul cemento cerchi sparsi di grigiore in chiaroscuro irregolare. Sentire profumi di basilico e ginepro un respiro di fanghiglia e afa ragazzi in sella a motorini volteggiano ronzando in cerca di un riparo. Ora piove dici e infatti piove a dirotto tra mosche fastidiose di scirocco. *** LIBERA DI SENZA Ti prego non parlare dolcemente Quando implode l'arco teso scocca e freccia vibra viva lago estende nel presente eterno vacuo si protende. Ti prego non parlare dolcemente Altro si confonde dentro e gli occhi vanno in vago giro tristi e sento in vitro vuoto peso involto tetro un pieno senza scampo una piovra un cappio franto un danno che rimescola natura che s'inalbera l'istante tesa la domanda la vita in altera partita salta il ponte e si disperde oltre ma oltre ci deve essere per forza per mia forza disperata un'altra vita. Alivento da Tellus folio
STRUMENTI DI MISURA Per misurare il tempo fu inventata l'assenza, quella riga che divide il mondo in due, in due corpi, i giorni, le parole. Per misurare l'assenza fu inventato il silenzio, quel linguaggio di spettri, quel dolore mansueto con il gelido tocco delle cose vuote. Per misurare il silenzio avete inventato me, questo cane di nebbia che vaga nella notte come un faro in cerca di un naufragio. *** AMORE E GEOMETRIA Cercarti è un'ellisse. Sognarti è una curva. Decifrarti è una piramide. Raggiungerti è un'iperbole. Amarti è un cerchio. Tenerti è un quadrilatero. Perderti di nuovo è una mera parabola per tornare a cercarti. *** PRONOMI Io: questo cane infedele che cambia padrone se qualcuno lo chiama. Tu. questa sillaba ingrata che cambia volto se detta da altre labbra. *** PENELOPE In un altro tempo ti avrei aspettato facendo e disfacendo di ora in ora questa interminabile matassa, fantasticando un'altra vita in cui la vita possa fermarsi per molti anni fingendomi pazza; ma amore, siamo nel XXI secolo, sono le quattro e di nuovo non torni. E' arrivato il momento di far tacere le sirene che con il loro canto raccontano le tue gesta, ed è ora di finire il tuo sudario. *** LA TRACCIA Qualcuno cancella le impronte dei tuoi passi leggeri nella notte, ma al mio risveglio mi accorgo che sei tornata nel vuoto che hai lasciato - come un cane torna alla sua tana, come l'assassino sul luogo del delitto - perché il letto è disfatto dalla parte sinistra dei miei sogni. Alfonso Brezmes da Misurare il silenzio
Non sei venuta, oggi, non verrai, gli occhi non mi dicono niente. Non ci sono più parole nell'inchiostro. Nel parlatorio vecchio cessano i bisbigli e l'aria raffredda sui selciati, scurendosi la sera. Niente importuna i licheni nella loro nicchia. I topi non li rodono ch'io sappia altri appetiti limitandosi al poco. La corda che intrecciai ancora tiene. Credo che me ne andrò stanotte. Giacomo Cerrai
Quante gabbie dovrò conoscere, papà. Questo silenzio
(…) Io credo - dice la monaca Stéfana - io credo, ripeti con me. Credo in Dio. Credo nei biscotti che rubiamo nel refettorio. Credo nel nascondiglio che c'è nell'orto, dove non ci trovano all'ora del rosario. Credo nell'esistenza di un padre che non è il mio, perché usa la sottana e ci porta nel confessionale per farci sedere sulle sue ginocchia ( non sopporto il suo odore ) e accarezzarci. Credo nelle novizie arrabbiate quando nascondiamo i loro messali. Credo nell'alito fetido della madre superiora quando vocifera ( ma quello di mia madre è superiore ). Credo negli scherzi che facciamo al giardiniere per farlo diventar matto. Credo nelle mie ginocchia piene di sangue dopo essere stata denunciata da una traditrice quando misi del peperoncino nella limonata. Credo che la Vergine ( forse è molto occupata ) non mi guardi. Credo nel flagello con cui si frusta la monaca Stéfana, con il quale mi frusta quando mi scopre dietro il guardaroba, e per questo non l'ho mai voluta chiamare Stephanie. Credo nelle uniformi, a volte blu, a volte bianche, nelle inferriate delle piccole finestre di sporchi cristalli, così alte che non riesco a vedere se c'è qualcosa al di là in cui credere. Credo nell'odore della clausura e del decotto. Credo nella pesante porta che mi si apre; solo un'imposta fa apparire un volto sconosciuto, e nella notte mi perseguita un viso dentro una cornice. Credo nella porta chiusa. Apriti, sesamo. (…) Lucero Alanìs da Chiostro
(…) Sono così libera, come un uccello che vola senza pensare, sono una schiava di questo corpo che si crede uccello dentro la gabbia del mio corpo; le uniche piume sono quelle del mio cuscino, ma anche così canto e mi sento come un uccello. Così esile che potrei sostenermi nell'aria, così allegra come zia Susana. Ci sono inferriate che ho visto fin dalla culla, sbarre che mi impediscono di accorrere al richiamo angustioso di mamma, al pianto di mia sorella, ad affrontare le grida del guardiano. Ci sono celle che stanno crescendo e mi fanno ogni volta più piccola nel mondo bianco, fuori dal mondo altro, quello che leggo e mi immagino. C'è anche un contenitore che mi cattura e non mi lascia uscire, una prigione con sottofondo di violini e drammi che mi sono estranei, ma che mi trasformano subito nel loro personaggio principale, quello che odia l' infermiera, che mi è costato varie settimane in più di isolamento, no visite, no dolci, no. Quello che mi dispiace è che il personaggio non è mai quello di un uccello felice, sempre legato alla volontà del padrone della gabbia. Quante gabbie dovrò conoscere, papà. Quanto silenzio. (…) Lucero Alanìs da Chiostro
(…) Siamo tante margherite in un giardino chiamato casa. Oggi siamo solo due, o credo che sia rimasta solo io. A papà non piacciono le margherite, per questo si è portato via mia sorella : le margherite sono per i porci, dice. Io sono scura quanto lui;mia madre bianca, come l'altra figlia. Sono il puro ritratto di papà, ma lui si lamenta sempre:da dove sei uscita con quei lineamenti e quasi nera? Mi si proibisce di scendere a mangiare perché lo mette di malumore il mio aspetto:così devo fare colazione nella mia stanza e- se ho fame- andare al frigorifero, di nascosto, stando attenta che lui non sia da quelle parti. Dietro la porta ascolto come chiacchiera con mia sorella, la biondina - a tavola, mentre mia madre li serve. Non capisco: siamo nate gemelle e lui ci tiene separate. Non parla nemmeno a mamma, dice che è una civetta e talvolta le grida puttana. Neanche questo comprendo. Chi è il porco?I maialini sono già a letto.Io sono un lupo feroce che li mette in fuga. E' da molto che non vedo papà né la biondina. Forse sono ancora alla fiera, sul carosello. (…) Lucero Alanìs da Chiostro
(…) Ma se papà non fuma, ci dicono di allontanarci dal fumo prodotto dal tabacco degli altri, che ci possiamo ammalare e persino morire di fumo. Padre Tarcisio insiste nel dire che è peccato fumare, e lui stesso è avvolto in una nube: si giustifica dicendo che è incenso; io preferisco l'odore del sigaro, non credo che per questo mi condannerà. Esco a comprare le sigarette - dice papà - ma se papà non fuma, dev' essere parecchio distante la tabaccheria visto che ha tardato molto.Trovammo solamente la casa vuota, vuota di passi,vuota di odori, vuota di loro. E la mamma che cerca nella casa vuota e disperata chiama mia sorella, e i muri vuoti non rispondono e le porte si aprono per far uscire le sue grida e vuoto ovunque. Mia sorella dev'essere svanita o forse se n'è andata - come papà -alla lontana tabaccheria e tarderà a ricomparire, o. Ma se papà non fuma. (…) Lucero Alanìs da Chiostro
(…)Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese, voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza, il mare. Quando il bambino era bambino non sapeva d'essere un bambino: per lui tutto aveva un'anima e tutte le anime erano tutt'uno. Quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione, non aveva abitudini, sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via, aveva un vortice tra i capelli e non faceva facce da fotografo. Quando il bambino era bambino,era l'epoca di queste domande: perché io sono io e perché non sei tu? Perché sono qui e perché non sono lì? Quando comincia il tempo e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole è forse solo un sogno?Non è solo l'apparenza di un mondo davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro? C'è veramente il male e la gente veramente cattiva? Come può essere che io che sono io non c'ero prima di diventare? E che una volta che io che sono io non sono più quello che sono? (…) Peter Handke da Il cielo sopra Berlino
" Chi lotta contro i mostri deve guardarsi di non diventare - così facendo - un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te ".
L'ORIGINE DEL MONDO Chiudi gli occhi. Viaggia con me nell'esteso territorio dell'istante. Voglio sentire le foglie che crepitano sotto il peso oscillante del tuo corpo. Quali furono le tue rotte e i tuoi alberi? La forma triangolare delle querce risale verso i cervi che vanno al pascolo al mattino. Se ogni libro che si apre assomiglia alle cosce di una donna nuda in un museo, ciò ch'è la mia fonte l'ho appreso dalle tue labbra. Qual modo sereno di bermi. *** IL CIELO TRA PARENTESI Che le cose si aggiustino nelle loro forme non significa che siano diventate nostre. Forse vuol dire che l'albero dell'assenza ha messo gambe e radici nella terra adeguata. Come a un ospite inatteso occorre saper dare il posto giusto persino al vuoto. *** PICCOLE MORTI PROVVISORIE Questo vagare per ogni città in cerca di un tuo gesto: un ricciolo, dei capelli, uno spicchio di stoffa nelle vetrine, una medusa tiepida come la tua anima, tra le tue cosce e paure, un elefante morto. Questa stanza affittata in una navata di Roma, una carezza dolce e disseminata, questo continuare a sudare a vuoto per il mondo: carrozzabili, ragnatele di luce, carrette mute con gradini che non puntano al cuore. Questo continuo spostarsi in un altro luogo senza saziarsi, eterna inimicizia che mi unisce alle cose. Questo girare per distretti come un canto indagando - senza eco - l'orizzonte, dove si trova il tetto delle tue labbra o il viadotto oscillante delle tue dita. Questi pezzi di nulla che ti invocano, questo nulla di schegge che ti nomina e non ti trova e non ti trova e non ti trova e non ti trova. ( eco ) *** MI STA COME D'AUTUNNO Me ne vado dal tuo silenzio come un soldato ferito alla fine di una guerra. Zoppicando di speranza. *** LA TRAPEZISTA DI ESCHER Vacilla sull'acrobatica corda del desiderio. Aragoste di carta incollate ai muri distrutti a graffi pur di sostenersi a qualcosa mentre lui l'amava. Amare è cadere. Si vive fingendo l'equilibrio. Marisa Martinez Persico da Il cielo tra parentesi
Fare l'amore con te è come bere acqua marina… Noi soli. Nella nostra casetta lontano da tutti, lontani dal mondo, solo suono d'acqua sui sassi. E io che ti dico: " Ascolta. Senti il vento tra i rami". *** Fare l'amore con te è come bere acqua marina. Più ne bevo e più ne sono assetata, perché niente può appagare la sete se non bere il mare intero. *** Chi c'è qui? Io. Io chi? Io me. Tu sei te. Prendi il mio pronome, e diventiamo noi. *** Grido mentre mi mordi i capezzoli e l'orgasmo esaurisce il mio corpo, come se mi tagliassero in due. *** La tua lingua vibra e si muove dentro di me che mi svuoto e avvampo in un turbine di luce, come l'interno di una grande perla che si espande. *** E' il tempo in cui tornano le oche selvatiche. Tra il sole calante e la luna che sorge, tracciano in volo il carattere " cuore ". *** Come la ruota segue lo zoccolo del bue che tira il carro, la mia pena segue i tuoi passi quando all'alba mi lasci. *** Due fiori in una lettera. La luna scende fra lontane colline. La rugiada bagna i bambù. Io aspetto. I grilli sul pino cantano tutta la notte. A mezzanotte suonano le campane del tempio. Le oche selvatiche gridano dall'alto. Nient'altro. *** La notte è troppo lunga per gli insonni. La strada è troppo lunga per chi è stanco. La vita è troppo lunga per una donna resa insana dalla passione. Perché mi capitò una guida disonesta sui tortuosi sentieri dell'amore? *** Mi sveglio intirizzita con la prima luce. Fuori dalla finestra la rossa foglia d'acero scivola giù in silenzio. A cosa credere? Indifferenza? Rancore? Odio la vista del giorno che inizia da qual mattino, quando mi gelò il tuo sguardo insensibile come la luna pallida all'alba. Kenneth Rexroth da Le poesie d'amore di Marichiko
" Se c'è qualcosa che mi dispiace molto, se ho un dolore fisico, se ho una scadenza, se devo risolvere un tarlo interiore, se ho dei dubbi, se ingrasso, se mi colpisce un lutto, se faccio un incidente per strada - ignoro; ignoro tutto. Vado avanti, non voglio intoppi. Continuo." Quella che l'autore racconta in questo libro è la formazione ( autobiografica ), di un maschio contemporaneo, specifico e qualsiasi. Tentativo fallimentare - comico e allo stesso tempo drammatico - di sfuggire alla legge del branco ma, nello stesso tempo, la resa alla sua forza. La lotta indicibile e vitale tra l'uomo che si vorrebbe essere e l'animale che ci portiamo dentro. Vista da quest'ottica,è il racconto di tanti anni passati a cercare di spegnere quel ronzio collettivo per poi ritrovarsi ad ascoltarlo- nel proprio intimo - nei momenti più impensati. " Dentro di me continuerò a chiedermi : siete contenti di me? Sono come mi volevate? ". In un mondo da sempre governato dai maschi, capirli è la chiave per guardare più in là. Per questo il racconto si nutre di tutto ciò che incontra: i brufoli e il sesso, l'amore e il matrimonio, l'egoismo e la tenerezza - in un andamento vivissimo, ma riflessivo che ci interroga e ci risponde fino a ridisegnare il nostro sguardo. ( f )
(…) Tutti i valori positivi della virilità maschile potevo osservarli, ascoltare quando li spiegavano, stare lì davanti a mio padre in silenzio mentre mi spiegava ( dopo avermi picchiato ) come ci si comporta; stare davanti al preside in silenzio mentre mi spiegava come ci si comporta; ascoltare tutti e giurare sia di aver compreso, sia di aver agito di conseguenza. Ma non lo ritenevo in nessun modo possibile; e non era solo questo: temevo che quei valori mi avrebbero fatto perdere il legame con la mia comunità maschile, con il gruppetto dei miei compagni di scuola e con gli amici del cortile. E allora, poiché non ero in possesso dei valori positivi della virilità, l'unico legame condiviso con gli adulti era l'interesse per le donne, quindi per il sesso. L'unico legame complice e positivo era quello instaurato mentre andavamo dalla villa al Villaggio Svedese. Quindi ne dedussi questo: se mi concentro su quanto mi piacciono le ragazze, farò di me - alla fine - un buon individuo della comunità maschile. Mi apprezzeranno, saranno contenti di me, tutti, anche mio padre mentre mi punisce, mentre mi picchia. Concentrandomi sul sesso, avrei potuto fare a meno degli altri valori - di cui alcuni di noi desideravano e pensavano fosse più virile farne a meno.Essere un individuo significava essere solo, ma noi avevamo bisogno del battaglione dei soldati o della squadra di calcio.E per ottenere ciò, preferivamo questa specie di virilità disordinata, ribelle e brutale. Era la strada per portare a compimento l'accettazione dell'individuo dentro la collettività. Andando per questa strada è successo che ho pensato al sesso per gran parte della giornata, per gran parte della vita. Dentro questa protezione non soffrivo mai. Non mi faceva soffrire il professore delle Medie, mio padre che mi picchiava, il fatto di non poter andare a basket, nulla di tutto quello che mi era successo. L'unico momento in cui ho sofferto è stato su quella panchina, quando ho scoperto che sulla strada del sesso e delle donne era possibile( poi ho capito che era molto probabile) inciampare nel sentimento e nelle sue conseguenze. (…) Francesco Piccolo da L'animale che mi porto dentro