domenica 27 agosto 2017

REATO DI VITA ( Alda Merini ) 5


LE SECONDE NOZZE

(...) Giacinto Spagnoletti fu colui che, senza volerlo, combinò il mio
      second matrimonio con Michele Pierri.
      Michele Pierri, fondatore dell' Accademia Salentina, chirurgo
      valentissimo e a mio parere grande poeta, uscì con
      Contemplazione e Rivolta  contemporaneamente a me
      e a Betocchi nella Collanina di Schwarz.
      Tra me e Pierri nacque in tarda età una grande passione
      amorosa, all'inizio puramente telefonica, che i figli non
      capirono. Capì invece Ettore, mio marito, ormai gravemente
      malato; parlò con lui: " Le affido mia moglie, ne abbia cura e
      le faccia da padre".
      Ogni mattina Michele arrivava nella nostra stanza nuziale con
      il caffè, una rosa sul vassoio e una poesia d'amore. Io lo
      sgridavo perché rovesciava il caffè sulle lenzuola e
      soprattutto perché non mi lasciava dormire. Alle cinque del
      mattino Michele era già in piedi e faceva il giro di tutte le
      chiese lasciando oboli e offerte. Io cercavo di impedirglielo,
      non per gli oboli, ma perché mi lasciava sola per almeno tre
      ore in quella casa vuota e io tremavo di paura. Era una casa
      antica, trasandata e piena di stanze  comunicanti. C'era
      dappertutto il ritratto della prima moglie, uno anche sopra il
      letto matrimoniale. Avevo rispetto per " la povera Rebecca":
      trovavo che mi assomigliasse con quegli occhi inquieti e decisi.
      E se da un lato i figli mi erano grati per aver lasciato intatta
      la memoria della madre, dall'altra Michele era inquieto perché
      tenevo i miei abiti in una valigia. Ogni sera i figli si riunivano
      al tavolo comune e ricordavano la defunta. Io non ero gelosa
      della memoria di questa donna - medico anch'essa - le cui
      poesie d'amore, che io segretamente lessi, erano le più belle
      che avessi mai letto. Michele, che in gioventù era stato
      imprigionato per antifascismo, era un uomo straordinariamente
      somigliante a Raboni, un grande guru bianco, con i capelli che
      gli scendevano fin sulle spalle. Era un uomo terrificante: tutti
      gli obbedivano ed era di una straordinaria bellezza anche se
      già ottantenne. Quando era venuto a prendermi alla stazione
      di Taranto per il matrimonio, io non lo avevo mai visto di
      persona, ma lo riconobbi subito, e anche lui perché per quattro
      anni ci eravamo ardentemente amati al telefono.
      Allora io avevo un pianoforte, appoggiavo il ricevitore al
      calorifero e gli suonavo le più belle romanze d'amore. Fino
      all'una di notte continuavamo a parlarci da lontano.  (...)


         Alda  Merini   da   Reato di vita ( Autobiografia e poesia )



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